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Fideiussione omnibus nulla: l’onere della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una società e dalla sua garante contro una società di gestione del credito. I ricorrenti sostenevano la nullità di una fideiussione omnibus per violazione della normativa antitrust, basandosi sulla sua somiglianza con uno schema ABI del 2003. La Corte ha stabilito che il ricorso mescolava impropriamente diversi motivi di impugnazione e che i ricorrenti non avevano soddisfatto l’onere della prova, poiché la semplice somiglianza testuale, a distanza di molti anni, non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un’intesa illecita al momento della stipula. Di conseguenza, la condanna al pagamento emessa dalla Corte d’Appello è stata confermata.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Fideiussione Omnibus Nulla: L’Onere della Prova e i Limiti del Ricorso in Cassazione

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sulla questione della fideiussione omnibus nulla per violazione della normativa antitrust e sui rigorosi requisiti procedurali per impugnare una decisione sfavorevole in Cassazione. La Suprema Corte, dichiarando il ricorso inammissibile, chiarisce come la semplice somiglianza testuale di una garanzia con un vecchio schema ABI non sia sufficiente a provarne l’illegittimità, specialmente per contratti stipulati a distanza di anni. Questo caso evidenzia il ruolo cruciale dell’onere della prova e i rischi di una formulazione impropria dei motivi di ricorso.

I Fatti di Causa e lo Sviluppo Processuale

La vicenda ha origine dall’opposizione a un decreto ingiuntivo emesso nei confronti di una società a responsabilità limitata e della sua amministratrice, in qualità di fideiussore. Il decreto richiedeva il pagamento di un cospicuo importo, derivante dal saldo debitore di un conto corrente e di un conto anticipi, garantito da una fideiussione omnibus sottoscritta nel 2017.

Gli opponenti contestavano diverse irregolarità, tra cui l’illegittima capitalizzazione degli interessi, e, soprattutto, la nullità totale della fideiussione. Essi sostenevano che il contratto fosse conforme allo schema predisposto dall’ABI, oggetto di un provvedimento della Banca d’Italia del 2005 che ne aveva censurato alcune clausole (n. 2, 6 e 8) per violazione della legge antitrust (L. 287/1990).

Il Tribunale di primo grado accoglieva parzialmente l’opposizione, rideterminando il debito della società e dichiarando la liberazione della fideiussore, avendo riscontrato la violazione della normativa antitrust e disapplicato le clausole illecite.

Successivamente, la Corte di Appello, su gravame della società di gestione del credito, ribaltava la decisione riguardo alla garante, condannandola in solido al pagamento della somma rideterminata. La Corte territoriale riteneva che la sola coincidenza testuale tra la fideiussione del 2017 e lo schema ABI del 2003 non fosse prova sufficiente a dimostrare la persistenza di un’intesa anticoncorrenziale a distanza di dodici anni dal provvedimento della Banca d’Italia.

La Decisione della Corte di Cassazione: L’Inammissibilità del Ricorso

La società e la sua garante hanno quindi proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi: la violazione e falsa applicazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e l’omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, n. 5, c.p.c.).

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso palesemente inammissibile per diverse ragioni di natura processuale.

La Prova della Fideiussione Omnibus Nulla

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella critica ai motivi di ricorso. La Corte ribadisce un principio consolidato: è inammissibile un ricorso che mescola e sovrappone mezzi di impugnazione eterogenei, come la violazione di norme di diritto (error in iudicando) e il vizio di motivazione (error in procedendo). Tale commistione rende confusa l’esposizione e impedisce alla Corte di legittimità di comprendere chiaramente quale censura sia stata mossa alla sentenza impugnata.

Inoltre, i giudici hanno ritenuto del tutto errato il richiamo all’art. 2697 c.c. sull’onere della prova. La violazione di tale norma si configura solo quando il giudice attribuisce l’onere probatorio a una parte diversa da quella su cui grava per legge, e non quando, come nel caso di specie, valuta in modo non condiviso l’esito della prova. La Corte d’Appello non ha invertito l’onere della prova, ma ha semplicemente ritenuto che la documentazione prodotta dalla fideiussore non fosse sufficiente a dimostrare l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale ancora operante nel 2017.

L’inammissibilità del Secondo Motivo

Anche il secondo motivo, relativo all’omessa considerazione di un fatto decisivo, è stato giudicato inammissibile. I ricorrenti lamentavano una presunta non contestazione da parte della banca circa la sua adesione all’intesa anticoncorrenziale. La Cassazione ha smontato questa tesi, definendola incomprensibile e spiegata ‘contro l’evidenza’. L’interpretazione del contenuto degli atti di parte e la valutazione sulla sussistenza o meno di una non contestazione rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito e possono essere censurate in Cassazione solo per vizio di motivazione, nei ristretti limiti oggi consentiti.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità sulla base di rigorosi principi procedurali. In primo luogo, ha sanzionato la tecnica redazionale del ricorso, che cumulava in modo indistinto censure diverse, rendendo impossibile per il giudice di legittimità esercitare il proprio ruolo di controllo sulla corretta applicazione della legge. In secondo luogo, ha chiarito che la valutazione delle prove è compito esclusivo del giudice di merito. La Corte d’Appello aveva logicamente argomentato che il provvedimento della Banca d’Italia del 2005 non poteva avere un’efficacia probatoria illimitata nel tempo, soprattutto per contratti stipulati dodici anni dopo. Spettava ai ricorrenti dimostrare che l’intesa restrittiva della concorrenza fosse ancora in atto al momento della firma della fideiussione, una prova che, secondo i giudici di merito, non era stata fornita. Pertanto, il tentativo di rimettere in discussione l’accertamento di fatto tramite il pretesto della violazione dell’onere della prova era destinato a fallire.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida l’orientamento secondo cui chi intende far valere la nullità di una fideiussione omnibus per violazione della normativa antitrust ha l’onere di fornire una prova rigorosa dell’esistenza e dell’operatività dell’intesa illecita al momento della stipula del contratto. La mera conformità del testo a vecchi schemi non è, di per sé, sufficiente. Dal punto di vista processuale, la decisione funge da monito sull’importanza di formulare i motivi di ricorso per cassazione in modo chiaro, distinto e conforme alle categorie previste dal codice di procedura civile. La confusione e la sovrapposizione di censure diverse conducono inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, precludendo ogni esame sul merito della questione.

È sufficiente la somiglianza testuale di una fideiussione omnibus con lo schema ABI del 2003 per provarne la nullità per violazione della normativa antitrust?
No. Secondo la Corte, specialmente per le fideiussioni stipulate molti anni dopo il provvedimento della Banca d’Italia del 2005, la sola coincidenza testuale non costituisce prova sufficiente. È onere di chi eccepisce la nullità dimostrare che l’intesa anticoncorrenziale fosse ancora operante al momento della sottoscrizione della garanzia.

Quali sono le conseguenze se un ricorso per cassazione mescola motivi di impugnazione diversi?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte Suprema ribadisce il principio che non è consentita la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei (es. violazione di legge e vizio di motivazione), poiché ciò rende confusa l’impugnazione e impedisce alla Corte di svolgere il proprio ruolo.

A chi spetta l’onere di provare l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale che rende nulla una fideiussione?
L’onere della prova spetta alla parte che eccepisce la nullità, ovvero al fideiussore. Nel caso specifico, il giudice di merito ha ritenuto che il fideiussore non avesse fornito prove adeguate a dimostrare l’applicazione uniforme dello schema anticoncorrenziale nel 2017, e la Cassazione ha confermato che tale valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizi specifici che non erano stati correttamente proposti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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