Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 259 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 259 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12205 R.G. anno 2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
ricorrente
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME e dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE; controricorrente avverso la SENTENZA n. 129/2023 emessa da CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI TARANTO
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Taranto che, in accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME, aveva accertato che il conto corrente n. 10032.11 acceso dall’attore presso il nominato istituto di credito, presentava, alla data del 31 dicembre 2015, un saldo attivo per il cliente di euro 56.459,46.
Nella resistenza di COGNOME, la Corte di appello di Lecce, sezione distacca di Taranto, ha riformato la sentenza di primo grado e rideterminato il saldo a credito del correntista nella minor somma di euro 26.208,85.
La banca ha impugnato per cassazione la pronuncia di appello con un ricorso articolato in un unico motivo, cui resiste, con controricorso, COGNOME.
E’ stata formulata , da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380bis c.p.c.. A fronte di essa, il difensore della parte ricorrente ha domandato la decisione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-La proposta ha il tenore che segue:
«la Corte d’appello di Lecce – sez. Taranto, per quanto qui rileva, ha ritenuto che, nel periodo anteriore al 1992, sia provata la concessione di credito al cliente per fatti concludenti, peraltro ammessa anche dal c.t.p. della banca, così che di essa occorra tenere conto al fine della qualificazione della natura delle rimesse;
«il motivo, che deduce violazione degli artt. 2033, 2697 e 2946 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto rilevante anche il c.d. fido di fatto nel periodo ante 1992, è inammissibile sotto plurimi profili: sia in quanto privo di specificità ex art. 366 c.p.c.; sia perché intende nella sostanza riproporre il giudizio sul fatto; sia, infine, in terzo luogo, ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1, c.p.c., laddove non considera che l’obbligo
della forma scritta per i contratti relativi alle operazioni ed ai servizi bancari è stato imposto dall’art. 3 l. n. 154 del 1992 (recante norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari), disposizione che ha acquistato efficacia, in virtù di quanto stabilito dall’art. 11, comma 4, della stessa legge, centoventi giorni dopo l’entrata in vigore della legge medesima, pubblicato sulla G.U. del 24 febbraio 1992, mentre prima dell’entrata in vigore della legge il contratto di apertura di credito era contratto a forma libera, suscettibile di conclusione anche per fatti concludenti (Cass. n. 19844/2022;, Sez. I 24 giugno 2008 n. 17090; n. 2915 del 1992; n. 3842 del 1996)».
2. Reputa il Collegio che il motivo sia effettivamente inammissibile.
La questione controversa è data dall’esistenza o meno , tra le parti, di un contratto di apertura di credito: circostanza, questa, idonea a incidere sulla qualificazione della natura, ripristinatoria o solutoria, delle rimesse oggetto della domanda di ripetizione, e quindi sulla decorrenza della prescrizione del relativo diritto.
Ha rilevato la Corte di appello che il detto contratto non avrebbe dovuto provarsi per iscritto, posto che la conclusione dello stesso doveva farsi risalire al periodo anteriore all’entrata in vigore della l. n. 154 del 1992; ha aggiunto che il consulente tecnico di parte della banca aveva ammesso espressamente che il conto corrente era stato affidato fin dal 1989 e che gli affidamenti risultavano dal prospetto delle segnalazioni alla Centrale dei rischi, nonché dagli estratti di conto corrente.
Ai rilievi formulati nella proposta può anzitutto aggiungersi che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti
costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 31 agosto 2020, n. 18092; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).
Quanto al tema della forma scritta merita precisare che il giudice è tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (Cass. 6 dicembre 2019, n. 31927, cit.; cfr. pure Cass. 17 luglio 2023, n. 20455). A tal fine, la Corte territoriale ben poteva reputare rilevanti elementi di prova diversi dalla documentazione dell’apertura di credito : infatti, in tema di prescrizione del diritto alla ripetizione di somme affluite sul conto corrente, la prova della natura ripristinatoria delle rimesse, di cui è onerato il correntista può essere fornita dando riscontro, attraverso presunzioni, della conclusione del contratto di apertura di credito, quando tale contratto sia stato concluso prima dell’entrata in vigore della l. n. 154 del 1992 e del d.lgs. n. 385 del 1993, o quando, pur operando, per il periodo successivo a quest’ultima disciplina, la nullità del contratto per vizio di forma, il correntista o il suo avente causa non facciano valere, a norma dell’art. 127, comma 2, del citato d.lgs., la nullità stessa (Cass. 14 dicembre 2023, n. 34997).
Tra tali elementi probatori rientrano, poi, le dichiarazioni formulate dal consulente tecnico di parte: infatti, le ammissioni del consulente tecnico di parte non hanno valore confessorio, ma costituiscono comunque validi indizi che il giudice di merito può liberamente valutare e porre a base del proprio convincimento (Cass. 17 ottobre 1978, n. 4645). Per il resto, viene in questione un accertamento di fatto non sindacabile nella presente sede: la
valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. 19 luglio 2021, n. 20553).
-Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Tr ovano applicazione le statuizioni di cui all’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c. , giusta l’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c.. I relativi importi possono fissarsi, rispettivamente, nella stessa somma liquidata a titolo di spese giudiziali e in euro 2.500,00.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore del difensore della parte controricorrente, antistatario, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 4.300,00 in favore della parte controricorrente, e di una ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione