Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23623 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23623 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13023-2023 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 303/2022 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 01/12/2022 R.G.N. 192/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
29/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Fondo di garanzia Inps
R.G.N. 13023/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 29/04/2025
CC
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Brescia ha riformato la sentenza del Tribunale di Bergamo ed ha così rigettato la domanda di NOME COGNOME che aveva chiesto l’intervento del Fondo di garanzia costituito presso l’Inps e la condanna dell’Istituto a corrisponderle le ultime tre mensilità di retribuzione ed il TFR maturato alle dipendenze sia della RAGIONE_SOCIALE che di RAGIONE_SOCIALE, fino al 14 febbraio 2017, oltre che alle quote di TFR che il datore di lavoro aveva omesso di versare al fondo di previdenza complementare come gli era stato richiesto.
1.1. La Corte di merito ha ricordato che la RAGIONE_SOCIALE, che aveva lavorato dal 1.4.2001 al 31.1.2011 alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALEp.a. e dal 1.2.2011 alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE, il 14.2.2017 aveva sottoscritto un verbale di conciliazione con il quale come previsto dall’accordo del 31.1.2017 sottoscritto in sede di affitto di azienda- aveva rinunciato alla solidarietà ex art. 2112 c.c. nei confronti dell’affittuaria.
1.2. Ha quindi evidenziato che il 15 marzo 2017 sia la RAGIONE_SOCIALE che la RAGIONE_SOCIALE erano state dichiarate insolventi ai sensi del d.lgs. n. 270 del 1999 e quindi erano state ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria rispettivamen te l’8 e il 9 giugno successivo. Per l’effetto la lavoratrice era stata ammessa al passivo per l’importo di € 24.790,92 corrispondente alle ultime tre mensilità di retribuzione ed alle quote di Tfr non versate al Fondo complementare.
1.3. Ha ricordato che il 18.4.2019, con accordo sindacale ex art. 47 della legge n. 428 del 1990, le società cedenti in amministrazione straordinaria disposero la cessione dell’azienda in favore di RAGIONE_SOCIALE con rinuncia ancora una volta alla solidarietà ex art. 2112 c.c..
1.4. Ha quindi rammentato che la domanda presentata dalla lavoratrice per ottenere l’intervento del Fondo di garanzia venne respinta sul rilievo che il rapporto di lavoro con l’affittuaria RAGIONE_SOCIALE non era cessato.
1.5 . Tutto ciò premesso la Corte di merito ha ritenuto che l’art. 47 comma 4 bis e comma 5 della legge n. 428 del 1990, come modificato dall’art. 19 quater del d.l. n. 135 del 2009 convertito con modificazioni dalla L. 20 novembre 2009 n. 166 – da interpretare alla luce dei principi affermati dalla Corte di Giustizia con le sentenze A bels del 7.2.1985, D’Urso del 25.7.1991, Spano del 7.12.1995 e CGUE 11.6.2009 C-561/07 -impone di distinguere il caso in cui la cessione avvenga nell’ambito di una procedura conc orsuale con finalità conservativa da quello della cessione da parte dell’impresa sottoposta a fallimento.
1.6. Nel primo caso ha ritenuto che debbano essere applicate le garanzie di cui all’art. 2112 c.c. e che l’accordo non p ossa incidere sulla solidarietà ma solo sul trattamento economico e normativo dei lavoratori anche in senso a loro sfavorevole. In tal senso anche l’art. 368 comma 4 del d.lgs. n. 14 del 2019 in vigore dal 15.7.2022.
1.7 . Conseguentemente ha ritenuto che l’accordo concluso nell’ambito della proceduta conservativa di amministrazione straordinaria con la conseguenza che lo stesso non poteva produrre effetti nei confronti dell’ente previdenziale restando salva la responsabilità solidale della cessionaria ex art. 2112 c.c. e non ricorrendo quindi i presupposti per l’intervento del Fondo. 1.8. Per le medesime ragioni, poi, ha ritenuto insussistente l’obbligo di versamento da parte del Fondo di garanzia delle quote di TFR non versate dal datore di lavoro al Fondo complementare.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso NOME COGNOME che articola tre motivi ai quali resiste l’Inps con controricorso ulteriormente illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
1 . Con il primo motivo di ricorso è denunciata in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, dell’ art. 2 commi 1 e 3 e dell’art.5 commi 1 e 2 del d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 80 con riferimento all’art. 2112 c.c. e all’art. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428.
1.1. Ad avviso della ricorrente avrebbe errato la Corte territoriale nel negare l’accesso al Fondo di garanzia e nel reputare invalida la deroga al regime della responsabilità solidale previsto dall’art. 2112 cod. civ., sul presupposto che la procedura abbia una finalità conservativa e non liquidatoria.
1.2. Sostiene infatti che nella disciplina dell’amministrazione straordinaria, sarebbe esclusa in via generale la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute e tale esclusione, nel caso di specie, sarebbe stata confermata negli accordi ritualmente sottoscritti in sede ministeriale in base all’art. 47 della legge n. 428 del 1990.
1.3. Il TFR, pertanto, si dovrebbe considerare esigibile già alla data del trasferimento dell’azienda e i lavoratori non disporrebbero di alcuna possibilità di veder tutelato il proprio credito “al di fuori del fondo di garanzia”.
Con il secondo motivo di ricorso è censurata in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. la violazione e la falsa applicazione dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990, in riferimento all’art. 2112 c.c..
2.1. La sentenza d’appello sarebbe incorsa in un error in iudicando anche per aver disconosciuto la legittimità
dell’accordo che, sotto l’egida di una pubblica autorità (il Ministero) e in armonia con “specifiche previsioni di derivazione comunitaria” (pagina 24 del ricorso per cassazione), ha posto a carico della società cedente tutti i debiti collegati al rapporto di lavoro.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 80 del 1992 in rela zione all’art. 2112 c.c. per avere la Corte di merito escluso il pagamento da parte del Fondo di garanzia dei contributi dovuti al Fondo di previdenza complementare.
3.1. La ricorrente insiste nel ritenere che con il trasferimento il rapporto di lavoro sia cessato con il cedente e che perciò i crediti già maturati sono esigibili. Conseguentemente per le quote non versate al Fondo complementare si dovrebbe poter accedere al Fondo di garanzia. L’obbligo di versamento al Fondo complementare sorgerebbe per effetto di una delegazione di pagamento sempre revocabile fino al suo adempimento, diversamente restandone pregiudicata la tutela del diritto da parte dell’interessato .
Le tre censure possono essere scrutinate congiuntamente, in quanto tra loro connesse e devono essere rigettate.
4.1. Anche di recente, questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 2639 del 2025 ed anche Cass. n. 1951 e 4265 del 2025 e Cass. n. 34292 del 2024) ha ribadito che «le condizioni di intervento del Fondo di garanzia per ciò che concerne le ultime tre mensilità di retribuzione risultano tassativamente indicate dall’art. 2, L. n. 297/1982, emanato in attuazione della Direttiva 80/987/CEE, e presuppongono che sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure concorsuali il datore di lavoro che è tale al momento della cessazione del rapporto di lavoro (Cass. n. 24889 del 2019): scopo della direttiva Europea è infatti
l’assicurazione di una copertura del Fondo di garanzia per i crediti insoddisfatti che siano maturati in quel determinato periodo di tempo in cui si può ragionevolmente presumere che l’inadempimento datoriale sia conseguenza della sua condizione di insolvenza, non anche la copertura di un qualsiasi inadempimento verificatosi in danno del lavoratore (così, in motivazione, Cass. n. 24889 del 2019, cit.); ed è per contro evidente che, ammettendo l’intervento del Fondo anche in fattispecie come quella per cui è causa, in cui il rapporto di lavoro è proseguito alle dipendenze del cessionario e il lavoratore ceduto ha semplicemente rinunciato alla solidarietà passiva di quest’ultimo per i crediti maturati alle dipendenze del cedente, lo si graverebbe del pagamento di una prestazione che non può considerarsi dovuta, perché ad essere fallito è colui che non è più datore di lavoro del lavoratore assicurato, di talché, mancando in radice il legame necessariamente postulato dalla Direttiva 80/987/CEE tra l’insolvenza da toriale e l’inadempimento del credito retributivo, si verrebbe necessariamente a sviare il patrimonio del Fondo di garanzia dalla causa che ne ha determinato l’istituzione, in contrasto con la precisa lettera dell’art. 2, comma 8, L. n. 297/1982, che vieta d’impiegare le disponibilità del Fondo ‘al di fuori della finalità istituzionale del fondo stesso’ (così da ult. Cass. n. 37789 del 2022)».
4.2. Tali considerazioni sono state, come si è detto anche da ultimo confermate da questa Corte, e rappresentano il fulcro della ratio decidendi della pronuncia impugnata.
A tali rilievi di carattere generale si deve aggiungere, quanto al credito per TFR, che esso matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale e diviene esigibile solo al momento della cessazione definitiva del rapporto di lavoro
(Cass., sez. I, 27 febbraio 2020, n. 5376). L’esigibilità, indispensabile per attivare la tutela del Fondo di garanzia, non sussiste nell’ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro con la società cessionaria.
5.1. L’INPS ben può contestare la carenza degli elementi costitutivi del diritto di credito a una prestazione previdenziale, distinto e autonomo rispetto al credito retributivo vantato nei confronti del datore di lavoro e rimasto insoddisfatto (fra le molte, sentenza n. 37789 del 2022, cit., punto 4 delle Ragioni della decisione). Né hanno rilievo preclusivo le risultanze dello stato passivo atteso che la definitività dello stato passivo, che consacra il credito del lavoratore, impedisce all’INPS soltanto d i «opporre eccezioni derivanti da ragioni interne al rapporto di lavoro che mirino a contestare esistenza ed entità dei crediti in ragione del concreto atteggiarsi delle situazioni giuridiche soggettive del lavoratore e del datore di lavoro» (Cass., sez. lav., 19 luglio 2018, n. 19277, punto 18 delle Ragioni della decisione).
Il credito del lavoratore non può essere agganciato «senza limiti temporali e prescindendo dalla attuale individuazione dei soggetti del rapporto di lavoro, ad uno degli ex datori di lavoro, interessati dalle vicende circolatorie pregresse, che viene dichiarato fallito in epoca in cui il rapporto di lavoro non è più in essere nei confronti del lavoratore istante perché proseguito con altro soggetto» (sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 32 delle Ragioni della decisione).
6.1. Una diversa interpretazione distoglierebbe il Fondo di garanzia, «finanziato dai contributi dei datori di lavoro e dallo Stato, dalla sua funzione primaria, in contrasto con l’art. 2, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982, che vieta d’impiegare le disponibilità del Fondo ‘al di fuori della finalità
istituzionale del fondo stesso’» (Cass. n. 37789 del 2022 , punto 5 delle Ragioni della decisione).
È indicativo che sia stato necessario un intervento espresso del legislatore, con l’art. 368, comma 4, lettera d), del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, per sancire, in ipotesi circoscritte, quell’immediata esigibilità del trattamento di fine r apporto nei confronti del cedente dell’azienda, che rappresenta presupposto imprescindibile per l’attivazione del Fondo di garanzia (Cass. n. 23562 del 2024, punto 7 delle Ragioni della decisione).
7.1. Tale disciplina, contraddistinta da un carattere marcatamente innovativo (cfr. Cass. n. 37789 del 2022, cit., punto 9.3. delle Ragioni della decisione), è inapplicabile ratione temporis alla fattispecie controversa come anche l’INPS non manca di osservare (pagina 23 del controricorso).
8 . Quanto agli accordi derogatori all’art. 2112 cod. civ., non rivestono il rilievo risolutivo che il ricorso delinea.
8.1. Questa Corte ha evidenziato, a tale riguardo, che «l’intervento del Fondo di garanzia, costituendo adempimento di un’obbligazione pubblica che trova nella legge (in specie, comunitaria) la propria disciplina, non può che rimanere insensibile ad eventuali pattuizioni intercorse tra le parti private con cui -in deroga alla garanzia apprestata dall’art. 2112 cod. civ. -si sia esclusa la solidarietà dell’impresa cessionaria, trattandosi di res inter alios acta» (Cass. n. 6842 del 2023 nel Considerato in diritto). L ‘intervento del Fondo di garanzia è assoggettato a una disciplina imperativa, «distinta da quella civilistica che regola, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., i rapporti tra lavoratore, affittante e affittuario dell’azienda. L’accordo sindacale concluso ai sensi dell’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990 incide si tali rapporti, non sul rapporto
previdenziale» (Cass. n. 16740 2024; nello stesso senso, ordinanza n. 23562 del 2024, cit., punto 9 delle Ragioni della decisione, e, di recente, sentenza n. 34292 del 2024, e n. 4265 del 2025 cit.). Né sono stati addotti argomenti persuasivi, che possano corroborare una rimeditazione di tale orientamento.
8.2. In definitiva In caso di cessione di azienda con prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario, a cui sia poi seguito il fallimento del cedente, non sussiste un obbligo di intervento del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS per il pagamento del TFR e delle ultime tre retribuzioni maturate dai lavoratori alle dipendenze del cedente stesso, nemmeno se detti crediti sono stati accertati e riconosciuti in sede concorsuale, in quanto il presupposto dell’insolvenza non riguarda il datore di lavoro con cui è in essere il rapporto al momento della sua cessazione, non rilevando in senso contrario l’accordo sindacale raggiunto ex art. 47, comma 5, l. n. 428 del 1990 (ratione temporis applicabile), non opponibile all’INPS, stipulato per liberare il cessionario dall’obbligazione solidale per i debiti pregressi (Cass. n. 2639 2025 cit.).
Quanto alla denunciata violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 80 del 1992 in relazione all’art. 2112 c.c. ed alla censura con la quale si deduce che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che il Fondo di Garanzia non fosse tenuto al pagamento dei contributi dovuti e non versati al Fondo di Previdenza complementare sempre sul rilievo che in realtà il rapporto non sarebbe cessato essendo proseguito con la cessionaria mentre invece esso si era risolto all’atto del trasferimento , va rilevato che con le sentenze sopra citate si è affermato, con riguardo alle quote di TFR non corrisposte al Fondo di previdenza complementare, che – come anche di recente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 11198 del 2024 ) nell’inquadrare la natura
delle somme che il datore di lavoro non ha versato e nel delineare funzione e limiti dell’intervento solidaristico del Fondo di garanzia, nel peculiare contesto della circolazione dell’azienda – il credito del lavoratore «al TFR accantonato presso il datore di lavoro, con la finalità di destinazione alla previdenza complementare e in origine di natura ‘retributiva’, assume natura ‘previdenziale’ nel momento di attuazione del vincolo di destinazione, vale a dire con il versamento, al Fondo di previdenza complementare, delle risorse finanziarie del lavoratore -sub specie di contribuzione o di conferimento di quote di TFR -accantonate dal datore di lavoro, su mandato del lavoratore medesimo» (sentenza n. 11198 del 2024, cit., punto 7 delle Ragioni della decisione e, nei medesimi termini, Cass., sez. lav., 28 giugno 2023, n. 18477). Ove il datore di lavoro non adempia all’obbligo di versare le quote del TFR al Fondo di previdenza prescelto dal lavoratore, il vincolo di destinazione non si attua, si scioglie il contratto di mandato e perciò si ripristina, per il lavoratore, la disponibilità piena di tali risorse. Ne consegue che il lavoratore, nei confronti del suo datore di lavoro, vanta il credito per il corrispondente importo di natura retributiva. Nel relativ o debito, in caso di cessione d’azienda, subentra il datore di lavoro cessionario (art. 2112 cod. civ.), tenuto ad adempiere nei medesimi termini.
10 . Non può essere, dunque, accolta la richiesta d’intervento del Fondo di garanzia ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 80 del 1992, avanzata per il fallimento del cedente, in quanto difetta il presupposto della sottoposizione dell’attuale datore di lavoro cessionario, con cui il rapporto di lavoro prosegue, ad una delle procedure di cui all’art. 1 del citato decreto legislativo. Presupposto che la disciplina imperativa di legge considera indefettibile per il sorgere dell’autonomo diritto alle prestazioni
erogate dal Fondo. L’insussistenza di tale presupposto, rilevata anche nella decisione impugnata, è dirimente.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
11.1. Quanto alle spese il consolidamento solo recente della giurisprudenza di questa Corte ne giustifica la compensazione tra le parti.
11.2. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del c itato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma il 29 aprile 2025
La Presidente
NOME COGNOME