Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34428 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34428 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29025/2019 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
Azienda Socio Sanitaria Territoriale –RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del dott. NOME COGNOME rappresentata e difen sa dall’avv. NOME COGNOME controricorrente – avverso la sentenza n. 913/2019 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 13.6.2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, già dirigente medico in servizio presso l’o spedale INDIRIZZO di Milano, avendo presentato le dimissioni nel 2015 dopo un periodo di aspettativa per motivi personali, convenne in giudizio la datrice di lavoro Azienda Socio Sanitaria Territoriale -ASST «Fatebenefratelli Sacco» per chiederne la condanna al pagamento del controvalore monetario delle ferie non godute in costanza di rapporto di lavoro tra il 1992 e il 2008.
Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, accolse la domanda, condannando l’Azienda al pagamento dell’importo capitale di € 54.858,20, oltre agli accessori e alle spese legali.
L ‘ASST RAGIONE_SOCIALE» si rivolse allora alla Corte d’Appello di Milano, la quale, in accoglimento del gravame, riformò la decisione di primo grado e rigettò la domanda del lavoratore.
Contro la sentenza della Corte territoriale il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
L’ASST si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia «omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.».
Il fatto che si assume come decisivo e di cui si censura l’omesso esame è una dichiarazione, risalente al 1998, in cui lo stesso ricorrente dichiarò di non avere potuto usufruire delle ferie fino ad allora maturate «per evidenti ragioni di servizio», presupponendo («do per inteso») il futuro pagamento delle ferie
non godute; dichiarazione controfirmata per «presa visione» e «parere favorevole» dal l’allora primario della Divisione di Medicina riabilitativa dell’ospedale .
1.1. Il motivo è inammissibile.
Quello che viene denunciato non è l’omesso esame di un fatto, bensì la mancata considerazione, nella motivazione della sentenza, di una prova documentale atipica, il che può comportare tutt’al più un vizio di insufficiente motivazione (non censurabile in cassazione, in base al testo vigente ratione temporis dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c .) e non il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
Difetta, in ogni caso, il carattere della decisività del fatto ( rectius : documento) non esaminato, perché esso risale al 1998 e, quindi, è inidoneo a dare fondamento a una domanda di monetizzazione delle ferie maturate fino al 2008, ovverosia per ben ulteriori dieci anni dopo l’epoca della dichiarazione in questione.
Inoltre, poiché la Corte d’Appello ha rilevato la mancanza (non solo della prova, ma) della stessa allegazione del medico di avere chiesto di usufruire delle ferie, si deve osservare che il contenuto dell’autodichiarazione , per come riportato nel ricorso per cassazione, non contraddice tale punto essenziale della motivazione; anzi, in qualche modo, lo conferma, dal momento che il ricorrente dichiara solo di avere reso nota , a posteriori , l’impossibilità di usufruire delle ferie .
Il secondo motivo di ricorso denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 6 regolamento dell’orario di lavoro Dirigenza Medica e SPTA approvato nel gennaio 2010 e del CCNL
Dirigenza Medica 8.6.2000 ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. in relazione all’art. 11 preleggi ».
Il ricorrente contesta i riferimenti normativi utilizzati nella motivazione della sentenza impugnata, ritenendoli irrilevanti perché successivi all’accantonamento delle ferie e anche alla citata dichiarazione, che egli considera, erroneamente, alla stregua di una dichiarazione di impegno dell’Azienda al futuro pagamento delle ferie non godute.
2.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché non è idoneo a intaccare la ratio decidendi della sentenza impugnata.
2.1.1. Il regolamento aziendale sull’orario di lavoro del 2010 (la cui errata applicazione non sarebbe comunque censurabile con il ricorso per cassazione, non trattandosi di norma di diritto ) è stato menzionato dalla Corte d’Appello solo per il suo richiamo sostanziale a quanto previsto nel CCNL dell’area della dirigenza sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa del comparto sanità.
Nella sentenza sono indicati in modo inesatto l’articolo e la data del CCNL applicato, perché quello parzialmente riprodotto nel testo della motivazione è l’art. 20 del CCNL del 5.12.1996. M a l’errore è emendabile in questa sede, trattandosi di contratti collettivi nazionali del pubblico impiego, per i quali vale il principio iura novit curia , ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, in considerazione del particolare regime di pubblicità di cui all ‘ art. 47, comma 8, del medesimo decreto ( ex multis , Cass. S.U. n. 23329/2009; Cass. nn. 36211/2023; 7981/2018).
Una volta corretta l’indicazione del pertinente CCNL, viene quasi del tutto annullata la discrasia cronologica tra norma
applicata (contratto collettivo per il quadriennio 1994/1997) e il periodo in cui il ricorrente non ha goduto delle ferie (a partire dal 1992).
In ogni caso il CCNL 5.12.1996 non introdusse norme volte a limitare il diritto del dirigente medico alle ferie, avendo anzi esplicitamente ribadito che «Le ferie sono un diritto irrinunciabile … » e aggiungendo, subito dopo, « … e non sono monetizzabili, salvo quanto previsto nel comma 13».
2.1.2. Occorre qui precisare che il divieto di monetizzare le ferie rappresenta innanzitutto un presidio per rendere effettiva l ‘ irrinunciabilità del diritto a goderne. Per questo, anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (da ultimo sentenza 18.1.2024 in causa C-218/22, citata nella memoria del ricorrente) non esclude in assoluto la legittimità del diniego della monetizzazione, ma impone al giudice di verificare che quel diniego rimanga nei limiti dettati dalla sua funzione. In tal senso, ha escluso che il diniego della monetizzazione possa essere giustificato da esigenze di bilancio del datore di lavoro (anche pubblico) o dal fatto che il rapporto di lavoro sia cessato per dimissioni del lavoratore. Ma, proprio nei casi di ferie non godute ininterrottamente per molti anni, sarebbe più arduo negare al divieto di monetizzazione la sua funzione strumentale alla irrinunciabilità del diritto sancita anche nell’art. 36 della Costituzione .
Ciò fermo restando che il ricorso, così come formulato, non intercetta la questione della ripartizione degli oneri probatori, che non può essere sollevata per la prima volta nella memoria illustrativa.
Il terzo motivo prospetta, nella sentenza impugnata, «violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 c.c.: sulla mancata prescrizione del diritto».
3.1. Il motivo è inammissibile, perché anch’esso non coglie la ratio decidendi , posto che la sentenza impugnata nulla ha deciso sull ‘estinzione per prescrizione del diritto, di cui ha negato l’esistenza , individuando in ciò la «ragione più liquida».
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese legali per il presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000 per compensi, oltre a spese generali al 15%, € 200 per esborsi e accessori di legge ;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della