Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26302 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26302 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14747/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL)
-ricorrente-
contro
INTESA SANPAOLO SPA, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 3020/2020 depositata il 23/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 24 maggio 2021, illustrato da memoria, i sigg. NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione in relazione alla sentenza n.3020/2020 della Corte d’ Appello di Bologna, depositata il 23.11.2020, emessa in un giudizio avviato da RAGIONE_SOCIALE San Paolo per escutere la fideiussione dai medesimi rilasciata il 18.5.2010.
Resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
I ricorrenti venivano condannati dal Tribunale di Parma a pagare l’importo di € 285.468,35 in linea capitale per saldo passivo di un conto insoluti, previo rigetto delle eccezioni di nullità della garanzia fideiussoria rilasciata per genericità e indeterminatezza dell’oggetto. In sede di appello deducevano che la garanzia era fosse circoscritta solo ad anticipi su fatture e a una linea di credito non più concessa. In sede di comparsa conclusionale deducevano la nullità della fideiussione per conformità allo schema ABI.
La corte d’ appello adita riteneva che, quanto alla questione della nullità della fideiussione per contrasto con la normativa concorrenziale, l’eccezione non fosse provata in mancanza della dimostrazione che le clausole di cui alla fideiussione fossero identiche a quelle sanzionate, trattandosi di una garanzia di molti anni successiva alla declaratoria di nullità dell’autorità bancaria, in linea con una corrente giurisprudenziale prevalente. In merito alla natura della fideiussione rigettava ogni eccezione, assumendo che la fideiussione fosse limitata all’importo di €
290.000 per l’adempimento di tutte le obbligazioni derivanti dal finanziamento dato in relazione a una linea di credito utilizzabile per anticipi salvo buon fine e/o anticipi fatture per € 800.000. Riteneva, inoltre, tardive le contestazioni mosse negli iscritti conclusivi circa l’assenza di prova di certezza, liquidità, esigibilità del credito ingiunto in asserita mancanza di tutti gli estratti conto, della prova della loro comunicazione e del contratto di scritto di affidamento. Riteneva, nel merito, generiche dette contestazioni, posto che in precedenza gli appellanti non avevano mai contestato, ma anzi allegato che vi fosse per la società un ‘castelletto’ anteriore al suddetto importo, sia pure per dedurne la cessazione al momento del rilascio della garanzia, in relazione al piano attestato di risanamento e agli accordi di moratoria intervenuti.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ex Art. 360, I co. n. 3 , violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287/90 (i.e. Legge antitrust) nonché dell’art. 1419, co. I, c.p.c. e degli articoli 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c. , non avendo la Corte di merito accertato, dichiarato né tantomeno rilevato la nullità totale della fideiussione omnibus per cui è causa.
Osserva questo Collegio che nelle more del presente giudizio vi è stato il risolutore intervento nomofilattico delle Sezioni Unite del 30.12.2021 che, con la sentenza n. 41994/21, risolvendo un contrasto sulla discussa questione della nullità totale o parziale del contratto di fideiussione corredato da simili pattuizioni, ha sancito che i contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419
c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata -perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Poiché il motivo è incentrato sulla pretesa nullità totale del negozio in esame, in assenza di deduzioni su una comprovata volontà delle parti di non volere contrarre l’obbligazione pur in assenza di dette clausole colpite da nullità relativa, pertanto, deve rilevarsene la manifesta infondatezza alla luce del suddetto principio cui questo Collegio intende conformarsi.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono ex art. 360, I co. n. 3, c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 c.c. 1346 c.c., 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c. per non avere la Corte d’appello dichiarato la nullità della fideiussione omnibus per genericità e indeterminatezza dell’oggetto, ed aver condannato i ricorrenti al pagamento dell’importo di euro 285.468,35 nonostante la totale carenza di allegazioni da parte della Banca, sulla quale ricadeva l’onere della prova, diretta a dimostrare la corretta determinazione del credito fatto valere. Denunciano, in particolare, che sia stato erroneamente ritenuto che la fideiussione del 18.05.2010 garantisse gli anticipi degli effetti anticipati salvo buon fine all’RAGIONE_SOCIALE, sia quelli precedenti alla sottoscrizione, sia quelli successivi che sarebbero sorti per effetto dei nuovi anticipi presentati nel periodo di vigenza di una moratoria concessa dal ceto bancario alla società. L’importo degli anticipi concessi durante la moratoria e non rimborsati ammonterebbe nel minore importo di euro 77.565,50.
Osserva questo Collegio che la deduzione non solo è inammissibile perché consiste in una critica in merito alle valutazioni operate dalla Corte d’appello, finalizzata a una nuova
formulazione del giudizio di fatto in contrasto con la funzione nomofilattica assegnata al giudice di legittimità, ma omette anche di censurare la ritenuta inammissibilità per tardività delle deduzioni svolte in sede di appello per la prima volta, che costituisce un prima ed autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata, non adeguatamente censurata.
Nel caso in esame, il giudice non si è spogliato della ” potestas iudicandi ” analizzando il merito della questione, atteso che l’art. 276 c.p.c. distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno di quest’ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni. Conseguentemente, la sentenza risulta sorretta da due diverse ” rationes decidendi “, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata. Sicché la mancata impugnazione della sentenza nella parte in cui ha pronunciato la tardività delle allegazioni, costituente giudicato interno, rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra statuizione (circa l’infondatezza di dette deduzioni), i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 15399 del 13/06/2018; Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 5102 del 26/02/2024).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro € 8 .200,00, di cui € 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento all’ufficio di merito competente, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto .
Così deciso in Roma, il 25/06/2024.