Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2432 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2432 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16426/2023 R.G. proposto da :
COGNOME CONCETTO, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME elettivamente domiciliati in CATANIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 252/2023 depositata il 13/02/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. ─ Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’appello di Catania ha respinto il gravame proposto dal Credito Siciliano spa avverso la pronuncia resa dal Tribunale di Ragusa nel giudizio di opposizione promosso dal RAGIONE_SOCIALE e dai suoi fideiussori NOME COGNOME e NOME COGNOME al decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti per il pagamento della somma di euro 256.886,15 € a titolo di saldo debitore del rapporto di conto corrente in essere con la banca.
Il Tribunale – premesso che le eccezioni relative all’indebita appostazione di oneri per euro 336.852,06, formulata per la prima volta con la prima memoria ex art. 183 c.p.c. mediante la produzione di una consulenza tecnica di parte, erano inammissibili, perchè fondate su fatti nuovi che parte opponente doveva allegare con l’opposizione – ha respinto tutti i motivi di opposizione ritenendo in particolare, per quel che qui ancora interessa, che: a) i rapporti di c/c n. NUMERO_DOCUMENTO e c/c n. NUMERO_DOCUMENTO erano da ritenersi distinti e autonomi in quanto, oltre all’evidente diversità di parti, ciascun rapporto doveva ritenersi disciplinato dal regolamento negoziale specificamente adottato; b) l’eccezione di nullità delle fideiussioni per violazioni della legge n. 287/1990, sollevata soltanto con la comparsa conclusionale, era infondata perché la violazione della legge c.d. antritrust dedotta non poteva
comportare la nullità delle clausole negoziali pur pattuite in ossequio ad un’intesa vietata, ma solo il diritto del consumatore al risarcimento del danno subito; c) l’eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. era inammissibile perché formulata successivamente all’atto introduttivo.
2. L’appello proposto dagli opponenti è stato respinto, in quanto la Corte di merito ha ritenuto: a) inammissibile l’eccezione di nullità del contratto di fideiussione quale contratto «a valle» dell’intesa ritenuta anticoncorrenziale e, perciò, ritenuta illecita con provvedimento della Banca d’Italia, poiché, pur trattandosi di questione rilevabile d’ufficio, sarebbe stato necessario che detta nullità emergesse da rituali allegazioni delle parti o da produzioni documentali tempestive in atti, come sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 26242/2014, per cui « la nullità può certamente essere eccepita in ogni Stato e grado del processo sempre che sia accertabile dal giudice sulla base di un impianto probatorio ritualmente acquisito al processo nell’imprescindibile rispetto delle preclusioni che il codice di dito pone all’onerato per la prova dei fatti costitutivi»; mentre nella specie era incontestato che la produzione del provvedimento della Banca d’Italia era avvenuto dopo il maturare delle preclusioni istruttorie ovvero con la comparsa conclusionale, né era stato prodotto lo schema dell’intesa predisposto dall’ABI cui – in tesi – si sarebbe conformato il contratto di fideiussione sottoscritto dagli appellanti, documento indispensabile per dimostrare che detto contratto fosse corrispondente all’intesa; b) benchè la società e i suoi fideiussori avessero dedotto (peraltro, tardivamente, solo nella prima memoria ex art. 183 c.p.c.) la continuità del rapporto di conto corrente n. NUMERO_DOCUMENTO (oggetto del decreto ingiuntivo) con quello recante il n. 1000083 (intrattenuto dall’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di Cannizzaro Concetto con la banca opposta), la mancanza di ogni domanda con riferimento a detto secondo
contratto di c/c (per illegittima appostazione di poste a debito a vario titolo) rendeva comunque, inammissibile la richiesta di riliquidazione del saldo passivo dell’unico rapporto posto in effetti alla base del decreto ingiuntivo opposto; c) anche a volere ritenere che con la prima memoria di trattazione gli appellanti avessero voluto estendere al rapporto di conto corrente n. NUMERO_DOCUMENTO tutte le domande originariamente proposte in sede di opposizione (accertamento dell’insussistenza del credito azionato per carenza di prova del rapporto), una tale domanda sarebbe stata in ogni caso tardiva; infine, comunque, come già rilevato dal Tribunale, non era ravvisabile alcuna continuità tra i due rapporti di conto corrente, né sotto il profilo soggettivo né sotto quello oggettivo.
3.- La sentenza è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE e dai suoi fideiussori NOME COGNOME e NOME COGNOME con ricorso per cassazione affidato a due motivi, al quale ha resistito RAGIONE_SOCIALE
4.E’ stata formulata una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c. La difesa di parte ricorrente ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., o, in subordine, dell’art. 1419 c.c., dell’art. 2 comma 2 lettera a) della legge n. 287/90, dell’art. 1421 c.c. nonché dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art 360 comma 1 n. 3 c.p.c,, e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte di Appello di Catania erroneamente statuito in ordine alla tardività dell’eccezione di nullità delle fideiussioni ex art. 1418 c.c., in quanto rilevata per la prima volta all’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, sebbene venisse in questione la violazione di norme imperative, in quanto tale eccepibile in ogni stato e grado del giudizio.
2.- Il secondo motivo censura la sentenza gravata sotto due diversi profili
ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 183 comma 5 e comma 6 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. per aver la Corte di Appello erroneamente ritenuto mai formulata una domanda con rifermento al c/c n. 1000083 e per aver reputato che comunque, quand’anche fosse stata implicitamente formulata, detta domanda fosse da qualificarsi come inammissibile in quanto domanda nuova ed «aggiuntiva»;
con riferimento al profilo relativo alla continuità/unitarietà tra i due rapporti di c/c, contesta ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame, tanto da parte della Corte di Appello che dal Giudice di prime cure, della completa documentazione versata in atti, nonché ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. dell’art. 2558 c.c. , oltre che degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., non avendo la Corte ben interpretato la detta disposizione in ordine all’istituto giuridico del conferimento.
2.- La proposta ha il tenore che segue.
« -il primo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis, n. 1, c.p.c., attesa la sentenza Cass., sez. un. 30 dicembre 2021, n. 41994, la quale ha sancito il principio di diritto secondo cui «I contratti di fideiussione ‘a valle’ di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata -perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti»;
dunque, le S.U. hanno escluso che operi la nullità integrale della fideiussione, limitando tale vizio alle mere clausole interessate: la nullità denunciata avrebbe carattere solo parziale (Cass. S.U. n. 41994/2021; n. 36183/2022), quindi irrilevante al fine di escludere la debenza del credito vantato, come preteso invece da parte ricorrente, che, invero, insiste proprio nella nullità assoluta delle fideiussioni prestate;
-la pretesa di mera decadenza dalla garanzia, ai sensi dell’art.1957 c.c., difetta invece della stessa allegazione degli elementi costitutivi di tale fattispecie ed è inammissibile in questa sede;
il secondo motivo è inammissibile, per entrambi i profili che propone: il primo profilo, in quanto ripropone, pur sotto l’egida del vizio di violazione di legge, un giudizio sul fatto (circa la mancata continuità tra i due rapporti di conto corrente e dei soggetti correntisti), ed intende contrastare l’interpretazione della domanda proposta, senza invocare la violazione di nessuno dei criteri di cui all’art. 1362 c.c., noto essendo che tale interpretazione appartiene al giudice del merito; il secondo profilo, perché è inammissibile la deduzione del vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in presenza di cd. doppia conforme ».
3.Il Collegio condivide le conclusioni circa l’inammissibilità dei motivi di cassazione della sentenza gravata di cui alla proposta di definizione anticipata, con le seguenti precisazioni anche all’esito l’esame della memoria con cui i ricorrenti illustrano le ragioni della loro opposizione alla medesima.
3.1- Con riguardo al primo motivo i ricorrenti hanno precisato di rinunciare alla eccezione di nullità integrale delle fideiussioni oggetto di causa e di voler limitare detta eccezione alle sole clausole corrispondenti allo schema ABI oggetto del provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia ; si dolgono che la Corte d’Appello abbia qualificato come tardiva detta eccezione trattandosi di
questione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo e invocando il fatto notorio ovvero la possibilità della Corte di merito di conoscere aliunde i documenti rilevanti (provvedimento della Banca d’Italia e schema ABI) ritenuti dalla Corte di merito tardivamente prodotti. Inoltre illustrano le ragioni per cui sarebbe rilevante la declaratoria di nullità richiesta con riguardo alla reviviscenza della clausola derogatoria dell’art 1957 c.c. dello schema ABI, deducendo in proposito che la Banca avrebbe agito tardivamente ben oltre i sei mesi previsti dalla norma predetta a pena di decadenza.
3.1.1Sul punto si osserva, con valore assorbente circa l’inammissibilità del motivo di cassazione, che l’interesse dei ricorrenti fideiussori ad ottenere la declaratoria di nullità anche solo parziale del contratto sottoscritto quale contratto «a valle» dell’intesa illecita, è collegato – come è espressamente indicato nella stessa memoria – alla reviviscenza dell’art. 1957 c.c.
Tuttavia dalla pronuncia qui gravata non risulta che i ricorrenti avessero impugnato la sentenza di primo grado in punto di tardività dell’eccezione di decadenza dell’azione della banca formulata a detto titolo, la cui statuizione è espressamente riportata nella sentenza gravata nella parte in cui riassume l’esito del giudizio di primo grado (v. sent. pag. 8 « L’eccezione di decadenza ex articolo 1957 era inammissibile perché formulata successivamente all’atto introduttivo ») e nello stesso ricorso per cassazione (v. esposizione dei fatti, pag. 6), ed invero la Corte d’Appello non menziona tale motivo di gravame né si pronuncia in proposito, e nel ricorso neppure si illustrano i motivi d’appello. Pertanto sulla questione dell’inammissibilità dell’eccezione ex art. 1957 c.c. si è formato il giudicato, il che preclude l’interesse stesso dei ricorrenti alla pronuncia di nullità parziale della fideiussione per la quale insistono i ricorrenti con il ricorso in esame onde ottenere la cassazione della sentenza gravata.
Invero, come già affermato da questa Corte (v. di recente Cass. n. 8023/2024; Cass.30383/2024) il rilievo officioso della nullità parziale del contratto «a valle» dell’intesa anticoncorrenziale presuppone che risultino dagli atti non solo tutte le circostanza fattuali necessari alla sua integrazione, ma anche la concreta ricaduta della nullità delle clausole contrattuali conformi al modello ABI – quale intesa restrittiva della concorrenza sanzionata con provvedimento della Banca d’Italia – sempre che tale ricaduta possa ancora essere invocata, il che impone di rammentare, quanto alla rinuncia ai termini di cui all’articolo 1957 c.c., che, come questa Corte ha ribadito numerosissime volte (e come affermato anche dalla sentenza gravata) l’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria ha natura di eccezione propria e non di mera difesa, di guisa che il rilievo officioso della nullità della clausola non interferisce con la eventualmente ormai consumata preclusione dell’eccezione fondata sulla stessa ( Cass.30383/24).
3.1.2 – Si può aggiungere che i motivi di ricorso in punto di nullità parziale della fideiussione azionata andrebbero respinti anche perché benchè l’eccezione di nullità, quale eccezione in senso lato, non possa ritenersi tardiva dal momento che la stessa è rilevabile d’ufficio -che anche la rilevazione d’ufficio della nullità per violazione di norme imperative ha come condizione che i relativi presupposti di fatto -anche quando non dedotti sotto forma di eccezione della parte interessata – siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie (v. ex aliis Cass. n. 4867/2024, Cass. n. 34053/2023), dal momento che il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte a proposito della rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 26242/2014, i cui princìpi sono stati peraltro successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251/2018, Cass. n. 26495/ 2019, Cass. n. 20170/2022 e Cass. n. 28377/2022) deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile,
onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di aggirare i limiti processuali scanditi dal maturare delle preclusioni assertive ed istruttorie.
Nella specie, trattandosi della questione della rilevazione officiosa della nullità parziale del contratto «a valle» dell’intesa anticoncorrenziale, detta rilevazione richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione, e cioè:
la produzione del provvedimento della Banca d’Italia;
ii) la natura della fideiussione, giacché il provvedimento della Banca d’Italia è riferito solo ed esclusivamente alle f ideiussioni omnibus , non a quelle prestate per un affare particolare, fideiussioni omnibus le quali vengono specificamente prese in considerazione per la loro attitudine, evidenziata dall’Associazione Bancaria Italiana, quale strumento di tutela macroprudenziale del sistema bancario, sicché l’accertamento effettuato dall’allora Autorità Garante è stato limitato a tale tipologia di fideiussione, e solo rispetto ad essa può possedere l’efficacia probatoria privilegiata che l’ordinamento gli riconosce;
iii) l’epoca di stipulazione della fideiussione, che deve essere stata stipulata entro l’ambito temporale al quale può essere riferito l’accertamento della Banca d’Italia, evidente essendo che detto accertamento, operato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, di modo che, in caso di compresenza delle tre clausole successivamente al 2005, l’interessato ben può dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale c’è, ma non certo in base al provvedimento precedente, bensì offrendone altra e specifica prova;
iv) il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità e la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato, esatta corrispondenza da riguardare, beninteso, in
termini di compresenza, giacché, nella prospettiva seguita dal provvedimento n. 55, è la compresenza delle clausole ad essere lesiva della concorrenza;
v) la concreta ricaduta della nullità delle clausole contrattuali sulla sussistenza, in tutto o in parte, del debito gravante sul fideiussore, sempre che tale ricaduta possa ancora essere invocata -poiché l’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria ex art. 1957 c.c. ha natura di eccezione propria e non di mera difesa (a mero titolo di esempio Cass. n. 8023/2024), di guisa che il rilievo officioso della nullità della clausola non interferisce con la eventualmente ormai consumata preclusione dell’eccezione fondata sulla stessa.
3.1.3- Ebbene nella specie, benchè sia assorbente quanto già rilevato a proposito della preclusione al rilievo costituito dall’accertata decadenza dei ricorrenti a far valere la clausola di cui all’art. 1957 quand’anche reviviscente per effetto della nullità della clausola derogatoria contenuta nel contratto fideiussorio, giova aggiungere che i ricorrenti – oltre a non aver dedotto alcunché a proposito della data e delle caratteristiche della fideiussione in questione, e ad aver precisato solo con l’istanza di decisione la conformità della stessa allo schema ABI – non hanno prodotto tempestivamente il provvedimento della Banca d’Italia – come correttamente rilevato dalla Corte d’Appello che in quanto atto amministrativo andava prodotto dalla parte, inconferente essendo l’evocazione del principio iura novit curia e della giurisprudenza di merito che invoca in proposito il « fatto notorio»; il provvedimento in questione, non è un atto normativo e neppure un atto integrativo di atto normativo, ma un provvedimento regolatorio per il quale -al pari dello «schema ABI» che lo integra e che non è stato neppure prodotto – non vale il principio iura novit curia; né -come è stato di recente affermato ( v. Cass. n. 30383/2024) può essere invocata « la possibilità per il giudice di far riferimento in tal
caso al «fatto notorio», non avendo alcun fondamento ricondurre alla nozione giuridica di «notorio», ossia al numero dei fatti conosciuti da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, i provvedimenti sanzionatori indirizzati dalla Banca d’Italia alle banche, ed essendo viceversa principio consolidato che ‘il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile. Ne consegue che restano estranei a tale nozione le acquisizioni specifiche di natura tecnica, gli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari o richiedono il preventivo accertamento di particolari dati, nonché quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio, neppure quando derivi al giudice medesimo dalla pregressa trattazione d’analoghe controversie’ (Cass.n. 6299/2014; conforme a Cass.n. 16959/2012 e confermata da Cass. n. 33154/2019)» . (così sent. cit. in motivazione).
3.1.4 – Sicché va data continuità alla giurisprudenza di questa Corte per cui in relazione alla contrarietà alla normativa antitrust di un contratto di fideiussione omnibus posto a valle di intese anticoncorrenziali è precluso il rilievo officioso della nullità in appello se la parte interessata non ha tempestivamente prodotto il provvedimento della Banca d’Italia ed il modello ABI cui lo stesso fa riferimento onde documentare la conformità a detto modello delle clausole contrattuali del contratto di fideiussione ritenuto nullo appunto in ragione di detta conformità (v. da ultimo Cass. 24380/2024 conforme a Cass. n. 20713/2023).
4.Quanto al secondo motivo ne va confermata l’inammissibilità illustrata nella proposta con riguardo ad entrambi i profili.
4.1- Può aggiungersi a proposito del primo profilo – attinente alla ritenuta inammissibilità della domanda formulata con riguardo al conto corrente facente capo ad un altro soggetto ed asseritamente conferito nell’ambito di un’operazione di conferimento d’azienda cui sarebbe conseguita una «continuità» con quello successivamente aperto dalla neocostituita RAGIONE_SOCIALE -che la ratio decidendi sul punto della sentenza gravata è più articolata di quanto affermano i ricorrenti perché la Corte ha rilevato che gli opponenti si erano limitati ad invocare la continuità dei due rapporti contrattuali e non avevano mai formulato nei riguardi del conto n. 1000083 alcuna domanda: non era stata dunque mai «estesa» l’unica domanda, formulata nell’atto di opposizione e parimenti precisata, poi, nelle conclusionali, volta a ottenere l’accertamento, in relazione al contratto di conto corrente azionato in sede monitoria, della violazione degli articoli 1325 c.c. ed ex 117 T.U.B.; donde l’inammissibilità della richiesta di riliquidazione del saldo passivo dell’unico rapporto contrattuale posto, in effetti, alla base del decreto ingiuntivo opposto, in ragione delle appostazioni indebite asseritamente effettuate sul rapporto dedotto in continuità; in ogni caso -ha osservato la Corte – « anche a volere ritenere che con la prima memoria di trattazione gli appellanti avessero voluto estendere al rapporto di conto corrente n. NUMERO_DOCUMENTO tutte le domande originariamente proposte in sede di opposizione (accertamento dell’insussistenza del credito azionato per carenza di prova del rapporto), una tale domanda sarebbe stata in ogni caso tardiva ».
4.1.1- Ebbene, nella misura in cui i ricorrenti si dolgono di aver avanzato una diversa pretesa (« È innanzitutto evidente che è stata avanzata domanda anche in ordine alla parte di rapporto più antico e in ogni caso non sussiste alcuna domanda nuova ma
esclusivamente una richiesta di statuizione in ordine all’intero rapporto e non ad una parte » così pag. 19 ricorso), essi censurano in modo inammissibile l’interpretazione della domanda proposta: non contestano, infatti, l’affermazione che nei riguardi del conto corrente evocato per secondo non fosse stata formulata l’unica domanda proposta in giudizio con l’opposizione e mantenuta in sede di precisazione delle conclusioni circa la nullità del contratto ex art. 1325 c.c. ed ax art. 117 T.U.B., ma pretendono che detta la domanda andasse interpretata alla luce della dedotta «continuità» dei due rapporti, esclusa dalla Corte; dunque si dolgono di una accertamento «in fatto» riservato al giudice di merito, invocando impropriamente la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. che attengono al rispetto del principio dispositivo ed ai criteri legali di valutazione delle prove, che nulla rilevano nella specie, pretendendo in effetti i ricorrenti una diversa valutazione in fatto;
4.2 -Quanto al secondo profilo, che attiene al l’omesso esame della completa documentazione versata in atti ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., nonché ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. alla violazione e falsa applicazione dell’art. dell’art. 2558 c.c. e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., è inammissibile l’evocazione del vizio di motivazione che in tal caso non attiene ad un fatto «storico» (un fatto vero e proprio, e quindi un fatto principale, cioè, un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo, oppure secondario) decisivo e discusso dalle parti, ma, evidentemente, alla valutazione del materiale probatorio offerto agli effetti della prova del conferimento (con l’azienda) di tale contratto : profilo che attiene al giudizio di fatto riservato al giudice del merito.
Altrettanto inammissibile è la censura relativa alla valutazione dell’istituto del «conferimento» sotto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c., sebbene sia noto che la doglianza circa la violazione di detta norma è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza
probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento: e, nel caso in esame, nulla di tutto ciò si rinviene nella censura, la quale altro non fa che rimettere in discussione il governo del materiale probatorio operato dal giudice di merito (per tutte Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867); ed altrettanto dicasi per la invocata violazione dell’art. 115 c.p.c. per cui necessita denunciare che il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (per tutte Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867).
In definitiva i ricorrenti pretendono sul punto un nuovo giudizio sul merito della decisione: ciò che non è consentito in questa sede di legittimità.
5.- Il ricorso va in conclusione dichiarato inammissibile.
6.- Le spese processuali seguono la soccombenza.
6.1- Considerato che la trattazione del procedimento è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ultimo comma a seguito di proposta di inammissibilità, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 c.p.c., come testualmente previsto dall’art. 380 bis ultimo comma (« Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 »). L’art. 96 terzo comma, a sua volta, così dispone: « In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può
altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata» . Il quarto comma aggiunge: « Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000 ».
6.2- Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, si tratta di una disposizione (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, ove, appunto il legislatore usa la locuzione «altresì»). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale) » (Cass. Sez. Un. n.27433/2023, in motivazione).
6.4- In definitiva, i ricorrenti vanno condannati in solido tra loro, nei confronti della controricorrente al pagamento della somma equitativamente determinata oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti in solido fra loro, al pagamento, in favore della controricorrente alla refusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 8.000,00 per compensi, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 8.000,00 in favore della parte controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende. A i sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª