Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3887 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3887 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE NOME, quale amministratore della società e in proprio rappresentati e difesi da ll’ Avv. NOME COGNOME, pec: EMAIL,
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del credito da Monte dei Paschi di Siena, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’Avv. NOME COGNOME del Foro di Verona
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 2018/2023 del 13.10.2023, notificata il 13.10.2023.
Oggetto:
conto
corrente
fideiussione
omnibus
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del l’8.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .-Con atto di citazione notificato il 23.7.2019 RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Giovanna opponevano il decreto ingiuntivo n. 2093/2019 emesso dal Tribunale di Verona su richiesta di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. per il pagamento della somma di € 353.218,62 quale saldo debitore alla data del 7.12.2018 del conto corrente n. 17587/20 e del conto anticipi n. 86489316/42 accesi dalla società opponente e per i quali la RAGIONE_SOCIALE aveva prestato fideiussione in data 2.11.2017.
Le opponenti eccepivano l’illegittima revoca degli affidamenti concessi, l’erronea indicazione del TAEG, l’illegittima capitalizzazione degli interessi passivi, l’indeterminatezza delle condizioni contrattuali relative alla commissione di istruttoria veloce e l’applicazione di spese e giorni valuta in difetto di specifica pattuizione. Chiedevano, inoltre, di accertare la nullità totale della fideiussione o in subordine delle clausole n. 2, 6 e 8 per violazione della legge n. 287 del 1990 in ragione della conformità della stessa allo schema predisposto dall’ABI oggetto del provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2.5.2005 e la conseguente liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1957 cod. civ.
2.─ Il Tribunale adito con sentenza n 211/2022 accoglieva parzialmente l’opposizione per i motivi volti a ridiscutere la legittimità degli interessi e degli altri oneri applicati dall’istituto di credito, rideterminando quanto dovuto ad RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, previa revoca del decreto opposto, in € 324.670,65 oltre accessori. Accertava, quindi, la violazione della legge n. 287/ 1990 da parte dell’istituto di credito e, in ragione della conseguente disapplicazione delle clausole n. 2, 6 e 8, la liberazione del fideiussore per decorso del termine di cui all’art. 1957 c.c.
(presentazione del ricorso per decreto ingiuntivo oltre i sei mesi dalla revoca degli affidamenti concessi e dall’intimazione del pagamento delle somme dovute).
3.RAGIONE_SOCIALE ha proposto gravame dinanzi la Corte di Appello di Venezia che, con la sentenza qui impugnata, ha accolto parzialmente l’appello e ha condannato l’appellata NOME COGNOME al pagamento, in solido con RAGIONE_SOCIALE in favore della stessa RAGIONE_SOCIALE della somma di € 324.670,65 oltre interessi legali dall’8.12.2018 , oltre la rifusione di 4/5 delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:
La coincidenza testuale fra la fideiussione sottoscritta dalla Saltaformaggio nel 2017 ed il modulo di fideiussione ommibus predisposto nel 2003 dall’ABI rappresenta va un elemento rilevante, ma non sufficiente per accertare la violazione della legge n. 287 del 1990: gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contenevano disposizioni che la Banca d’Italia aveva ritenuto in contrasto con la disciplina antitrust solo nella misura in cui venivano applicate in modo uniforme;
b) nel caso in esame, in cui la garanzia era stata prestata a distanza di tempo dagli accertamenti condotti dalla Banca d’Italia, occorre va stabilire se l’intesa censurata dall’organo di vigilanza fosse ancora operante al momento della sua sottoscrizione: gli accertamenti della Banca d’Italia presentano, infatti, un ‘ efficacia probatoria privilegiata solo per le garanzie anteriori al 2003 o per quelle di poco posteriori all’istruttoria conclusasi con il provvedimento n. 55 del 2005 ;
c) non era stata raggiunta la prova dell’applicazione uniforme della clausola di deroga all’art. 1957 c.c. al momento della stipula della fideiussione di cui è causa, sicché la specifica approvazione della clausola n. 6, necessaria ai sensi dell’art. 1341 c.c. , rendeva
irrilevante la mancata proposizione dell’azione giudiziale da parte dell’istituto di credito entro il termine semestrale .
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE NOME, hanno proposto ricorso per cassazione con due motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
5.Il Consigliere delegato ha proposto la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. per inammissibilità del ricorso.
Con istanza del 22.4.2024 la ricorrente ha chiesto la fissazione di udienza in camera di consiglio conferendo specifica procura alle liti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
─ I ricorrenti propongono i mezzi di censura che seguono.
Con il primo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 in ordine a quanto riportato a pagina 6-78 dell’impugnata sentenza.
Con il secondo motivo: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in ordine a quanto riportato a pagina 6 dell’impugnata sentenza.
7.1. ─ La proposta ha il tenore che segue:
«Il ricorso è palesemente inammissibile.
È inammissibile il primo mezzo.
Esso è formulato come motivo cumulato in violazione del ribadito principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa
applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. 9 maggio 2018, n. 11222, Sez. I; Cass. 7 febbraio 2018, n. 2954, Sez. II; Cass. 20 novembre 2017, n. 27458, Sez. Lav.; Cass. 5 ottobre 2017, n. 23265 Sez. Lav.; Cass. 6 luglio 2017, n. 16657, Sez. III; Cass. 23 giugno 2017, n. 15651, Sez. III; Cass. 31 marzo 2017, n. 8333, Sez. III; Cass. 31 marzo 2017, n. 8335, Sez. III; Cass. 25 febbraio 2017, n. 4934, Sez. II; Cass. 10 febbraio 2017 n. 3554, Sez. III; Cass. 18 ottobre 2016, n. 21016, Sez. II; Cass. 28 settembre 2016, n. 19133, Sez. Trib.; Cass. 2 marzo 2012, n. 3248, Sez. III; Cass. 23 settembre 2011, n. 19443, Sez. III). Una tale impostazione, che assegna al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente al fine di decidere successivamente su di esse, è inammissibile, perché sovverte i ruoli dei diversi soggetti del processo, e rende il contraddittorio aperto a conclusioni imprevedibili, gravando l’altra parte del compito di farsi interprete congetturale delle ragioni che il giudice potrebbe discrezionalmente enucleare dal conglomerato dell’esposizione avversaria.
Del tutto erroneo è poi il richiamo all’articolo 2697 c.c., giacché è cosa nota che la violazione di esso si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949): nel caso in esame il giudice di merito non è affatto incorso nel predetto ribaltamento del riparto degli oneri probatori, ma ha
semplicemente ritenuto, sulla base della documentazione prodotta dal fideiussore, che detta documentazione non dimostrasse l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale, è evidente essendo che il nodo provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia numero 55 del 2005 non dispiega efficacia probatoria in relazione al fideiussioni sottoscritte addirittura dodici anni dopo.
In fin dei conti si tratta del comune tentativo, attraverso l’impiego dell’articolo 2697 c.c., di rimettere inammissibilmente in discussione l’accertamento di merito svolto dalla Corte territoriale, e che, in sede di legittimità, non è censurabile sono per vizio motivazionale, nei limiti in cui detta censura è tuttora spendibile.
È parimenti inammissibile il secondo mezzo, che combina inestricabilmente, ed in modo incomprensibile il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., numero 5, ossia l’omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso, con la violazione dell’articolo 115 c .p.c., in questo caso richiamato in riferimento al principio di non contestazione. Ora, l’assunto di parte ricorrente secondo cui l’esistenza dell’impresa anticoncorrenziale sarebbe incontestata, a fronte della dichiarazione della banca: «si contesta in primo luogo espressamente l’avversa affermazione, del tutto in dimostrata, secondo cui Banca Montepaschi, avrebbe pacificamente aderito all’intesa anticoncorrenziale censurata», apparirebbe spiegato contro l’evidenza, se non fosse che l’accertamento della su ssistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490)».
8 .-I rilievi svolti nella nominata proposta meritano convinta condivisione.
9 .-Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate come in dispositivo. Per essere stato il presente giudizio definito conformemente alla proposta ex art. 380-bis c.p.c., trovano applicazione le previsioni di cui al comma 3 e al comma 4 dell’art. 96 c.p.c.
.
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra di loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in euro 4.500 per compensi e euro 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge; condanna i ricorrenti, in solido tra di loro, al pagamento delle ulteriori somme di euro 4.500 nei confronti della controricorrente e di euro 2.500 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione