Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26310 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26310 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18234/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 682/2021 depositata il 30/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 7 luglio 2021 NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, illustrato da successiva memoria, avverso la sentenza n. 682/2021 emessa dalla Corte d’Appello di Salerno in data 29 aprile 2021, pubblicata il giorno 11 maggio 2021, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE L’intimata ha notificato controricorso, illustrato da successiva memoria.
Per quanto di interesse, il ricorrente assume che con atto di opposizione a decreto ingiuntivo, nella qualità di garante in forza di fideiussione sottoscritta nel 2007, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo con il quale gli era stato ingiunto di pagare, in solido con la RAGIONE_SOCIALE e con COGNOME NOME, la somma di € 35.341,86, quale saldo debitore al 20.1.2010 del conto corrente bancario della società debitrice principale aperto presso la banca intimata, oltre accessori. Nella narrativa del ricorso deduce che il giudice di merito aveva rigettato l’eccezione di nullità del contratto di fideiussione per conformità delle clausole ivi apposte al modello ABI, indicato dall’Authority come contrario alla normativa sulla concorrenza, in quanto tardivamente proposta nella comparsa conclusionale del primo grado di giudizio e che la Corte d’appello, adita dal ricorrente, aveva confermato la sentenza di primo grado, compensando le
spese in ragione dell’alternarsi di opposti indirizzi interpretativi sul punto.
Motivi della decisione
Il ricorso è affidato ai seguenti tre motivi.
violazione e falsa applicazione degli artt. 1936 ss. e 2697 c.c., nonché degli artt. 2, 13 e 15 della l. n. 287/1990, censurando la sentenza impugnata per non aver ritenuto che le clausole dei contratti di fideiussione costituissero il frutto di un’intesa anticoncorrenziale, non ascrivibili alla volontà del fideiussore, essendo l’appellata destinataria del provvedimento sanzionatorio adottato dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia.
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 287/1990, nonché degli artt. 1936 ss. e 1418 c.c., in quanto la nullità prevista dal citato art. 2 deve estendersi ai singoli contratti stipulati a valle.
Violazione dell’art. 360 c.p.c., falsa applicazione di norme di diritto nella sentenza impugnata, errore di sussunzione, ovvero nella riconduzione della fattispecie concreta ad una norma non pertinente e nel non ritenere nulla la fideiussione bancaria conforme per violazione dell’art. 2 della Legge Antitrust (Legge n. 287 del 10/10/1990).
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Il ricorrente si limita a denunciare, con un’unica argomentazione in tesi valida per ogni motivo, la erroneità della sentenza alla luce della decisione della Corte di Cassazione sez. I°, che, con ordinanza n. 29810 del 12 dicembre 2017, e, più di recente ,con sentenza n. 21878 del 15/6/2019, ha sancito la nullità per violazione dell’art. 2 L. 287/1990 (norme antitrust ) della fideiussione con clausole conformi a quelle ABI indicate dall’ Authority domestica (RAGIONE_SOCIALE dRAGIONE_SOCIALEItalia) in contrasto della normativa posta a protezione della concorrenza.
Nella memoria illustrativa, per un verso, il ricorrente omette di prendere specifica posizione sull’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite nel frattempo intervenuto che, lungi dal ravvisare la nullità totale, rilevabile d’ufficio, della fideiussione contenente le suddette clausole, con la sentenza n. 41994/21, risolvendo un contrasto sulla discussa questione, ha sancito che i contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., limitatamente alle clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. Poiché il motivo è incentrato sulla pretesa nullità totale del negozio in esame, in assenza di deduzioni su una comprovata volontà delle parti di non volere contrarre l’obbligazione pur in assenza di dette clausole, pertanto, deve rilevarsi l’inammissibilità del motivo alla luce del suddetto principio cui questo Collegio intende conformarsi.
Va al riguardo osservato che il ricorso, per essere ammissibile, deve rispettare il principio di specificità di cui agli artt. 360 e 366 c.p.c., che richiedono una trattazione a ‘critica vincolata’ di ogni motivo, in base alla quale il ricorrente è tenuto a proporre censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e, nel contempo, a fornire alla Corte di legittimità elementi per consentire l’individuazione delle parti della sentenza che si intendono censurare. Per denunciare un errore bisogna quindi identificarlo specificamente e, quindi, fornire la rappresentazione delle ragioni per cui la sentenza è errata, le quali debbono
concretamente considerare le considerazioni che la sorreggono, e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.
Orbene, nella specie i motivi di censura non risultano strettamente correlati alla motivazione resa dalla corte d’appello, conseguentemente impingendo nella ragione di inammissibilità espressa dal principio di diritto enunciato da Cass. SU n. 7074 del 2017 e Cass. SU 23745/2020: per denunciare un errore di diritto bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione in rapporto alla motivazione resa. La trattazione unitaria dei motivi svolta nel ricorso, non riferita a singole parti della motivazione oggetto dei motivi di impugnazione, risulta pertanto del tutto priva di tale fondamentale requisito.
Le spese del giudizio di cassazione , liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione , liquidate in complessivi € 6.200,00, di cui € 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento all’ufficio di merito competente, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto (considerata la ammissione al patrocinio a spese dello Stato) .
Così deciso in Roma, il 25/6/2024