Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16593 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16593 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/06/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 19468/21 proposto da:
-) COGNOME NOME , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
-) RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza del Tribunale di Padova 21 gennaio 2021 n. 99; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 maggio 2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Nel 2015 la società RAGIONE_SOCIALE, concessionaria del servizio di riscossione coattiva delle entrate del Comune di Cremona, notificò a NOME COGNOME due ingiunzioni di pagamento.
Mancato il pagamento dovuto, la RAGIONE_SOCIALE iscrisse fermo amministrativo su un veicolo di proprietà del debitore.
Nel 2018 NOME COGNOME convenne la COGNOME dinanzi al Giudice di pace di Padova, chiedendo l’annullamento dei suddetti provvedimenti di fermo.
Il Giudice di pace, con sentenza 26.3.2019 n. 433, accolse la domanda sul presupposto che la RAGIONE_SOCIALE non aveva provato di avere inviato al debitore , con
lettera raccomandata, la comunicazione prescritta dall’art. 1, comma 544, l. 228/12, né rispettato il termine dilatorio ivi previsto di 120 giorni. La sentenza fu appellata dalla soccombente.
Con sentenza 12.1.2021 n. 99 il Tribunale di Padova accolse il gravame e rigettò l’opposizione.
Il Tribunale ritenne che:
-) la comunicazione di cui all’art. 1, comma 544, l. 228/12 può essere inviata anche con posta ordinaria;
-) nel caso di specie doveva presumersi che la suddetta comunicazione, spedita per posta ordinaria, fosse arrivata a destinazione, in quanto inviata al medesimo indirizzo cui la RAGIONE_SOCIALE inviò le successive comunicazioni, debitamente ricevute;
-) la NOME era legittimata a riscuotere i crediti del Comune di Cremona anche nei confronti di debitori residenti nella provincia di Parma;
-) l’iscrizione del fermo amministrativo non aveva tra i presupposti che il credito da riscuotere fosse superiore ad ottomila euro.
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione da NOME COGNOME con ricorso fondato su un motivo.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il Collegio ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all’art. 380 bis, secondo comma, c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
L ‘unico motivo di ricorso :
-) è intitolato ‘ violazione dell’art. 360 n. 4 motivazione apparente’ ;
-) esordisce col riprodurre un brano della sentenza impugnata (p. 5 del ricorso);
-) prosegue con la trascrizione di una serie di massime di queste Corte, inframezzate dall’affermazione per cui il Tribunale di Padova ‘ non ha argomentat o il motivo per il quale’ si sarebbe discostato dalla giurisprudenza di legittimità;
-) prosegue ribadendo che il fermo amministrativo si sarebbe dovuto ritenere illegittimo, per avere colpito un autoveicolo del valore di euro 22.500, a fronte di un credito di euro 840,89.
1.1. Il motivo è inammissibile per molte e indipendenti ragioni.
In primo luogo, è inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c.. La sentenza impugnata, infatti, ha rigettato il gravame per un ragione di diritto ( inesistenza di norme di legge che inibiscano l’iscrizione del fermo amministrativo a garanzia di crediti erariali inferiori ad un certo ammontare). è dunque vano discorrere – come fa il
A fronte di una decisione in iure ricorrente di ‘vizi di motivazione’ o di argomentazione .
D’una affermazione in punto di diritto pu ò dirsi solo se sia conforme o difforme dalla legge, non se sia motivata od immotivata. Sono gli accertamenti in fatto che vanno motivati, non le valutazioni in diritto.
1.2. In secondo luogo, il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c., in quanto imperscrutabile nella motivazione che la sorregge. Il ricorrente, infatti, lamenta l’eccessività della misura adottata rispetto all’entità del suo debito, ma né spiega su quale norma di legge intenda fondare la sua censura, né compie richiami giurisprudenziali pertinenti.
La decisione di Sez. U, Sentenza n. 19667 del 18/09/2014, in particolare, richiamata a p. 6 del ricorso, intervenne su fattispecie totalmente diversa da quella oggi in esame.
Questa Corte ha ripetutamente affermato (a partire da Sez. 3, Sentenza n. 4741 del 04/03/2005, Rv. 581594 – 01, sino a Sez. un., Sentenza n. 7074 del 20/03/2017) che il ricorso per cassazione è un atto nel quale si richiede al ricorrente di articolare un ragionamento sillogistico così scandito:
(a) quale sia stata la decisione di merito;
(b) quale sarebbe dovuta essere la decisione di merito;
(c) quale regola o principio sia stato violato, per effetto dello scarto tra decisione pronunciata e decisione attesa.
Questa Corte, infatti, può conoscere solo degli errori correttamente censurati, ma non può rilevarne d’ufficio, né può pretendersi che essa intuisca quale
tipo di censura abbia inteso proporre il ricorrente, quando questi esponga le sue doglianze con tecnica scrittoria oscura, come si è già ripetutamente affermato (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 21861 del 30.8.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018; Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna NOME COGNOME alla rifusione in favore di RAGIONE_SOCIALE delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 630, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della