Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 47 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 47 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18485/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa ANCHE DISGIUNTAMENTE dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso anche disgiuntamente dagli avvocati NOME COGNOME
(GZZGLI62M09F257N), e NOME COGNOME (DBSSLV65D56F257M)
per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
avverso l’ ORDINANZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n.3847/2018 depositata il 5.4.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12.12.2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 28.5.2014 COGNOME NOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1039/2014 del 14.3.2014 del Tribunale di Modena, col quale, sulla base di parcella opinata dall’ordine professionale degli ingegneri, le era stato ingiunto di pagare all’ing. NOME COGNOME detratto l’acconto già versato di € 9.500,92 (di cui alla fattura n. 30 del 16.11.2012), la residua somma di € 18.085,35, oltre interessi dalla domanda e spese della fase monitoria, a titolo di compenso professionale per l’esecuzione del progetto e la cura della pratica edilizia relativa alla realizzazione di un complesso immobiliare su un terreno di proprietà della COGNOME sito in Rocca INDIRIZZO, nel territorio del Comune di Guiglia (MO).
Sosteneva la COGNOME nel richiedere la revoca del decreto ingiuntivo opposto ed il rigetto delle pretese dell’ing. COGNOME che non aveva mai conferito al medesimo alcun incarico professionale, avendo incaricato dell’espletamento di tutte le attività necessarie per la realizzazione di un complesso immobiliare sul suddetto terreno di sua proprietà, comprese la progettazione e le attività tecniche ed amministrative occorrenti, la ditta RAGIONE_SOCIALE società operante da anni nel campo edilizio, che faceva capo a suo marito, il geometra NOME COGNOME che era solito avvalersi di
tecnici e professionisti esterni, tra i quali l’ing. COGNOME per l’espletamento di attività che non poteva eseguire direttamente; che l’azione intrapresa nei suoi confronti dall’ing. COGNOME era temeraria e se ne chiedeva la condanna al risarcimento danni ex art. 96 c.p.c., in quanto l’azione medesima costituiva il riflesso dei precedenti contrastati rapporti intercorsi tra suo marito, il geometra NOME COGNOME e lo stesso ing. COGNOME che a seguito della presentazione contro di lui di varie querele (una presentata anche dalla COGNOME), era stato condannato dal Tribunale penale di Modena con la sentenza n. 2300/2014, per la quale pendeva il giudizio di appello, per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 cod. pen.); che inoltre l’ing. COGNOME aveva percepito ingenti somme dalla RAGIONE_SOCIALE, per le attività svolte nel cantiere di Rocca Malatina di Guiglia, sul terreno di proprietà della opponente.
Si costituiva l’ing. COGNOME che chiedeva il rigetto dell’opposizione, ribadendo che l’incarico professionale gli era stato conferito dalla COGNOME, e la condanna della controparte alle spese processuali, previa concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo.
Espletati l’interrogatorio formale del COGNOME e la prova testimoniale, il Tribunale di Modena, con la sentenza n. 1847 dell’8/9.11.2018, rigettava l’opposizione, confermando il decreto ingiuntivo opposto, e condannava la COGNOME al pagamento in favore dell’ing. COGNOME delle spese processuali del giudizio di opposizione, in base al principio della soccombenza.
In particolare la sentenza di primo grado rilevava, che la tesi della COGNOME, che non aveva contestato l’inadempimento delle prestazioni professionali dell’ing. COGNOME sostenendo però di non avere conferito al medesimo alcun incarico professionale, era smentita dalla documentazione acquisita, in quanto l’esistenza di tale incarico era desumibile dai documenti da 4 a 13 prodotti,
planimetrie, estratti e progetti della pratica edilizia che erano stati tutti sottoscritti da COGNOME NOME in qualità di committente, senza che fossero stati allegati difetti di capacità mentale della stessa, nonché dalla sottoscrizione da parte della medesima, sempre quale committente, anche della comunicazione del 2.9.2011, indirizzata all’ing. COGNOME ed al Comune di Guiglia, con la quale la COGNOME aveva dichiarato di ‘ revocare ogni tipo di incarico tecnico e trattamento di dati personali all’Ing. COGNOME COGNOME, in tal modo riconoscendo la pregressa esistenza dell’incarico al professionista, poi contestata in sede giudiziale. Tale ultima comunicazione non veniva ritenuta riconducibile, come invece sostenuto dalla opponente, alla necessità di impedire all’ing. COGNOME di prendere arbitrarie iniziative presso l’ufficio tecnico del Comune di Guiglia, al quale pure era indirizzata, perché una spiegazione siffatta avrebbe potuto avere un senso ove presso il suddetto comune vi fossero state solo poche tracce documentali a firma della COGNOME, ma non a fronte della presenza di un’intera pratica edilizia con ben dieci firme su fogli diversi della stessa COGNOME.
Ulteriore conferma dell’incarico professionale veniva desunta dalla presenza delle firme della COGNOME e dell’ing. COGNOME sia sulla richiesta al Comune di Guiglia del permesso di costruire del 6.10.2010, sia sulla comunicazione di risposta del Comune di Guiglia e documentazione allegata del 2.11.2010.
La sentenza di primo grado valorizzava, poi, la testimonianza di COGNOME NOME, che aveva confermato che la COGNOME aveva conferito all’ing. COGNOME l’incarico della progettazione di un edificio per laboratorio con abitazione e studio per un centro commerciale a Roccamalatina, provvedendo per esso al pagamento di acconti per € 9.500,00, distinguendoli dall’incarico relativo ad un piano particolareggiato ad iniziativa privata nella stessa località, che in precedenza era stato affidato dalla ditta RAGIONE_SOCIALE G all’ing. COGNOME ma che poi una volta tramontato, era stato sostituito dal progetto
prima descritto, mentre il giudice di primo grado riteneva non utili le risultanze delle altre testimonianze acquisite.
Da ultimo il Tribunale di Modena rilevava, che gli ulteriori pagamenti (rispetto all’acconto di € 9.500,00 già scalato dall’importo chiesto in sede monitoria) invocati dalla opponente, non erano riferibili all’incarico oggetto di causa, che del resto la COGNOME aveva negato, ma piuttosto ad altri rapporti professionali intercorsi tra la ditta RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e l’ing. COGNOME, che la ricostruzione così compiuta non era contrastata da altri elementi istruttori significativi, e che a fronte della mancata contestazione delle prestazioni eseguite dall’ing. COGNOME e del mancato superamento dei limiti tariffari della parcella opinata dal competente ordine professionale, andava confermato l’opposto decreto ingiuntivo anche sotto il profilo della quantificazione della pretesa.
Avverso la sentenza del Tribunale di Modena proponeva appello COGNOME NOME, che censurava come incompleta, contraddittoria e carente la disamina compiuta delle risultanze istruttorie, ed il 25.3.2019 depositava telematicamente la sentenza n. 5432/2018 della Corte d’Appello di Bologna del 21.12.2018 (della quale aveva depositato il solo dispositivo con l’atto di appello), che aveva confermato la condanna del COGNOME per il reato di cui all’art. 393 cod. pen..
La Corte d’Appello di Bologna, nella resistenza di COGNOME COGNOME che eccepiva l’inammissibilità dell’appello e ne chiedeva comunque il rigetto per infondatezza, che non aveva ragionevoli probabilità di essere accolto, all’udienza del 26.3.2019 si riservava, e con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. del 5.4.2019, comunicata alle parti l’11.4.2019, dichiarava inammissibile l’appello per la mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento del gravame.
In particolare nella suddetta ordinanza si riteneva che il gravame non avesse ragionevoli probabilità di essere accolto, in quanto le
censure relative alla valutazione, da parte del primo giudice, delle risultanze istruttorie, non erano idonee a superare i due dati acquisiti, di dirimente valore probatorio, sull’avvenuto conferimento dell’incarico professionale da parte della COGNOME all’ing. COGNOME rappresentati dall’incontestata sottoscrizione da parte della COGNOME in qualità di committente, sulla documentazione predisposta e presentata dall’ing. COGNOME ai fini dell’intervento edilizio da realizzare sul terreno di proprietà della COGNOME, e dall’incontestata comunicazione inviata, sempre in qualità di committente, dalla COGNOME, agli uffici comunali ed al COGNOME per ‘ revocare ogni tipo ( di ) incarico tecnico e trattamento dei dati personali all’Ing. COGNOME COGNOME. A tale considerazione seguiva la condanna della COGNOME alle spese processuali di secondo grado, liquidate in € 970,00 per compensi, oltre accessori.
Avverso tale ordinanza, ed avverso la sentenza del Tribunale di Modena n.1847/2018, ha proposto tempestivo ricorso a questa Corte COGNOME NOME affidandosi a cinque motivi, ed ha resistito con controricorso COGNOME NOME.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale la sola ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., allegando alla stessa l’ordinanza della Corte di Cassazione penale n. 30295/2019 e la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 20479/2020.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con i primi quattro motivi di ricorso COGNOME NOME impugna la sentenza del Tribunale di Modena n. 1847/2018 per i seguenti motivi:
In relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in materia di onere probatorio, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. la nullità della sentenza per
violazione degli articoli 132 comma 2° n. 4) c.p.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c.. Si duole la ricorrente che sia stata attribuita efficacia di prova del conferimento dell’incarico professionale a documenti amministrativi relativi alla pratica edilizia a sua firma, che secondo l’art. 23 del regolamento edilizio del Comune di Guiglia era tenuta a firmare in quanto proprietaria del terreno da edificare e non come committente, ed alla comunicazione di revoca dell’incarico del 2.9.2011, coeva alla querela da lei sporta contro l’ing. COGNOME che era avvenuta solo per impedire a quest’ultimo di prendere arbitrarie iniziative presso l’Ufficio tecnico del Comune di Guiglia e non perché avesse in precedenza conferito un incarico professionale all’ing. COGNOME al quale piuttosto l’attività professionale era stata subappaltata dalla ditta RAGIONE_SOCIALE, della quale era titolare suo marito, il geometra NOME COGNOME al quale lei aveva conferito l’incarico relativo alla realizzazione dell’immobile sul suo terreno ed a tutte le attività progettuali e burocratiche connesse;
In relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme in materia di valore probatorio della sentenza penale di condanna n.2300/2014 emessa dal Tribunale di Modena, prodotta in primo grado, con la quale NOME NOME era stato condannato per i reati di minaccia, diffamazione ed esercizio arbitrario delle proprie putative ragioni mediante violenza, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione degli articoli 132 comma 2° n. 4), 115 e 116 c.p.c.. Si duole la ricorrente che non sia stato attribuito peso probatorio a tale sentenza penale, in seguito confermata dalla Corte d’Appello di Bologna, dalla quale era stato accertato che NOME ed
altri clienti della ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, marito della COGNOME, ed a maggior ragione la stessa COGNOME, avevano affidato incarichi edilizi a tale ditta, che poi li subconferiva all’ing. COGNOME e che dopo la rottura dei rapporti tra il COGNOME ed il COGNOME, quest’ultimo aveva cercato di ottenere pagamenti diretti da parte dei clienti della ditta del COGNOME. Aggiunge poi la ricorrente che la sentenza penale della Corte d’Appello di Bologna, che aveva confermato in secondo grado la condanna del COGNOME, aveva accertato in motivazione che l’ing. COGNOME dopo avere ricevuto denaro dal COGNOME, come da fatture quietanzate allegate alla querela della COGNOME, per i lavori di Rocca Malatina, INDIRIZZO aveva inviato, tramite il suo legale, richieste di importi esorbitanti per tali lavori alla COGNOME; In relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme relative al valore probatorio delle dichiarazioni testimoniali, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la nullità della sentenza del Tribunale di Modena per violazione dell’art. 132 comma 2° n. 4) c.p.c. e degli articoli 115 e 116 c.p.c.. Si duole la ricorrente che la sentenza di primo grado abbia tratto conferma del conferimento dell’incarico professionale, da parte sua, all’ing. COGNOME dalla testimonianza di COGNOME NOMECOGNOME che aveva ritrattato alla fine della deposizione quanto inizialmente dichiarato in ordine ai pagamenti ricevuti dall’ing. COGNOME mostrandosi inattendibile, ed aveva riferito sul conferimento dell’incarico basandosi su quanto dettogli in proposito da COGNOME NOMECOGNOME che era una parte, per cui la sua testimonianza non poteva valere come prova, e lamenta altresì che siano state considerate ininfluenti le testimonianze di COGNOME NOME ed NOMECOGNOME dalle quali emergeva che al contrario i clienti attribuivano alla ditta del geometra
COGNOME un incarico onnicomprensivo, e che poi era quest’ultimo a pagare i vari imprenditori e professionisti ai quali si rivolgeva;
In relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., lamenta la nullità della sentenza del Tribunale di Modena per violazione dell’art. 132 comma 2° n. 4) e degli articoli 115 e 116 c.p.c.. Si duole la ricorrente che le sia stata attribuita la volontà di imputare ulteriori pagamenti all’asserito credito del COGNOME nei suoi confronti, mentre in realtà aveva allegato essere intervenuti pagamenti a favore del professionista ma da parte della ditta RAGIONE_SOCIALE del marito NOME COGNOME e lamenta altresì che sia stata effettuata una valutazione atomistica delle prove tendente alla loro svalutazione. Sottolinea, poi, la ricorrente, che nella stessa parcella presentata all’ordine professionale degli ingegneri dal COGNOME era inserita la detrazione del 20% per la ritenuta di acconto, che aveva però giustificazione se a dare l’incarico era stata un’impresa, quale la ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME, ma non nel caso in cui, come sostenuto dal COGNOME, l’incarico professionale fosse stato a lui conferito dalla COGNOME.
Col quinto motivo, invece, la ricorrente impugna autonomamente l’ordinanza della Corte d’Appello di Bologna del 5.4.2019, che ha dichiarato inammissibile l’appello ex art. 348 bis c.p.c. perché non avente ragionevoli probabilità di accoglimento.
In particolare, dopo avere ricordato che, in base alla sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 1914 del 2.2.2016, é ammissibile il ricorso straordinario davanti alla Suprema Corte ex art. 111 comma 7° della Costituzione contro l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., quando l’appello sia fondato su fatti sopravvenuti al giudizio di primo grado, in quanto di detti fatti non ha potuto tenere conto la sentenza di primo grado impugnata e non può quindi esservi in
secondo grado una mera conferma di una sentenza giusta, occorrendo la valutazione non avvenuta in primo grado del fatto sopravvenuto, la ricorrente si duole che la Corte d’Appello di Bologna abbia totalmente disatteso l’avvenuta produzione della sentenza penale della Corte d’Appello di Bologna n. 5432/2018 del 21.12.2018 (della quale aveva depositato il solo dispositivo con l’atto di appello), avvenuta telematicamente in secondo grado il giorno prima dell’udienza ex art. 350 c.p.c. del 26.3.2019, omettendo sul punto qualsivoglia motivazione. Deduce la ricorrente che tale sentenza penale, oltre a confermare la condanna del COGNOME per il reato di esercizio arbitrario delle proprie putative ragioni mediante violenza, conteneva specifici accertamenti in ordine all’esclusione del rapporto contrattuale tra lei e l’ing. COGNOME.
Ritiene la Corte, che debba essere esaminato con priorità il quinto motivo di ricorso, attinente al vizio di difetto di motivazione dell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. della Corte d’Appello di Bologna, come desumibile dall’espresso richiamo alla violazione dell’art. 111 comma 7° della Costituzione, che ricomprende i ricorsi per violazione di legge, tra i quali rientra anche il vizio della motivazione (vedi in tal senso Cass. sez. un. 2.2.2016 n. 1914), in quanto la fondatezza di questo motivo travolgerebbe la suddetta ordinanza, rendendo necessaria una rivalutazione dei motivi di appello, che erano stati proposti contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Modena, alla luce anche del fatto sopravvenuto che non é stato considerato, precludendo così l’esame dei motivi di ricorso proposti a questa Corte nei confronti della sentenza del Tribunale di Modena n.1847/2018 ex art. 348 ter comma 3° c.p.c. sul presupposto dell’esistenza dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello.
Va anzitutto evidenziato, che l’autonoma ricorribilità, ex art. 111 comma 7° della Costituzione, dell’ordinanza d’inammissibilità
dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., che abbia riconosciuto che l’appello non abbia ragionevoli probabilità di accoglimento, rispetto all’impugnazione con ricorso ordinario della sentenza di primo grado davanti a questa Corte ex artt. 348 ter comma 3° e 360 c.p.c., é stata riconosciuta dalla sentenza n. 1914 del 2.2.2016 delle sezioni unite di questa Corte per vizi propri dell’ordinanza d’inammissibilità di carattere processuale, cioè nelle ipotesi in cui, non essendo l’errore del giudice d’appello deducibile come motivo di impugnazione del provvedimento di primo grado, manca la possibilità di rimettere in discussione la tutela che compete alla situazione giuridica dedotta nel processo attraverso il ricorso per cassazione ordinario avverso la pronuncia di primo grado, secondo la previsione dell’art. 348 ter comma 3° c.p.c..
Tra queste ipotesi, la citata sentenza, fa rientrare espressamente i casi in cui, con l’atto di appello, sia fatto valere lo ius superveniens o siano fatti valere fatti sopravvenuti alla sentenza di primo grado, trattandosi di questioni che detta sentenza per motivi cronologici non ha potuto valutare e devono quindi essere esaminate e valutate in secondo grado, senza poter addivenire ad una pronuncia di inammissibilità dell’appello ex artt. 348 bis o 348 ter c.p.c., che finirebbe per confermare una sentenza di primo grado che quelle questioni non ha affrontato, né poteva affrontare.
Nel caso di specie COGNOME NOME con l’atto di appello aveva prodotto il dispositivo della sentenza penale della Corte d’Appello di Bologna, che aveva confermato la condanna di primo grado di COGNOME NOME per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni putative mediante violenza, ed il giorno prima dell’udienza ex art. 350 c.p.c. del 26.3.2019, ha depositato telematicamente la suddetta sentenza penale della Corte d’Appello di Bologna n.5432/2018 del 21.12.2018, contenente in motivazione anche un riferimento al rapporto di incarico professionale tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, ma l’impugnata ordinanza ex art. 348 bis c.p.p.
ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello senza spendere una parola sull’ammissibilità, o meno, di tali produzioni documentali, e sulla loro rilevanza, ignorando totalmente la suindicata sentenza, alla quale l’appellante aveva attribuito importanza decisiva, producendo poi, nel corso di questo giudizio, con la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. del 5.12.2024, anche la sopravvenuta ordinanza della Corte di Cassazione penale n. 30295/2019 del 13.6.2019, che ha dichiarato inammissibile il ricorso ordinario del COGNOME contro la menzionata sentenza penale di condanna della Corte d’Appello di Bologna, e la sopravvenuta sentenza della Corte di Cassazione penale n. 20479/2020 del 4.3.2020, che ha dichiarato inammissibile il ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p. del COGNOME contro l’ordinanza di questa Corte del 13.6.2019. L’ordinanza della Corte d’Appello di Bologna ex art. 348 bis c.p.c. del 5.4.2019 va quindi cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione, che dovrà decidere sull’appello già proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale di Modena n. 1847/2018 dell’8/9.11.2018, valutando preliminarmente l’ammissibilità e la rilevanza dei documenti relativi a fatti sopravvenuti al giudizio di primo grado prodotti da COGNOME NOME e che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità e del primo giudizio di appello.
L’accoglimento del quinto motivo di ricorso fa ritenere assorbiti i primi quattro motivi, riguardanti la sentenza di primo grado.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il quinto motivo del ricorso di COGNOME NOME, assorbiti i primi quattro motivi, cassa l’impugnata ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. emessa dalla Corte d’Appello di Bologna il 5.4.2019 in relazione al motivo accolto, e rinvia alla
Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio del 12.12.2024