Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33947 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33947 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12749/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1399/2018 pubblicata il 17/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n.1399/2018 pubblicata il 17 ottobre 2018, ha accolto il gravame proposto dall’IRAGIONE_SOCIALE nella controversia con NOME COGNOME ed altri.
La controversia ha per oggetto il diritto all’intervento del Fondo di garanzia ex art.2 legge n.297/1982 nel caso di affitto del ramo di azienda e successivo fallimento della società affittante, con accordo in deroga ex art.47 comma 5 legge n.428/1990 in forza del quale le parti pattuivano che i crediti retributivi e per T.F.R. maturati alla data dell’affitto sarebbero rimasti a carico della società affittante.
Il Tribunale di Milano accoglieva le domande proposte dai lavoratori, in forza dell’accordo ex art.47 cit..
La Corte territoriale ha ritenuto che: a) gli effetti previsti dall’art.2112 cod. civ. si sono consolidati tra le parti alla data dell’affitto di ramo d’azienda, perché le parti avevano espressamente ricondotto l’affitto alla disciplina dettata dall’art.2112 cod. civ., senza alcuna deroga; b) i rapporti di lavoro sono proseguiti, senza soluzione di continuità, con la cessionaria, che non ha proceduto alla retrocessione del ramo d’azienda affittato nemmeno dopo aver ricevuto la comunicazione della sua disdetta; c) l’ammissione al passivo del fallimento dell’ affittante è irrilevante, non essendosi verificata alcuna cessazione dei rapporti di lavoro; d) l’accordo ex art.47 comma 5 legge n.428/1990 è irrilevante «in quanto esso ha investito i rapporti economici che erano ormai esauriti in capo alla cedente fallita a seguito del loro trasferimento alla cessionaria».
Per la cassazione della sentenza ricorrono NOME COGNOME ed altri, con ricorso affidato a due motivi ed illustrato da memoria. IRAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt.47 legge n.428/1990 e 2112 cod. civ., con riferimento all’art.360 comma primo nn.1 e 3 cod. proc. civ.. Deducono che il diritto alla prestazione previdenziale trova il proprio fondamento nell’accordo ex art.47 comma 5 cit., perché in quella sede le parti avevano pattuito che il T.F.R. e le ultime tre mensilità sarebbero rimaste a carico del «fallimento cedente».
Con il secondo motivo lamentano la violazione e falsa applicazione degli art.2 commi 1, 2, 4, 5, 7 e 8 della legge n.297/1982, dell’art. 2112 cod. civ., degli artt.2 e 5 d.lgs. n.80/1982, degli artt.1, 3 e 11 del d.lgs. n.252/2005, con riferimento all’art.360 comma primo nn.1 e 3 cod. proc. civ.. Deducono che per i medesimi crediti sono stati ammessi al passivo della affittante fallita, con provvedimento divenuto irrevocabile e che in forza dell’accordo ex art.47 comma 5 legge n.297/1982 non sussiste responsabilità solidale tra affittante ed affittuario, perché l’accordo de quo -opponibile all’I.N.P.S. – prevedeva che il credito per il T.F.R. e le ultime tre mensilità al momento dell’affitto del ramo d’azienda fosse a carico della affittante.
Il primo motivo è infondato. La critica trova il proprio fondamento nell’accordo ex art.47 comma 5 legge n.297/1982 del 07/06/2013, che però non viene trascritto, né altrimenti riportato, nel motivo di ricorso, in violazione dell’art.366 comma primo n.6 cod. proc. civ. Tale omissione non consente alla Corte di apprezzare il contenuto e gli effetti giuridici prodotti da tale accordo, e dunque di decidere il ricorso nel merito.
Inoltre deve considerarsi che secondo il costante orientamento di questa Corte, al quale si intende dare continuità, il lavoratore che fa valere la garanzia del Fondo, fa valere un diritto discendente dal rapporto previdenziale sorto con l’Inps, distinto e autonomo dal rapporto di lavoro intercorrente con il datore di lavoro sottoposto a procedura concorsuale, l’unico ad essere accertato in sede concorsuale con il riconoscimento e la condanna al pagamento del t.f.r. L’autonomia del rapporto previdenziale rispetto al rapporto di lavoro determina l’inopponibilità all’Inps degli accordi sindacali conclusi ai sensi dell’art.47, co.5 l. n.428/90. Essi riguardano il solo rapporto trilatero tra lavoratore, cedente/affittante e cessionario/affittuario dell’azienda, non il rapporto previdenziale tra lavoratore e Inps (da ultimo, Cass. 02/12/2024 n.30835 e Cass. 17/06/2024 n.16740).
Ed ancora, il motivo nemmeno centra la ratio decidendi della C orte territoriale, che ha ritenuto la irrilevanza dell’accordo de quo «in quanto esso ha investito i rapporti economici che erano ormai esauriti in capo alla cedente fallita a seguito del loro trasferimento alla cessionaria». Dagli accertamenti in fatto svolti dalla Corte territoriale, in questa sede non sindacabili se non nelle ipotesi residuali previste dall’art.360 comma primo nn. 4 e 5 cod. proc. civ., risulta che tale accordo fosse non solo posteriore al contratto di affitto di ramo d’azienda (19/06/2012), ma anche al fallimento dell ‘ affittante (10/12/2012) ed alla disdetta del contratto di affitto (14/03/2013).
Il motivo di ricorso trova dunque il suo fondamento in un accordo inopponibile all’Istituto previdenziale, concluso quando il contratto di affitto di azienda aveva già cessato di produrre i suoi effetti. E ciò ne determina la infondatezza.
Le medesime considerazioni valgono anche con riferimento al secondo motivo di ricorso. Anche in questo caso è stata violata la disposizione prevista a pena d’inammissibilità dall’art.360 comma
primo n.6 cod. proc. civ. (non è stato trascritto né altrimenti riportato l’accordo ex art.47 comma 5 legge 297/1982). Anche in questo caso il motivo non affronta la ratio decidendi.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del diritto vivente, laddove ha ritenuto irrilevante l’ammissione allo stato passivo dell ‘ affittante fallita, essendo invece necessaria – al fine della esigibilità del T.F.R. – la cessazione dei rapporti di lavoro a seguito della procedura concorsuale (Cass. Sez. Lav. 03/09/2024 n.23562).
Sulla base di queste premesse la Corte territoriale ha ritenuto -con un accertamento di fatto in questa sede non sindacabile né censurato che a seguito dell’affitto di azienda e del fallimento dell ‘ affittuaria non vi fosse stata alcuna cessazione dei rapporti di lavoro dedotti in giudizio, e dunque non sussistessero in radice i presupposti per pretendere il pagamento del T.F.R.
Per tutti questi motivi il ricorso deve essere rigettato.
Gli orientamenti citati si sono consolidati dopo la proposizione del ricorso per cassazione, e ciò giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024.