Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14873 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14873 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32118/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE , in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l o studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio de ll’ AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 166/2019 de lla Corte d’Appello di Perugia, depositata il 19.8.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.3.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’RAGIONE_SOCIALE ricorrente impugna la sentenza con cui la Corte d’Appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in funzione di giudice del lavoro, che accolse la domanda della attuale controricorrente, dirigente medico cessata dal servizio per dimissioni volontarie dal 14.10.2011, volta ad ottenere la condanna dell’ ex datrice di lavoro al pagamento dell’indennità sostitutiva per 51 giorni di ferie non godute.
Il ricorso per cassazione è articolato in due motivi.
La lavoratrice si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia, «in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21, comma 13, del CCNL 5.12.1996 ».
Con questo motivo, dopo una diffusa disamina di quelli che sono i presupposti normativi del diritto al pagamento di un’indennità monetaria per le ferie non godute, la ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe mal valutato il presupposto della impossibilità per la lavoratrice di godere delle ferie durante il servizio per causa a lei non imputabile. Ciò con particolare riguardo alla mancanza di prova di richieste formali di godere delle ferie e di altrettanto formali rifiuti da parte del datore di lavoro.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Infatti, dietro l’intenzione soltanto dichiarata in rubrica -di contestare la violazione di una norma del contratto
collettivo nazionale di lavoro (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) si pretende, in realtà, un riesame del fatto, con particolare riferimento alla valutazione del giudice del merito in ordine alla prova dell’incolpevole impossibilità per la lavoratrice di godere delle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro.
La Corte d’Appello ha ritenuto che l ‘impossibilità di godere delle ferie durante il rapporto di lavoro fosse emersa «dalle dichiarazioni dei testimoni»; nel ricorso si contesta tale valutazione, anche riportando alcuni stralci della verbalizzazione di quelle dichiarazioni, il cui valore probatorio, a giudizio della ricorrente, avrebbe dovuto essere diversamente apprezzato.
A prescindere dalla fondatezza di tale critica, è del tutto evidente che non viene in discussione il contenuto della norma del CCNL (diritto alla indennità solo dopo la cessazione del rapporto e solo in caso di incolpevole mancato godimento delle ferie), ma unicamente l’accertamento del fatto, che compete al giudice del merito e non può essere sindacato in sede di legittimità, se non denunciando la violazione dei canoni legali che pongono limiti al principio del prudente apprezzamento del materiale istruttorio (art. 116 c.p.c.).
Si aggiunga -solo per completezza, posto che nella parte finale dell’illustrazione del motivo la ricorrente fa un accenno alla mancanza di una «richiesta scritta di ferie» e di un «diniego scritto» -che nessuna norma limita in questa materia il potere del giudice di utilizzare le prove testimoniali e le presunzioni semplici (prova legale negativa), sicché anche sotto questo profilo l’accertamento del fatto compete esclusivamente al giudice del merito e non può essere sindacato in sede di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso censura, «in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 167 c.p.c.».
La ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia ritenuto non contestato l’importo del credito , in mancanza di specifica contestazione dei conteggi proposti dalla lavoratrice. Sostiene che la contestazione dell ‘ esistenza del credito sia (e avrebbe dovuto essere considerata) logicamente incompatibile con un implicito riconoscimento del suo ammontare.
2.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché -a prescindere dalla fondatezza o meno della critica mossa al ragionamento della Corte territoriale (occorre, infatti, tenere distinte la componente fattuale e quella normativa dei calcoli: v. Cass. n. 20998/2019) -rimane assorbente il rilievo che la motivazione della sentenza è basata su due alternative ed autonome rationes decidendi : dopo avere preso atto della mancata contestazione dei conteggi, considerandola di per sé sufficiente, il giudice del merito ha comunque rilevato « come la correttezza delle indicazioni contenute nel ricorso sia stata anche positivamente dimostrata attraverso il deposito, in primo grado, del documento proveniente dall’RAGIONE_SOCIALE, nel quale era attestato l’ammontare degli emolumenti percepiti dal dirigente medico all’atto della cessazione del rapporto ».
Contro tale autonoma ratio decidendi , che del resto è incentrata sull’ insindacabile accertamento del fatto e sul prudente apprezzamento delle prove, il ricorso non muove alcuna critica. Non rimane allora che ribadire il ben noto principio per cui, qualora la sentenza sia motivata con riferimento a una pluralità di autonome rationes decidendi , è inammissibile -in quanto inidoneo a mettere in dubbio la correttezza della decisione assunta -il ricorso per cassazione
che si limiti a censurare una sola di tali rationes , senza nulla dire in ordine all’altra o alle altre (v., ex multis , Cass. nn. 17182/2020; 10815/2019).
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio , sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 3 .000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge;
ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del l’ art. 13, comma 1 -bis , del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19.3.2024.