Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27806 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27806 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13940/2024 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
-ricorrente –
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
ricorrente incidentale –
contro
Banca Monte dei Paschi di Siena, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 2456/2023, depositata il 6 dicembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, depositata il 6 dicembre 2023, di
Oggetto: intermediazione finanziaria
reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del Tribunale di Arezzo che aveva respinto le domande di NOME COGNOME e del medesimo NOME COGNOME, intervenuto nel giudizio quale cessionario del credito in contestazione, di accertamento della nullità degli acquisti di obbligazioni della Repubblica Argentina, di annullamento o risoluzione degli stessi per grave inadempimento della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. e di condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni per violazione degli obblighi informativi in relazione all’esecuzione di tali operazioni di acquisto;
la Corte di appello ha riferito che il giudice di primo grado aveva respinto le domande dell’attore e dell’interven iente evidenziando che gli acquisti erano state effettuati prime dell’entrata in vigore del testo unico finanza, la cui disciplina, dunque, non poteva trovare applicazione ratione temporis , e che la banca convenuta non aveva violato gli obblighi di cui all’art. 17, d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, attesa l’assenza di indicatori da cui poter evincere l’ «alta rischiosità» dei titoli; – ha aggiunto che il Tribunale aveva, comunque, osservato che: il diritto al risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale era prescritto, decorrendo il relativo termine dalla data di acquisto di tali titoli; la azione di risoluzione era infondata, attesa l’adesione dell’investitore alla offerta di concambio avanzata dall’emittente; non sussisteva il dedotto conflitto di interessi, prospettato in relazione al fatto che la banca aveva in portafoglio i titoli in questione, in assenza di elementi di collegamento, neanche fattuali, tra la banca e il soggetto emittente;
il giudice di appello ha disatteso il gravame evidenziando, tra le altre considerazioni, che le azioni di annullamento del contratto, di risoluzione dello stesso e di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale si erano prescritte per decorso del termine decennale, in quanto la prima diffida utile era intervenuta il 29 dicembre 2021, mentre il dies a quo doveva individuarsi nella data di esecuzione delle
operazioni (anni 1996 e 1997) o, al più tardi, nel 21 dicembre 2001, data di default dell’emittente;
ha, inoltre, rilevato che l’adesione dell’investitore all’offerta di concambio aveva determinato la novazione dei rapporti originari con conseguente sopravvenuta carenza dell’investitore alla pronuncia di risoluzione dei contratti preesistenti;
il ricorso è affidato a cinque motivi;
resiste con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena RAGIONE_SOCIALE;
distinto ricorso per cassazione, contenente identiche censure, è successivamente proposto anche da NOME COGNOME;
anche in relazione a tale ricorso resiste con controricorso la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.;
-a seguito di proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., i ricorrenti chiedono la decisione della causa;
-le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
va preliminarmente rilevato che il principio dell ‘ unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e, quindi, che ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (cfr. Cass. 12 ottobre 2021, n. 27680; Cass. 9 febbraio 2016, n. 2516; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25662);
ne consegue che il ricorso proposto da NOME COGNOME, successivo a quello di NOME COGNOME, va qualificato quale ricorso incidentale;
con il primo motivo dei ricorsi si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 cod. civ. e 3 e 24 Cost., per aver la sentenza impugnata ritenuto che la decorrenza del termine prescrizionale decorresse dalla data di stipulazione del contratto o dell’inadempimento e non già da quella in cui il danno si era
manifestato;
con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell ‘art. 115 , secondo comma, cod. proc. civ., per aver la Corte di appello affermato che il default dell’emittente si fosse verificato il 21 dicembre 2001 -e non già il 31 dicembre 2001, come sostenuto da parte attrice -senza indicare la fonte di conoscenza di tale circostanza, non potendosi ritenere che lo stesso costituisca un fatto notorio sottratto al principio di disponibilità delle prove;
con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che oggetto delle domande fossero gli acquisti di titoli effettuati nel 1996 e, per uno di essi, nel 1997, in conformità con i doc. 2-6 prodotti dalla banca;
-si evidenzia che l’investitore aveva effettuat o acquisti di altri titoli -indicati sia nel doc. 1 di parte attrice, sia nel doc. 14 di parte convenuta -, in epoca successiva all’entrata in vigore dell’euro , e tali costituivano oggetto delle domande giudiziali avanzate;
si censura, inoltre, la decisione di appello nella parte in cui ha ritenuto che gravava sull’attore l’onere di contestare i doc. 2 -6 prodotti dalla banca, benché si trattava di mezzi di prova e non già dell’allegazione di fatti, e, comunque, ha omesso di considerare che tali documenti erano stati interessati dalla contestazione della parte attrice all’udienza del 7 gennaio 2014;
con il quarto motivo si censura la violazione degli artt. 115, 116 e 132, n. 4, cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., per aver la sentenza impugnata attribuito rilevanza ai doc. 2-6 benché la sottoscrizione apposta sugli stessi e apparentemente riferibile all’investitore fosse stata riconosciuta quale aprocrifa;
-con l’ultimo motivo si deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’omesso esame di argomentazioni illustrate con l’atto di appello, quali: la non riconducibilità all’attore delle
sottoscrizioni apposte ai doc. 2-6 della banca; la non corrispondenza della denominazione dei titoli di cui ai doc. 2-6 a quella dei titoli oggetto di causa; l’assenza dei titoli indicati nei doc. 2-6 dal «prospetto deposito titoli»; la mancata esplicita affermazione da parte della banca convenuta che i doc. 2-6 fossero « annotazioni d’ordine » relative ai titoli fatti oggetto di causa; la riferibilità degli ordini di acquisto di cui ai suddetti doc. 2-6 ai titoli per i quali era stato pagato un prezzo comple ssivo grandemente inferiore a quello che, nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, l’attore aveva dedotto di aver pagato; l’erroneità della ritenuta non contesta zione dell’allegazione secondo cui tali documenti erano relativi agli acquisti dei titoli dedotti in giudizio e che addirittura fossero relativi a tutti tali acquisti;
la proposta di definizione del giudizio ha ritenuto che tutti i motivi di ricorso fossero inammissibili;
ha, in particolare, rilevato che la sentenza impugnata «è … fondata su una ratio decidendi, attinta dal secondo mezzo, che senz’altro resiste alla censura, con conseguente assorbimento degli altri motivi. il danno determinato dal default dell’Arge
La corte d’appello ha confermato che il diritto fatto valere in giudizio era estinto per prescrizione decennale osservando tra l’altro che il termine prescrizionale era stato interrotto il 31 dicembre 2011, ma che ntina si era verificato e palesato, con conseguente decorso del termine di prescrizione ai sensi dell’articolo 2935 c.c., prima del decennio computato a ritroso da tale data.
La sentenza impugnata al riguardo così motiva: «Il default argentino non è emerso il 31 dicembre ma il 21 dicembre 2001 quando il governo dichiarò la moratoria sul debito congelando il pagamento degli interessi e sospendendo il rimborso dei capitali in scadenza; il danno quindi divenne immediatamente percepibile dagli azionisti. Il fatto notorio del default, divenne generalizzato e ampiamente diffuso sulla stampa e sulle reti televisive, in maniera tale che un investitore di media
diligenza non avrebbe potuto non prenderlo in considerazione; situazione tipica in cui si genera molto spesso un panico finanziario con la corsa agli sportelli delle banche e delle società finanziarie».
A fronte di ciò, i ricorrenti assumono che la corte territoriale avrebbe mal governato il concetto di notorio, ma l’assunto è totalmente privo di fondamento, avuto riguardo al principio secondo cui: «In tema di prova, il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio (da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo) e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda; peraltro, allorché si assuma che il fatto considerato come notorio dal giudice non risponde al vero, l’inveridicità può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non già di ricorso per cassazione» (Cass. 15 febbraio 2024, n. 4182).
E nel caso di specie la sentenza impugnata non è affatto viziata da una errata nozione di notorio. Difatti: «Le condizioni di crisi economica o finanziaria, quando sono generalizzate, rientrano nella nozione di “fatto notorio” per i fini di cui all’art. 115 c.p.c.» (Cass. 6 giugno 2023, n. 15923, riferita al caso Lehman Brothers, e dunque al default di una singola banca, vicenda senza dubbio enorme, di risonanza mondiale, ma certo non più notorio del default di uno Stato sovrano quale l’Argentina). Comunque la si voglia guardare, dunque, il giudizio di notorietà dell’antecedenza del default e del suo manifestarsi non più tardi del 21 dicembre è incensurabile in questa sede.
Gli altri motivi come si diceva rimangono assorbiti».
il Collegio condivide tali considerazioni;
può aggiungersi che con l’istanza avanzata ex art. 380 bis cod. proc.
civ. i ricorrenti criticano la proposta nella definizione nella parte in cui ha ritenuto corretta l’applicazione della nozione di fatto notorio operata dalla Corte di appello osservando che la notizia del default aveva impiegato del tempo per diventare fatto notorio e che, comunque, alla data del default dell’emittente non era certa l’esistenza del danno e, quindi, non era ancora insorto il diritto ad ottenere il relativo risarcimento;
sul punto, può replicarsi, quanto al primo aspetto, che l’ inveridicità del fatto considerato dal giudice di appello notorio può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non già di ricorso per cassazione (cfr., oltre alla giurisprudenza individuata nella proposta di definizione, Cass. 22 maggio 2019, n. 13715; Cass. 18 maggio 2007, n. 11643; Cass. 17 settembre 2005, n. 18446);
quanto al secondo aspetto, si osserva che la nozione del fatto notorio è stata utilizzata dalla Corte di appello solamente per individuare la data del default dell’emittente, mentre l’ individuazione del dies a quo del termine prescrizionale nella medesima data costituisce frutto di interpretazione del giudice di merito in ordine al momento in cui il diritto vantato poteva essere esercitato;
-l’individuazione di tale dies a quo non è, dunque, fatto discendere dall’applicazione della nozione di fatto notorio, ma costituisce applicazione dell’art. 2935 cod. civ. , sia pure fondata su un accertamento fattuale operato mediante il ricorso al fatto notorio;
esso dipende dalle circostanze del singolo caso concreto e il relativo accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, perché presuppone indagini di natura fattuale notoriamente precluse in sede di legittimità (così, Cass. 12 dicembre 2024, n. 32226);
con riferimento al terzo e al quarto motivo può, inoltre, evidenziarsi che la deduzione con il ricorso per cassazione errores in procedendo , in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere
direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo (cfr. Cass. 13 marzo 2018, n. 6014; Cass. 20 luglio 2012, n. 12664);
ne consegue che il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso (cfr. Cass. 6 settembre 2021, n. 24048; Cass. 23 dicembre 2020, n. 29495; Cass. 25 settembre 2019, n. 23834);
in particolare, l ‘ indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi deve avvenire, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, unitamente da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (cfr. Cass. 19 aprile 2022, n. 12481);
nel caso in esame, parti ricorrenti omettono di indicare con esattezza quale è stato l’oggetto delle domande proposte in primo grado in particolare, quali acquisti di titoli sono stati dalle stesse interessati -e in quale atto le medesime domande sono state compitamente articolate, non soddisfacendo, in tal modo, l’onere di autosufficienza del ricorso sulle stesse gravanti;
sotto altro aspetto, si osserva che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il
dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre per dedurre la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. occorre allegare che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (cfr. Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867);
i ricorrenti non hanno assolto a un siffatto onere, limitandosi a contestare la valutazione dei documenti probatori offerti dalle parti;
-in ordine all’ultimo motivo può, altresì, sottolinearsi che a integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, per cui tale vizio non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di specifiche argomentazioni (così, Cass. 29 gennaio 2021, n. 2151; Cass. 9 maggio 2007, n. 10636; Cass. 1° aprile 2003, n. 4972);
per le suesposte considerazioni, pertanto, i ricorsi vanno dichiarato inammissibili;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2023, n. 28540);
i ricorrenti vanno, dunque, solidalmente condannati nei confronti della
contro
ricorrente al pagamento di una somma che può equitativamente determinarsi in euro 7.800,00, oltre che, ciascuno di essi, al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
La Corte dichiara i ricorsi inammissibili; condanna il ricorrente principale e quello incidentale, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 7.800,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Condanna il ricorrente principale e quello incidentale, in solido tra loro, al pagamento della somma di euro 7.800,00 in favore della parte controricorrente, nonché ciascuna di essi al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00, in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte sia del ricorrente principale sia di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 17 settembre 2025.
Il Presidente