Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15031 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15031 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/05/2024
Oggetto: Concordato omologatoInadempimento degli obblighi concordatariDichiarazione di fallimento omisso medio .
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 16620 del ruolo generale dell’anno 2022, proposto
da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, presso lo studio del quale in Roma, alla INDIRIZZO, elettivamente si domicilia
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura speciale in atti, dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliatosi presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME , rappresentati e difesi, giusta procure speciali in atti, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente
domiciliatisi presso lo studio del primo in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrenti-
e nei confronti di
Fallimento di RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma
-intimati-
per la cassazione della sentenza della C orte d’appello di Roma n. 3559/22, pubblicata in data 25 maggio 2022;
udita la relazione sulla causa svolta nell’adunanza camerale dell’8 maggio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Emerge dalla sentenza impugnata che il Tribunale di Roma ritenne improcedibile il ricorso per la dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE, debitrice RAGIONE_SOCIALE, poiché, sebbene fosse in corso la fase liquidatoria del procedimento di concordato, non era stato azionato il rimedio della risoluzione previsto dall’art. 186 l.fall.
La Corte d’appello di Roma accolse, tuttavia, il reclamo proposto dai creditori istanti, in base alla considerazione che i crediti vantati dai reclamanti erano maturati dopo l’omologazione del concordato preventivo e, quindi, potevano considerarsi nuovi rispetto al concordato, rendendo procedibile il ricorso per la dichiarazione di fallimento.
Il giudice del reclamo ritenne altresì conclamata la situazione d’insolvenza, facendo leva sul dato non contestato che il realizzo dell’attivo RAGIONE_SOCIALE era stato di euro 1.273.025,00, a fronte di una previsione di euro 5.521.746,00, sull’andamento negativo della gestione dell’attività d’impresa, finché era stata svolta, sul diniego di accesso al credito opposto dal sistema bancario, sulla risoluzione dei rapporti di lavoro e sulla chiusura di tutte le sedi della società. E allora, aggiunse, poiché i trattamenti di fine rapporto maturati non
erano stati pagati, risultavano debiti ulteriori per € 368.667,66, che avevano fatto lievitare il debito complessivo sorto dopo l’omologazione del concordato sino a € 847.300,50.
In esito a riassunzione del procedimento prefallimentare, il Tribunale di Roma dichiarò fallita la società, considerando che non era sopraggiunta alcuna circostanza nuova e che, in particolare, non era da ritenere tale l’ordinanza interlocutoria n. 8919/21 con la quale questa Corte aveva sottoposto alla valutazione del Primo Presidente la rimessione alle sezioni unite della questione dell’ammissibilità della dichiarazione di fallimento omisso medio nei confronti di imprenditore ammesso alla procedura di concordato preventivo, con concordato già omologato.
La Corte d’appello di Roma ha respinto il reclamo successivamente proposto contro la sentenza di fallimento.
Il giudice del reclamo ha anzitutto evidenziato che l’ambito di cognizione del tribunale era circoscritto ai fatti, segnalati anche dal debitore e incidenti sui presupposti della sua fallibilità, successivi al decreto col quale la corte d’appello aveva rimesso gli atti per la dichiarazione di fallimento, ex art. 22, comma 4, l. fall. In questo contesto, ha dato conto della pronuncia nel frattempo intervenuta delle sezioni unite, le quali, con la sentenza n. 4696/22, hanno riconosciuto la fallibilità del debitore ammesso al concordato preventivo omologato che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari, e ha comunque sottolineato che i crediti dei reclamanti erano successivi al piano RAGIONE_SOCIALE e in esso non inclusi.
La corte territoriale ha quindi escluso che fossero venuti meno i presupposti per la dichiarazione di fallimento, posto che le circostanze asseritamente sopravvenute menzionate dalla reclamante, ossia l’avvenuta sospensione in grado di appello della provvisoria esecutività di una sentenza di primo grado con la quale era stato accertato il rango privilegiato del credito vantato dal
RAGIONE_SOCIALE, e l’accantonamento della somma di euro 75.000,00, risultavano da documenti già allegati al fascicolo della procedura prefallimentare sin da epoca antecedente alla prima pronuncia del Tribunale di Roma.
Contro questa sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, cui rispondono con controricorsi RAGIONE_SOCIALE, che deposita anche memoria, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che pure depositano memoria, mentre gli altri non replicano.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con i due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, perché connessi, la società lamenta:
la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., 1, 5, 15 e 6 l.fall., la nullità della sentenza in ragione del mero richiamo al decreto ex art. 22 l.fall., la mancata valutazione del materiale probatorio concernente i crediti azionati, posteriori al concordato e comunque in misura eccedente la falcidia concordata, l’illegittima sopravvalutazione delle risultanze di altro giudizio, ossia del precedente reclamo, nonché la mancanza, la contraddittorietà e l’illogicità manifesta della mo tivazione sul punto ( primo motivo );
la violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., 1, 5, 15 e 6 l.fall., 22 e 186 l.fall., nonché dell’art. 132 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c. in ragione della mancata valutazione del fatto decisivo costituito dall’insolvenza della ricorrente e della contestuale mancanza, o mera apparenza, contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione, ridotta dalla corte d’appello al mero richiamo ai documenti già allegati e all’esclusione della novità delle circostanze in essi riportate ( secondo motivo ).
Anche di là de i profili d’inammissibilità di ciascuno dei due motivi, che si contrassegnano per la formulazione frammista e confusa di più aspetti di censura, il ricorso è complessivamente
inammissibile, perché calibrato su considerazioni che non riescono a minare la tenuta della decisione impugnata.
2.La corte d’appello, difatti, facendo leva sulla giurisprudenza di questa Corte (espressa da Cass. nn. 15862/13, 12075/20, richiamate in sentenza; conf., da ultimo, n. 1579/24, punto 4.1.) ha correttamente sottolineato che l’ambito della cognizione del tribunale era circoscritto soltanto ai fatti, segnalati anche dal debitore e incidenti sui presupposti della sua fallibilità, successivi al decreto col quale erano stati rimessi gli atti al tribunale in esito al primo reclamo: il giudice ad quem , ha precisato, è vincolato al dictum della corte, inderogabilmente deputata a conoscere tutti gli elementi, preesistenti o sopravvenuti, rilevanti per la verifica dei menzionati presupposti medio tempore intervenuti anteriormente alla sua pronuncia.
Il ‘mero richiamo’ al decreto reso ex art. 22 l. fall. nel precedente giudizio di reclamo non è, dunque, affatto sintomatico della mancanza o dell’apparenza di motivazione prospettata in ricorso, poiché la norma in questione è frutto di una precisa scelta legislativa attinente alla struttura duale della dichiarazione di fallimento, in ragione della quale il decreto del secondo giudice è destinato a essere vincolativamente recepito e posto a premessa nella sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dal tribunale (Cass. n. 3022/20, punto IX).
2.1.- Coerentemente, quindi, la corte territoriale ha esaminato gli elementi asseritamente sopravvenuti segnalati dal debitore, dei quali ha escluso la novità, aggiungendo che in ogni caso i crediti vantati dai primi reclamanti, che ne fondavano la legittimazione a richiedere la pronuncia del fallimento, erano successivi al piano RAGIONE_SOCIALE e in esso non inclusi, per cui non ricorreva un’ipotesi di fallimento omisso medio .
La corte territoriale ha, peraltro, dato conto in sentenza degli accertamenti pregressi, in particolare di quello concernente proprio
l’insolvenza, che il giudice del primo reclamo aveva già ritenuto conclamata, come riportato in narrativa, in base al dato non contestato che il realizzo dell’attivo RAGIONE_SOCIALE era stato di euro 1.273.025,00, a fronte di una previsione di euro 5.521.746,00, all’andamento negativo della gestione dell’attività d’impresa, finché era stata svolta, al diniego di accesso al credito opposto dal sistema bancario, alla risoluzione dei rapporti di lavoro e alla chiusura di tutte le sedi della società.
3.Col ricorso la società non si confronta con queste statuizioni, proponendo, invece, considerazioni tutte vertenti sul merito e perdipiù irrilevanti.
Irrilevanti sono anzitutto quelle volte a dimostrare l’anteriorità all’omologazione del concordato dei crediti vantati dai primi reclamanti, in base ai principi fissati dalle sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., n. 4696/22, cit.): e ciò perché l ‘insolvenza, intesa quale fenomeno giuridico di sostrato economico, è sì rimossa dall’omologazione del concordato, ma nel senso che, per effetto di questa, sul piano sostanziale, essa non rileva più nella sua manifestazione d’origine ma, eventualmente, sol o in quella rinveniente dalla mancata esecuzione del patto RAGIONE_SOCIALE.
Il che comporta che, a seguito dell’inadempimento del patto RAGIONE_SOCIALE, l’insolvenza originaria, sia pure ragguagliata alla misura della falcidia, continua a rilevare.
Né rileva di per sé , sul piano dell’insolvenza, che il fallimento sia dichiarato quando ancora non siano decorsi i termini fissati per l’adempimento delle obbligazioni concordatarie , qualora emerga che l’accordo è oggettivamente venuto meno alla propria funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa, o comunque è risultata l’obiettiva impossibilità sopravvenuta di attuare le condizioni minime previste dalla legge fallimentare: laddove, nel caso in esame, si ribadisce, lo stato d’insolvenza era già stato ritenuto conclamato, in base agli elementi dinanzi riportati.
Del pari irrilevante è la considerazione spesa in ricorso che i creditori avevano azionato l’intero loro credito, e non solo quello risultante dalla falcidia RAGIONE_SOCIALE.
Anzitutto, l’intero comprende la misura falcidiata, in relazione alla quale v’era stato il pregresso accertamento d’insolvenza.
E comunque, in base all’indirizzo di questa Corte, che le sezioni unite con la sentenza dinanzi richiamata hanno recepito (v. pag. 16 di Cass., sez. un., n. 4696/22, cit.), qualora il fallimento sia stato dichiarato, come nel caso in esame, quando è ancora possibile instare per la risoluzione del concordato, ex art. 186 l.fall., i creditori non sono tenuti a sopportare gli effetti esdebitatori e definitivi del concordato omologato, a norma dell’art. 184 l.fall., posto che l’attuazione del piano è resa impossibile per l’intervento di un evento come il fallimento che, sovrapponendosi al concordato, inevitabilmente lo rende irrealizzabile (così Cass. nn. 26002/18; 12085/20).
3.1.- Irrilevanti sono altresì le considerazioni concernenti l’in s ussistenza dell’insolvenza, in quanto rivolte a ottenere un inammissibile sindacato di merito (tra varie, Cass. n. 36089/22; n. 19158/23), posto che, a fronte dell’accertamento di conclamata insolvenza, ancorata ai dati obiettivi sopra indicati sub 2.1., la ricorrente oppone circostanze non decisive, ossia:
lo stralcio di una relazione con la quale il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale della procedura di concordato si erano limitati a escludere la configurabilità di un patrimonio separato con riferimento ai beni strumentali e ai flussi finanziari derivanti dalla prosecuzione dell’attività, ritenendo necessaria la prosecuzione dell’attività liquidatoria;
-un parere pro veritate di un difensore nominato da commissario e liquidatore, di per sé inidoneo a contrastare gli indicati accertamenti di fatto, posto che l’atto in questione è una forma elaborata di consulenza legale, resa mediante un saggio avente
ad oggetto l’analisi e la soluzione di un determinato problema giuridico, composta da un quesito vertente su una questione controversa e da una risposta al quesito alla quale si perviene attraverso un percorso logico argomentativo in cui vengono esaminati in modo specifico i dati normativi atti a giustificare la soluzione accolta (Cass. n. 34658/22);
una relazione del commercialista della debitrice, quindi riferibile alla parte che intende trarne vantaggio, ‘rafforzata’ dalle dichiarazioni del legale rappresentante di questa (con la precisazione che, come la stessa ricorrente riferisce in ricorso -pag. 7, punto 9-, la relazione degli organi della procedura e quella del commercialista della società erano già state depositate nel corso della procedura prefallimentare dinanzi al tribunale);
-nuovamente le questioni concernenti l’accantonamento e la sorte del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE, già delibate dalla corte d’appello.
4.- Il ricorso è quindi inammissibile e le spese seguono la soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese sostenute dai controricorrenti, che liquida, quanto ai compensi, in euro 10.000,00 per RAGIONE_SOCIALE, e in euro 15.000,00 per gli altri controricorrenti, oltre che, per ciascuna delle due parti, euro 200,00 per esborsi, 15% a titolo di spese forfetarie, iva e cpa. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’8 maggio 2024 .