Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15312 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 14697/2021 R.G. proposto da:
DI NOMECOGNOME NOME e NOME, domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentati e difesi da ll’ avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale avvEMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dei procuratori speciali NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio degli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale
;
;
– controricorrente –
NOME
– intimato – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Catania n. 2001/2020, depositata il 19.11.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14.2.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché NOME COGNOME convennero la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Siracusa, per ottenerne la condanna in solido al risarcimento del danno, pari alle somme rispettivamente consegnate per la sottoscrizione di polizze al NOME, collaboratore della Compagnia, ma andate perdute a causa della sua infedeltà. Istruita la causa nella contumacia del Lena, il Tribunale di Siracusa condannò i convenuti (la Compagnia ex art. 2049 c.c.), in solido, alla restituzione delle somme consegnate dagli attori al Lena, e così: € 49.300,00 in favore dei coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME; € 82.445,00 in favore dei coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME; € 36.500,00 in favore di NOME COGNOME il tutto oltre accessori e col favore delle spese. La Compagnia propose gravame, cui resistettero gli originari attori, proponendo anche appello incidentale, mentre il Lena rimase contumace. La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 19.11.2020, accolse parzialmente l’appello principale, rigettando l’incidentale; in particolare, vennero rideterminate le somme dovute dalla Compagnia in favore dei coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME in misura pari ad € 31.190,00, mentre venne r igettata la domanda proposta dai coniugi
e contro
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NOME COGNOME e NOME COGNOME; infine, venne invece confermata la decisione impugnata con riguardo ad NOME COGNOME. Osservò il giudice d’appello che, quanto ai primi (COGNOME/COGNOME), nel fascicolo di parte erano rinvenibili solo quattro assegni, anziché nove, come riportato nell’indice, non certificato dal cancelliere ex artt. 73 e 74 disp. att. c.p.c.; che, quanto agli altri (NOME/COGNOME), i quattro assegni indicati in citazione non erano rinvenibili nel fascicolo di parte, al contrario di quelli indicati da NOME COGNOME invece presenti. Da tanto, il giudice d’appello ha dunque tratto le conseguenze in termini di prova del l’ an e del quantum debeatur .
Avverso detta sentenza ricorrono i soli coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricorso la Allianz s.p.a., che ha pure depositato memoria. NOME COGNOME è rimasto intimato. Ai sensi dell’art. 380 -bis.1, comma 2, c.p.c., il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi all’odierna adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con l’unico motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 165, 163, comma 3, n. 5, 115 e 345 c.p.c ., dell’art. 77 disp. att. c.p.c., e dell’ art. 24 Cost ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; nonché omesso esame di un fatto decisivo (‘ il mancato esame di documenti ritualmente prodotti in primo grado, oggetto di discussione tra le parti e posti alla base della decisione del Tribunale di Siracusa ‘), ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c ., per aver la Corte d’appello ritenuto non provata la dazione delle somme da parte di essi ricorrenti al NOME COGNOMEcome accertato dal Tribunale in forza della propria
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produzione documentale (assegni di c/c), corroborata dalle dichiarazioni dei testi escussi -a cagione del mancato rinvenimento degli assegni stessi nel fascicolo di parte; si assume, infatti, che dal mancato rinvenimento dei documenti, sulla cui presenza in atti aveva già statuito il primo giudice, la Corte d’appello non avrebbe potuto trarre le contestate conclusioni, dovendo nel caso disporre ogni più opportuna ricerca o invitare le parti ad effettuare una nuova produzione, previa rimessione della causa sul ruolo.
2.1 -Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis .
Invero, i ricorrenti si dolgono della mancata ricerca – da parte del giudice d’appello – dei documenti (assegni di c/c) non rinvenuti nel fascicolo di parte all’atto della decisione , benché certamente prodotti in primo grado e utilizzati dal Tribunale, onde accogliere le domande attoree. Ciò invocando anche la non contestazione circa la loro presenza nel fascicolo, da parte dell’odierna controricorrente , nell’ambito del giudizio di primo grado .
2.2 -Ora, è appena il caso di precisare che soltanto la sottoscrizione dell’indice del fascicolo di parte , effettuata dal cancelliere ai sensi dell’art. 7 4 disp. att. c.p.c., conferisce certezza alla consistenza della produzione documentale della parte stessa (Cass. n. 5893/2022); del tutto correttamente, dunque, la Corte d’appello – in mancanza di una simile sottoscrizione (o di analogo adempimento, in relazione alle modalità di produzione degli atti e sviluppo del procedimento), relativamente alla produzione documentale delle parti attrici in primo grado – ha ritenuto non superabile tale deficit mediante il ricorso al meccanismo della non contestazione del contenuto del fascicolo di parte, ascrivibile (in tesi) alla
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Compagnia, giacché è noto che la non contestazione ex art. 115, comma 1, c.p.c., è riferibile soltanto ai fatti sostanziali (ossia, quelli oggetto del thema probandum ), non anche a quelli processuali (v. Cass. n. 21403/2022).
Ciò posto – ed anche a considerare che sulla presenza dei documenti in questione nel fascicolo di parte di primo grado s’era pronunciato il Tribunale -, come anche ribadito assai di recente da questa stessa Sezione (Cass. n. 914/2024, in motivazione), occorre evidenziare che, ‘ in ragione della natura dell’appello come mezzo a critica vincolata, è onere dell’appellante introdurre rite nel giudizio d’appello i documenti pur già dallo stesso prodotti nel grado precedente -su cui fondi il proprio gravame ovvero, se trattasi di documenti offerti in comunicazione da altre parti, sottoporli all’attenzione del giudicante mediante deposito di copia acquisita avvalendosi della facoltà ex art. 76 disp. att. cod. proc. civ. (così Cass., Sez. U, 16/02/2023, n. 4835; Cass. 09/06/2016, n. 11797; Cass. 23/01/2018, n. 1628; Cass., Sez. U, 08/02/2013, n. 3033) ‘ .
Né, d’altra parte, può ritenersi , se non altro allo stato della disciplina applicabile e della sua interpretazione finora consolidata, che la trasmissione del fascicolo d’ufficio operata dal cancelliere del primo giudice all’ufficio adito con l’impugnazione possa automaticamente comportare anche la trasmissione del fascicolo di parte e dei documenti nello stesso presenti; ciò proprio per la funzione distinta ed autonoma del fascicolo di parte rispetto al fascicolo di ufficio (v. Cass. n. 2129/2022, nonché, ancora, Cass. n. 914/2024).
2.3 -Ciò chiarito sul piano generale, i ricorrenti non colgono nel segno laddove invocano un supposto potere d’indagine del giudice d’appello, in ordine alla ricerca dei documenti che si assumono già prodotti in primo grado, o alla
necessità di rimettere la causa sul ruolo, con invito a nuova produzione documentale rivolto alla parte. Infatti, si è condivisibilmente affermato che l’onere di ricerca da parte del giudice sussiste solo se non risulta che il fascicolo di parte sia stato ritirato: ‘ Ove non risulti alcuna annotazione dell’avvenuto ritiro del fascicolo di una parte, il giudice non può rigettare una domanda, o un’eccezione, per mancanza di una prova documentale inserita nel fascicolo di parte, ma deve disporre le opportune ricerche tramite la cancelleria, e, in caso di esito negativo, concedere un termine all’appellante per la ricostruzione del proprio fascicolo, presumendosi che le attività delle parti e dell’ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali e, quindi, che il fascicolo, dopo l’avvenuto deposito, non sia mai stato ritirato. Soltanto in caso di insuccesso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all’ordine di ricostruire il proprio fascicolo, il giudice p otrà pronunciare sul merito della causa in base agli atti a sua disposizione ‘ (così, Cass. n. 12369/2014; conf. Cass. 7630/16; 3771/2017).
Pertanto, posto che -secondo l’ id quod plerumque accidit -avuto riguardo allo svolgimento del processo di cognizione in modalità tradizionale o analogica (come avvenuto nella specie), il fascicolo di parte viene di regola ritirato dalla parte stessa, dopo la pubblicazione della sentenza, i ricorrenti hanno del tutto omesso di indicare anzitutto se essi avevano ritirato o meno il proprio fascicolo di parte all’esito del giudizio di primo grado , nonché di descrivere il contenuto dell’indice del fascicolo di parte dell’appello sottoscritto dal cancelliere ai sensi dell’art. 74 disp. att. c.p.c. e perfino, a ben vedere, di allegare esplicitamente di
aver depositato, in appello, il fascicolo di parte del giudizio di primo grado, nello stesso identico contenuto già valutato dal Tribunale.
Nulla è evincibile, sul punto, dal ricorso, il che determina la sua inammissibilità per insufficiente esposizione dei fatti processuali ex art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis ): tale deficit espositivo, infatti, non consente a questa Corte di valutare, dalla mera lettura del ricorso, la potenziale decisività della censura complessivamente mossa alla decisione impugnata, proprio perché non v’è alcuna certezza quantomeno, sul piano dell’allegazione -che il medesimo contenuto del fascicolo di parte del giudizio di primo grado sia effettivamente transitato nel giudizio d’appello . In tali condizioni, dunque, non è affatto possibile non tanto accertare una possibile svista da parte della Corte d’appello etnea circa il contenuto effettivo del fascicolo di parte in parola (il che, a ben vedere, avrebbe dovuto eventualmente censurarsi con la revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c.), quanto piuttosto valutare funditus se un potere di ricerca da parte del giudice d’appello (nel senso supra chiarito) potesse dirsi sussistente, solo in ciò, eventualmente, potendo consistere l’errore ascrivibile allo stesso giudice del gravame.
3.1 -Il ricorso è, dunque, inammissibile.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 7.500,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno