Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2683 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2683 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
LO GIUDICE COGNOME LO GIUDICE COGNOME E COGNOME , rappresentati e difesi da ll’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrenti –
Contro
RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria dei crediti di Intesa San Paolo s.p.a. (già BANCO DI NAPOLI S.P.A.), rappresentata e difesa da ll’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’Avv. NOME COGNOME pec:EMAIL
-controricorrente
–
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro n. 301/2021, pubblicata il 11.3.2021, notificata il 1°.4.2021.
Oggetto:
Fideiussione
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con ricorso ai sensi dell’art. 633 c.p.c. Sanpaolo Banco di Napoli spa ha convenuto in giudizio gli attuali ricorrenti precisando: di avere stipulato con COGNOME NOME un contratto di apertura di credito in conto corrente nel 1992 recante il n. 27/1730 e di essere creditore in relazione a detto contratto della somma di € 108.911,84 oltre interessi; che a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni con distinti atti avevano prestato fideiussione COGNOME NOME, Lo COGNOME NOME e Lo COGNOME NOME sino alla concorrenza di € 387.348,67; di avere comunicato il recesso del contratto di conto corrente. Ha chiesto, quindi, di ingiungersi a COGNOME NOME, quale debitore principale, e Corleone NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali fideiussori, in solido il pagamento della somma di € 108.911,84, oltre interessi. Avverso il decreto ingiuntivo n. 865/05 gli ingiunti hanno proposto due distinte opposizioni (debitore principale e fideiussori).
2. ─ Il tribunale di Cosenza revocava il decreto ingiuntivo e condannava gli opponenti in solido, al pagamento, in favore della banca opposta, della somma di € 78.679,62, oltre interessi fino al soddisfo; compensava per metà le spese del giudizio e della consulenza tecnica di ufficio e condannava gli opponenti al pagamento, in favore della Banca, della restante metà di dette spese.
3 .─ Lo Giudice NOME, Lo Giudice NOME e COGNOME NOME proponevano gravame dinanzi alla Corte di Appello di Catanzaro che, con sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello.
4 .─ Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che:
la decadenza del creditore dall’obbligazione fideiussoria ai sensi dell’articolo 1957 c.c. per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale può formare
oggetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore, trattandosi di pattuizione affidata alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione da parte del fideiussore, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore;
la clausola relativa a detta rinuncia non rientra, peraltro, tra quelle particolarmente onerose per le quali l’art. 1341, comma 2, c.c. esige, nel caso che siano predisposte da uno dei contraenti, la specifica approvazione per iscritto dell’altro contraente. Peraltro, la clausola derogatoria in esame risulta specificatamente sottoscritta, ai sensi dell’art. 1341, comma 2, c.c., e, validamente, in quanto richiamata « espressamente e distintamente in calce all’atto fideiussorio »;
non è configurabile alcuna omessa motivazione, trattandosi di allegazioni svolte, inammissibilmente (e quindi non esaminabili neanche dalla corte di merito), per la prima volta in tale grado, avendo in primo grado gli appellanti lamentato unicamente l’illegittimità dell’operato recesso;
il tasso di interessi risulta convenzionalmente stabilito nella misura del 14,75%, nella lettera di apertura di credito in conto corrente del 17 aprile 1992; il consulente tecnico di ufficio ha espletato l’accertamento considerando il « tasso convenzionale bancario »;
gli appellanti, con il contratto dai medesimi stipulato, si sono costituiti fideiussori, « sino alla concorrenza dell’importo di £ 750.000.000 per l’adempimento delle obbligazioni … dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura, già consentite o che venissero in seguito consentite »;
nel contratto di apertura di credito in conto corrente è previsto all’art. 139, con clausola specificatamente approvata ai sensi dell’art. 1341 c.c., che: « Il Banco ha la facoltà di recedere in qualsiasi momento, anche con comunicazione verbale, dall’apertura di credito ancorché concessa a tempo determinato, nonché di
ridurla o sospenderla. Per il pagamento di quanto dovuto verrà dato al cliente, con lettera raccomandata, un preavviso non inferiore ad un giorno »;
il recesso dal contratto di apertura di credito costituisce una facoltà riconosciuta dall’art. 1845 c.c., sicché risulta adeguatamente motivato anche attraverso il mero richiamo a quella norma; è invece la parte che assume l’illegittimità del recesso (ad esempio per arbitrarietà e contrarietà al principio di buona fede) che ha l’onere di enunciarne le ragioni e di fornire la relativa prova nel caso concreto.
─ Lo Giudice NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno presentato ricorso per cassazione con due motivi ed anche memoria.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente deduce:
─ Con il primo motivo: Insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360, n. 5, c.p.c.) su un fatto controverso e decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; violazione e falsa applicazione degli artt. 115, comma 3, e 116 c.p.c. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1341, 1957 e 1469 bis c.c. (art. 360, n.3, c.p.c.). Violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c. Nullità delle clausole di cui ai nn. 2, 6 e 8 della fideiussione per violazione di norme imperative e nella specie articolo 2, comma 1, l. n. 287/1990 (art. 360, n. 3 c.p.c.)
5.1 -La censura articola una pluralità di doglianze, complessivamente inammissibili.
Innanzitutto, lamenta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. perché la Corte non avrebbe esaminato una serie di evidenze presentate in entrambi i gradi di giudizio. La censura non considera che la sentenza della Corte qui impugnata è conforme alla sentenza
di primo grado, sicché trova applicazione l’art. 348 ter , ultimo comma, c.p.c. (qui applicabile ratione temporis -pur essendo stato abrogato dall’art. 3, comma 26, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ai sensi dell’art. 35, commi 1 e 4, d.lgs. cit., trattandosi di ricorso per cassazione proposto in data anteriore al 28 febbraio 2023), a mente del quale in caso di « doppia conforme » non è ammesso il ricorso per cassazione per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. Sarebbe stato, dunque, onere -non assolto -della ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. U., n. 8053/2014; Cass., n. 5528/2014; Cass., n. 26774/2016; Cass., n.2630/2024; e successive conformi). A tale onere dimostrativo, invece, la ricorrente si è completamente sottratta (Cass., n. 5947/2023; Cass., n. 26934/2023).
La doglianza sulla non corretta sottoscrizione della clausola derogatoria non si confronta con la ratio decidendi della sentenza che è fondata sulla non vessatorietà della clausola e, quindi, sulla non necessità di approvazione specifica. La statuizione recepisce il consolidato orientamento che ha più volte statuito che la clausola in esame non è considerata vessatoria (Cass., n. 2034/1974 e Cass., n. 9245/2007): se il contratto fosse diversamente conformato non può essere del resto qui accertato, a fronte di quanto ritenuto dalla corte di merito, la quale ha opinato che nella fattispecie ricorresse la situazione descritta dalla giurisprudenza dalla essa richiamata.
Sulla nullità derivante dall’intesa restrittiva accertata da Banca d’Italia, come la stessa difesa del ricorrente ricorda, questa Corte ha più volte sancito che eventuali nullità possono essere rilevate in ogni stato e grado del processo, ma soltanto laddove emerga dagli atti di causa l’eventuale nullità. In questa sede è stata prospettato l’assunto secondo cui il contratto in questione conterrebbe clausole riproducenti quelle allegate dal modello ABI, sanzionate come
frutto di un’intesa restrittiva della concorrenza dal noto provvedimento della Banca d’Italia del 2 maggio 2005.
Ma ciò, di per sé, non è punto decisivo. In proposito la Corte di cassazione ha recentemente osservato: « Passando alla questione della rilevazione officiosa della nullità parziale del contratto ‘a valle’ dell’intesa anticoncorrenziale, nullità che, nell’ottica della pronuncia delle Sezioni Unite, si produce di default , è agevole osservare che essa rilevazione richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione, e cioè: i) l’esistenza del provvedimento della Banca d’Italia; ii) la natura della fideiussione, giacché il provvedimento della Banca d’Italia è riferito solo ed esclusivamente alle fideiussioni omnibus , non a quelle prestate per un affare particolare…; iii) l’epoca di stipulazione della fideiussione, che deve essere stata stipulata entro l’ambito temporale al quale può essere riferito l’accertamento della Banca d’Italia, evidente essendo che detto accertamento, operato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, di guisa che, in caso di compresenza delle tre clausole successivamente al 2005, l’interessato ben può dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale c’è, ma non certo in base al provvedimento precedente, bensì offrendone altra e specifica prova; iv) il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità e la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato, esatta corrispondenza da riguardare, beninteso, in termini di compresenza, giacché, nella prospettiva seguita dal provvedimento n. 55, è la compresenza delle clausole ad essere lesiva della concorrenza; v) la concreta ricaduta della nullità delle clausole contrattuali sulla sussistenza, in tutto o in parte, del debito gravante sul fideiussore, sempre che tale ricaduta possa ancora essere invocata, il che impone di rammentare, quanto alla rinuncia ai termini di cui all’articolo 1957 c.c., che, come
questa Corte ha ribadito numerosissime volte, l’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria ha natura di eccezione propria e non di mera difesa (a mero titolo di esempio Cass. n. 8023/2024), di guisa che il rilievo officioso della nullità della clausola non interferisce con la eventualmente ormai consumata preclusione dell’eccezione fondata sulla stessa » (Cass., n. 30383/2024).
Il che chiude il discorso sotto plurimi profili, essendo qui sufficiente evidenziare che, in disparte ogni altra considerazione, non risulta dal ricorso quali ricadute avrebbe avuto, e perché, l’ipotizzata applicabilità dell’articolo 1957 c.c.
6. -Con il secondo motivo: Insufficiente e contraddittoria motivazione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360, n.5 c.p.c.). Violazione dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1135 c.c. Illegittimità del recesso della banca dai contratti di apertura di credito in conto corrente e anticipazione crediti per abuso di posizione dominante.
6.1 ─ La censura è inammissibile, poichè si fonda su una diversa prospettazione e valutazione delle circostanze di fatto che hanno preceduto il recesso, lamentando, tra l’altro, la illegittimità del breve lasso di tempo indicato nella clausola per il rientro dall’esposizione debitoria, dimenticando, tra l’altro, che nel primo motivo di ricorso aveva evidenziato che tra l’esercizio del diritto e l’inizio dell’attività giudiziale di recupero era trascorso più di un anno e quindi il comportamento della banca era stato sostanzialmente di ampia tolleranza. In ogni caso si tratta di valutazione di elementi di fatto preclusa in sede di legittimità rispetto alla considerata legittimità del recesso e della sua motivazione operata dal giudice di merito.
Va sottolineato che nemmeno in questa sede la parte ricorrente ritiene opportuno specificare la censura relativa all’abuso di
posizione dominante nell’accezione più volte indicata dalle statuizioni di questa Corte (cfr., sul punto ex multis Cass., n.3052/2024).
7. ─ Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti, in solido tra di loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo
P.Q.M .
La Corte dichiara il ricorso inammissibile, e condanna i ricorrenti, in solido tra di loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 7.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido tra di loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima