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Fallimento: la dichiarazione integrativa non basta

Una società di servizi, dichiarata fallita, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che una dichiarazione integrativa dimostrava il mancato superamento delle soglie di fallibilità. La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Questi ultimi avevano ritenuto la dichiarazione integrativa tardiva e inattendibile, dando maggior peso al bilancio originario e alla scoperta di un ingente debito non dichiarato verso un Ente Pubblico. L’insistenza nel ricorso è stata sanzionata come abuso del processo.

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Fallimento: La Dichiarazione Integrativa Tardiva non Salva l’Impresa

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia fallimentare: la credibilità dei documenti contabili è cruciale e le correzioni dell’ultimo minuto, come una dichiarazione integrativa presentata in pendenza di un’istanza di fallimento, possono essere considerate inattendibili dal giudice. Questo caso offre spunti importanti sulla valutazione delle prove e sulle conseguenze di un uso strumentale del processo.

I fatti di causa: La dichiarazione integrativa per evitare il fallimento

Una società di servizi e il suo socio accomandatario venivano dichiarati falliti dal Tribunale di primo grado su istanza di un creditore. Contro tale decisione, la società proponeva reclamo alla Corte d’Appello, sostenendo di non possedere i requisiti oggettivi di fallibilità previsti dalla legge.

Il fulcro della difesa si basava su una dichiarazione integrativa dei redditi, presentata nel corso del procedimento, con cui si riducevano i ricavi di un anno d’imposta precedente a una cifra inferiore alla soglia di legge. La giustificazione addotta era che una parte significativa dei ricavi, derivanti da un contratto con una Pubblica Amministrazione, non era stata incassata a causa di contestazioni e, pertanto, non doveva essere considerata di competenza di quell’esercizio.

La valutazione della Corte d’Appello sulla dichiarazione integrativa

La Corte d’Appello ha respinto il reclamo, ritenendo la manovra contabile poco credibile. I giudici hanno considerato maggiormente attendibili i dati del bilancio originario del 2018, depositato dalla società in “epoca non sospetta”, ovvero prima dell’avvio della procedura prefallimentare.

La motivazione della corte territoriale si è basata su due elementi principali:
1. Scarsa convinzione: La società non aveva fornito prove sufficienti riguardo alle fatture contestate e alla data della loro contestazione.
2. Incoerenza: Era emersa l’esistenza di un debito ingente (quasi 600.000 euro) della società verso la stessa Pubblica Amministrazione, debito che, peraltro, non era nemmeno stato riportato nei bilanci prodotti dalla reclamante. Questo ha ulteriormente minato la credibilità della sua posizione.

La Corte d’Appello ha quindi concluso che le soglie di fallibilità erano state superate, confermando la sentenza di primo grado.

Le motivazioni della Cassazione: tra merito e legittimità

La Corte di Cassazione, investita del ricorso della società, lo ha dichiarato inammissibile. Gli Ermellini hanno chiarito che il compito della Suprema Corte non è quello di riesaminare i fatti o di sostituire la propria valutazione delle prove a quella dei giudici di merito. Il ricorso, infatti, pur denunciando formalmente una violazione di legge, mirava surrettiziamente a ottenere una nuova valutazione degli elementi probatori.

La Cassazione ha sottolineato che la motivazione della Corte d’Appello era logica, chiara e tutt’altro che apparente, superando ampiamente il cosiddetto “minimo costituzionale”. I giudici di merito hanno legittimamente esercitato il loro potere di “prudente apprezzamento” delle prove, come previsto dal codice di procedura civile, ritenendo la documentazione prodotta dalla società (la dichiarazione integrativa) inattendibile. Inoltre, la sola esistenza del debito accertato, superiore ai 500.000 euro, era di per sé sufficiente a giustificare il rigetto del reclamo, rendendo superflua ogni ulteriore indagine.

Le conclusioni: abuso del processo e sanzioni

L’ordinanza assume particolare rilievo anche per le conseguenze processuali. Il ricorso era stato oggetto di una proposta di definizione accelerata per manifesta infondatezza. Nonostante ciò, i ricorrenti hanno insistito per una decisione nel merito.

Poiché la Corte ha confermato in pieno la proposta, ha qualificato tale insistenza come un abuso del processo. Di conseguenza, in applicazione dell’art. 96, comma 4, del codice di procedura civile, ha condannato i ricorrenti al pagamento di una somma di 2.500,00 euro in favore della cassa delle ammende. Questa sanzione ha una funzione deterrente e punitiva verso comportamenti processuali meramente defatigatori, che appesantiscono il sistema giudiziario senza reali prospettive di accoglimento. La Corte ha inoltre confermato la sussistenza dei presupposti per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Una dichiarazione integrativa presentata durante il procedimento prefallimentare è sufficiente a dimostrare di essere sotto la soglia di fallibilità?
No, non automaticamente. Secondo la Corte, il giudice di merito può ritenerla inattendibile, specialmente se presentata molto tempo dopo quella originale e in un momento “sospetto” come il procedimento prefallimentare, preferendo i dati del bilancio depositato in precedenza.

Il giudice è obbligato a credere ai documenti contabili presentati dal debitore?
No. La valutazione del materiale probatorio, inclusi bilanci e altre produzioni documentali, è riservata al prudente apprezzamento del giudice di merito, che può ritenerli inattendibili se non supportati da prove convincenti.

Cosa rischia chi insiste con un ricorso in Cassazione dopo una proposta di definizione accelerata che ne suggerisce l’inammissibilità?
Se la Corte conferma l’inammissibilità del ricorso, il ricorrente può essere condannato per abuso del processo al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, come previsto dall’art. 96, comma 4, c.p.c., oltre al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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