Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14963 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14963 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1248-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall ‘ AVV_NOTAIO per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il DECRETO del TIBUNALE DI COMO depositato in data 20/11/2020;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell’adunanza in camera di consiglio del 17/4/2024;
FATTI DI CAUSA
1.1. Il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha accolto l’ opposizione allo stato passivo proposta da NOME COGNOME ed ha, per l’effetto, ammesso l’istante al passivo del fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dichiarato con sentenza del 6/2/2018,
per la somma di €. 496.200,00, quale capitale residuo, in collocazione ipotecaria, oltre interessi e spese.
1.2. Il tribunale, in particolare, per quanto ancora rileva, dopo aver, in sostanza, escluso che vi fosse tra gli atti del giudizio la prova che l’opponente, quale socio della RAGIONE_SOCIALE in bonis , avrebbe operato, come eccepito dal Fallimento, un finanziamento in favore della stessa per £. 1.500.000.000 e, soprattutto, che tale finanziamento, come invece affermato dal giudice delegato, sarebbe stato restituito con le ‘ ingenti somme che il COGNOME avrebbe percepito dalla società ‘ , ha ritenuto che: – il credito vantato dal COGNOME era fondato su un decreto ingiuntivo pronunciato il 23/7/2015, divenuto ‘ inoppugnabile ‘ in quanto ‘ dichiarato definitivamente esecutivo con decreto dell’1.12.2015 ‘ , in forza del quale, in data 26/11/2015, è stata iscritta ipoteca giudiziale di secondo grado sui beni immobili di proprietà della società poi fallita; – tale decreto era stato ‘ azionato e concesso sulla base di una qualificazione quale mera azione di regresso ‘, esercitata dall’istante a seguito d ell’ escussione da parte di San Paolo Imi, in data 11/9/2013, di un pegno di titoli per l’importo di €. 900.000,00, concesso dal COGNOME il 3/3/RAGIONE_SOCIALE, a garanzia di un finanziamento a suo tempo erogato dalla banca alla società poi fallita; – il giudizio d’opposizione a tale decreto ingiuntivo, avente ‘ ad oggetto una mera azione di regresso ‘ e non già di restituzione del finanziamento alla società, si è estinto a norma degli artt. 181 e 309 c.p.c., a nulla, per contro, rilevando che ciò era accaduto a seguito di transazione stragiudiziale, posto che il ‘ contenzioso definito … copre il dedotto e il deducibile ‘ e, comunque, che non è possibile indagare, in sede di ammissione allo stato passivo, ‘ sulla vera natura del credito sottostante il titolo giudiziale ormai consolidatosi ‘ .
1.3. D’altra parte, ha aggiunto il tribunale, se anche ciò fosse possibile, deve escludersi che l’art. 2467 c.c., invocato dalla curatela, possa trovare applicazione: – innanzitutto, perché si tratta di una norma entrata in vigore solo l’1/1/2004 , mentre il ‘ finanziamento indiretto ‘ in esame (ossia la ‘ costituzione in pegno di titoli per € 900.000 da parte del socio COGNOME ‘ ‘ a garanzia del finanziamento da parte di San Paolo IMI alla società nella sua fase di avvio ‘) è stato concesso con atto del 3/3/RAGIONE_SOCIALE, non rilevando, per contro, il momento in cui, in data 30/9/2013, il pegno è stato escusso dalla banca , ‘ che coincide semmai con l’insorgenza del diverso diritto di regresso e/o di surroga ‘; – in secondo luogo, perché , ‘ anche a voler seguire … la tesi della curatela ‘, ‘ il risultato non cambia’ , non emergendo elementi per ritenere che ‘ al momento della concessione del finanziamento risultasse uno squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o che la situazione finanziaria della società fosse tale da rendere preferibile un conferimento ‘, tanto più che la lunga parentesi tra il conferimento del pegno (3/3/RAGIONE_SOCIALE) e la sua escussione (30/9/2013) fa, in realtà, fondatamente ritenere che, all’epoca della conc essione del finanziamento, coincidente con la fase di inizio della società, non sussistessero, in difetto di prova da parte del Fallimento, gli squilibri tra patrimonio netto e indebitamento che la norma invocata presuppone.
1.4. Il credito vantato dall’opponente, pertanto, ha concluso il tribunale, d ev’essere ammesso allo stato passivo ‘ come richiesto ‘.
1.5. Il Fallimento, con ricorso notificato il 30/12/2020, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione del decreto, comunicato, come da relazione depositata insieme al ricorso, in data 30/11/2020.
1.6. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
1.7. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, il Fallimento ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 2909 e 2467, comma 2°, e 2741 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ammesso il credito vantato dall’opponente al passivo del fallimento in ragione della definitività del decreto ingiuntivo sul quale lo stesso risulta fondato, senza, tuttavia, considerare che, in sede di accertamento dello stato passivo, il giudice delegato può senz ‘altro indagare la natura sostanziale del credito, pur se portato da un titolo inoppugnabile, accertando, in particolare, ai fini della relativa collocazione ex art. 111 l.fall., che il credito azionato, come quello vantato dall’istante , pur se formalmente configurato come un’ azione di regresso, sia, nella sostanza, una richiesta di restituzione del finanziamento postergato, a norma dell’art. 2467, comma 2°, c.c., rispetto alla soddisfazione degli altri creditori.
2.2. Con il secondo motivo, il Fallimento ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 111, comma 6°, Cost., dell’art. 132, comma 2°, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, comma 1°, disp.att. c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ammesso il credito vantato dall’opponente al passivo del fallimento in ragione della definitività del decreto ingiuntivo dedotto a fondamento dello stesso, senza, tuttavia, spiegare le ragioni secondo le quali, a suo dire, il giudice delegato non può indagare, in sede di accertamento del passivo, la natura sostanziale del credito portato da un titolo inoppugnabile, come la sua natura postergata dello stesso a norma dell’art. 2467 c.c..
2.3. Con il terzo motivo, il Fallimento ricorrente, lamentando la violazione de ll’ art. 2467, comma 2°, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ammesso il credito vantato dall’opponente al passivo del fallimento ritenendo erroneamente che si trattava del credito di regresso che il socio aveva azionato per effetto della garanzia prestata in favore della società e dell’escussione della stessa da parte della banca , omettendo, però, di considerare che, in realtà, il credito del socio era sorto soltanto quando la banca, dopo avere revocato la linea di credito concessa alla società, ha provveduto, nel mese di settembre del 2013, ad escutere la garanzia concessa dal socio, il quale, infatti, avendo scelto di farsi escutere dalla banca, anziché ricapitalizzare la società come avrebbe dovuto ‘ alla luce della situazione in essere ‘ , ha, in tal modo, provveduto ad effettuare un finanziamento in favore della stessa e ad acquisire il conseguente diritto , postergato a norma dell’art. 2467 c.c ., ad ottenerne il rimborso.
2.4. Con il quarto motivo, il Fallimento ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 2467, comma 2°, c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ammesso il credito vantato dall’opponente al passivo del fallimento sen za considerare che, in realtà, alla data del 30/9/2013, sussistevano tutti gli elementi in forza dei quali il predetto credito doveva essere considerato come postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori. La società, infatti, ha osservato il Fallimento, a fronte della revoca degli affidamenti ad opera della banca, si trovava n ell’impossibilità di procedere al relativo rimborso e versava, quindi, nel mese di settembre del 2013, nella situazione finanziaria in cui, a norma dell’art. 2467, comma 2°,
c.c., sarebbe stato ragionevole un conferimento anziché un finanziamento. D’altra parte, ha aggiunto il Fallimento, anche a voler considerare la data in cui la garanzia è stata concessa, è documentato, come risulta da l verbale dell’assemblea del 25/2/RAGIONE_SOCIALE, che il finanziamento alla società era necessario per la prosecuzione dell’attività d’impresa, laddove la stessa, appena costituita, necessitava, in realtà, di capitale di rischio, e cioè di un conferimento, piuttosto che di un finanziamento da parte del socio.
2.5. Il quarto motivo, da esaminare preliminarmente, è infondato, con assorbimento degli altri.
2.6. Il ricorrente, infatti, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge, si duole, in sostanza, della ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, malgrado le asserite emergenze delle stesse, hanno escluso la sussistenza degli elementi di fatto necessari per ritenere che la situazione finanziaria della società poi fallita ‘ al momento della concessione del finanziamento’ asseritamente eseguito in suo favore dal socio opponente e risalente (secondo la tesi della curatela) ‘ al momento dell’escussione del pegno da parte della banca ‘, fosse caratterizzata, ai fini dell’applicazione dell’art. 2467 c.c., da ‘uno squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o che la situazione finanziaria della società fosse tale da rendere preferibile un conferimento ‘ .
2.7. La valutazione delle prove raccolte, tuttavia, compresa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. (Cass. n. 1234 del 2019; Cass. n. 1216 del 2006) e l’ idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit , i fatti ignoti da provare (Cass. n. 12002
del 2017), costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non per il vizio consistito, come stabilito dall’art. 360 n. 5 c.p.c., nell’avere del tutto omesso, in sede di accertamento della fattispecie concreta, l’ esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia.
2.8. L’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora gli accadimenti fattuali rilevanti in causa, come fatti costitutivi del diritto azionato ovvero come fatti estintivi, modificativi ovvero impeditivi dello stesso, siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. SU n. 8053 del 2014; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.).
2.9. La valutazione delle prove, al pari della scelta, tra le varie emergenze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle che ritenga più attendibili senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017).
2.10. Il compito di questa Corte, del resto, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura
degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta (con le prove ammesse ovvero offerte) un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall’art. 132 n. 4 c.p.c., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
2.11. Il tribunale, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio ed (implicitamente) escluso quelle (asseritamente contrarie) invocate dal Fallimento opposto, ha ritenuto, prendendo così in esame i fatti (costitutivi) rilevanti ai fini della decisione sull ‘eccezione sollevata dal Fallimento (e cioè che il credito azionato dall’opponente era un finanziamento riconducibile alla norma di cui all’art. 2467 c.c. e, come tale, postergato) e indicando le ragioni del convincimento espresso in ordine agli stessi in modo nient’affatto apparente, perplesso o contraddittorio, che la società poi fallita, ‘ al momento della concessione del finanziamento’ asseritamente eseguito in suo favore dal socio opponente e risalente (secondo la tesi della curatela) ‘ al momento dell’escussione del pegno da
parte della banca ‘, fosse caratterizzata, ai fini dell’applicazione dell’art. 2467 c.c., da ‘uno squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o che la situazione finanziaria della società fosse tale da rendere preferibile un conferimento ‘ .
2.12. Ed una volta escluso, come il tribunale ha ritenuto senza che tale apprezzamento sia stato utilmente censurato (nell’unico modo possibile, e cioè, a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c.), che a ll’epoca della concessione del dedotto finanziamento così come prospettato dalla curatela, ricorresse una situazione finanziaria in capo alla società tale da imporre l’applicazione dell’art. 2467 c.c. , giustificatamente mancava la sussistenza de i presupposti necessari per l’applicazione di tale norma; giudizio che non induce, evidentemente, a censure, per violazione di norme giuridiche, la decisione che il tribunale ha conseguentemente assunto, e cioè l’esclusione (pur a voler ammettere la possibilità di farlo in ragione dell’inoppugnabilità del relativo titolo giudiziale) della natura postergata del credito (restitutorio del finanziamento asseritamente erogato dal socio istante nei confronti della società) insinuato al passivo.
Il ricorso è, dunque, infondato e dev’essere, quindi, respinto.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/ 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di giudizio, che liquida in €. 11.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 /2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima