Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1579 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1579 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8570/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, NOME, NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), indirizzo PEC: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in cui è stata fusa la mandataria RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), indirizzo PEC: EMAIL
-controricorrente-
nonché contro
FALLIMENTO della RAGIONE_SOCIALE, nonché dei soci illimitatamente responsabili NOME COGNOME, NOME,
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 605/2023 depositata il 24/03/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con ricorso del 4 novembre 2020, RAGIONE_SOCIALE chiese il fallimento della RAGIONE_SOCIALE e dei suoi soci illimitatamente responsabili, ma il Tribunale di Firenze rigett ò l’istanza, ritenendo che la societ à̀ debitrice, imprenditore agricolo ai sensi degli artt. 2135 c.c., 4 L. 96/2006 e 6 L.R. Toscana 30/2003, difettasse del requisito soggettivo di fallibilità di cui all’art. 1 l.fall., avendo riscontrato, anche sulla scorta di apposita CTU, il requisito di connessione ex art. 2135, comma 3, c.c. fra l’ attività agricola e quella agrituristica svolta dalla debitrice, ritenuta non prevalente rispetto alla prima secondo il criterio normativo del ‘monte ore’, prescelto dalla società resistente in luogo del criterio alternativo del valore della produzione lorda vendibile, in base alla legislazione regionale, richiamata da quella nazionale.
1.1. -La Corte d’appello di Firenze accol se il reclamo ex art. 22 l.fall. proposto da RAGIONE_SOCIALE e rimise gli atti al tribunale per la dichiarazione di fallimento, ritenendo che la scelta del criterio del ‘monte ore’ da parte della debitrice non precludesse una diversa valutazione giudiziale in sede prefallimentare, e che, pur considerando che le ore di lavoro destinate alla struttura agrituristica erano inferiori a quelle destinate al settore agricolo, il rapporto di connessione previsto dall’art. 2135 c.c. si dissolve va completamente a fronte di ricavi lordi derivanti dal settore agricolo ampiamente inferiori ai ricavi lordi derivanti da quello agrituristico.
1.2. -Con sentenza del 14 luglio 2022 il tribunale, facendo proprie per relationem le motivazioni della c orte d’ appello, affermò la natura commerciale dell’attivit à svolta dalla debitrice e ne dichiarò il fallimento.
1.3. -Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Firenze ha rigettato il reclamo ex art. 18 l.fall. proposto dalla
RAGIONE_SOCIALE e dai soci illimitatamente responsabili, statuendo, in particolare: i) che alla data della dichiarazione di fallimento l’art. 68, comma 11, d.l. 25 maggio 2021 n. 73, convertito con modificazioni dalla l. 106/2021, ( ‘ Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID -19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali ‘ , c.d. Decreto Sostegni bis), aveva eliminato dall’art. 4 , comma 2, L. 96/2006 il riferimento al tempo di lavoro, quale regola di base per definire i criteri di connessione delle attività agrituristiche rispetto a quelle agricole, con conseguente impossibilità di applicare il criterio alternativo del ‘monte ore’ contemplato dall’art. 3, L.R. Toscana 30/2003 emessa nell’ambito della legislazione concorrente ex art. 117 Cost.; ii) che l’indagine sulla natura, commerciale o agricola, di un’impresa agrituristica, ai fini della sua assoggettabilità a fallimento, ai sensi dell’art. 1 l.fall., va condotta sulla base di criteri uniformi valevoli per l’intero territorio nazionale, e non già sulla base di criteri valutativi evincibili dalle singole leggi regionali, che possono fungere solo da supporto interpretativo, con apprezzamento, in concreto, della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attività agrituristiche ed attività agricole e della prevalenza di queste ultime rispetto alle prime, alla luce dell’art. 2135, comma 3, c.c., integrato dalle previsioni della L. 96/2006 sulla disciplina dell’agriturismo; iii) che il tribunale aveva correttamente escluso la prevalenza dell’attività agricola rispetto a quella agrituristica , in base all’indagine svolta dal CTU, tenuto conto che in tutto l’arco temporale considerato, fatta eccezione solo per il 2013 e il 2019, i ricavi annui derivanti dall’attività agricola erano inferiori ai ricavi di altra origine, anche negli anni di ripresa del settore vitivinicolo rispetto gli impatti avversi del clima, e che in particolare ne ll’ultimo triennio 2017-2019 i ricavi prodotti dall’attività agricola avevano rappresentato il solo 40% del totale.
-Avverso detta sentenza gli stessi reclamanti propongono ricorso per cassazione in quattro mezzi, illustrato da memoria, cui RAGIONE_SOCIALE, in persona di RAGIONE_SOCIALE, in cui si è fusa la mandataria RAGIONE_SOCIALE, resiste con controricorso, parimenti illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Il primo motivo denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 11 Preleggi, 1 l.fall., 4 comma 2 L. 96/2006, 6 comma 3 L.R. Toscana 30/2003 e 68 comma 11 d.l. 73/2021, conv. in L. 106/2021 -il quale ha modificato l’ art. 4, comma 2, L. 96/06 sopprimendo le seguenti parole: « con particolare riferimento al tempo di lavoro necessario all’esercizio delle stesse attività » -in quanto tale abrogazione non potrebbe scalfire gli status e i conseguenti diritti acquisiti dall’imprenditore nel vigore del testo previgente della legge regionale, come quello di scegliere il ‘monte ore’ quale criterio utile per valutare la prevalenza dell’ attività agricola su quella agrituristica ai fini della propria qualifica di imprenditore agricolo, e comunque la valutazione sulla sussistenza dei presupposti di fallibilità di cui all’art. 1 l.fall. andrebbe compiuta alla data di introduzione del relativo procedimento.
2.2. -Il secondo mezzo lamenta l’ assenza di motivazione, in relazione agli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione delle stesse norme di cui al primo motivo, per l’ erronea interpretazione della disciplina di cui al d.l. 73/2021, la cui relazione illustrativa chiariva che le modifiche legislative contenute ne ll’art. 68, commi 10 -12, erano destinate a fornire «sostegno dell’occupazione nel settore agrituristico » (considerando tra i lavoratori agricoli -ai fini della valutazione del rapporto di connessione tra attività agricola e attività agrituristica -anche il personale dipendente dell’attivit à agrituristica) e dunque ad ampliare il campo delle ipotesi di connessione e prevalenza fra attività agricola e agrituristica, non certo a restringerlo.
2.3. -Il terzo motivo deduce analoga assenza di motivazione e violazione delle medesime disposizioni normative, avuto riguardo al mancato rispetto della riserva costituzionale e legislativa in favore delle Regioni, in quanto la natura ‘integrativa’ o ‘interpretativa’ riconosciuta alla normativa regionale non ne legittimerebbe la totale disapplicazione, o un’applicazione diversa da quella imposta dal chiarissimo dato testuale del combinato disposto dagli artt. 4, comma 2, L. 96/2006 (che, pur non contenendo più il richiamo al ‘tempo di lavorazione’, mantiene
intatto il rimando alla potestà legislativa regionale) e 6, comma 3, L.R. Toscana 30/2003, mentre legittimare il giudice investito di una istanza di fallimento ad assumere, quale criterio discretivo, il (solo) dato reddituale, significherebbe non solo violare la disciplina normativa regolatrice della materia, ma addirittura stravolgerne la ratio di assicurare, mediante l’esercizio dell’attivit à agrituristica, un doveroso supporto reddituale anche alle imprese con produzioni agricole dal basso valore aggiunto, nelle quali le ore lavorative siano però , come nel caso di specie, preponderanti.
2.4. -Il quarto mezzo lamenta ancora assenza di motivazione nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2135 comma 3, c.c., 4 comma 2 L. 96/2006 e 1 l.fall., per la mancata considerazione comparativa dei ricavi agrituristici in termini di evidente sproporzione rispetto a quelli agricoli, ai fini della valutazione del rapporto di connessione e prevalenza fra le due attività , alla luce dell’orientamento giurisprudenziale che richiede che i primi siano ‘ esorbitanti ‘ rispetto ai secondi (Cass. 4790/2023) o di rilievo ‘ sproporzionato ‘ (Cass. 16614/2016).
-Il primo motivo è infondato mentre i restanti tre sono inammissibili.
-L’ inconsistenza del vizio di violazione di legge denunciato con il primo mezzo discende dal fatto che lo scrutinio dei presupposti della dichiarazione di fallimento va pacificamente condotto al momento della decisione, e non a quello di proposizione del ricorso; né vi è luogo a pretesi status o diritti acquisiti in forza di una legge regionale poi superata, la quale indica solo criteri orientativi nell’ambito della legislazione concorrente , ai sensi dell’ art. 117 Cost., essendo riservata alla legislazione nazionale la determinazione dei principi fondamentali in materia.
4.1. -Del resto, che non vi sia alcun ancoraggio ai presupposti in fatto e diritto cristallizzati al momento dell’iniziativa assunta dal creditore, o dal pubblico ministero, per la dichiarazione di fallimento, si desume agevolmente dalla giurisprudenza di questa Corte: a) sull’ effetto devolutivo che caratterizza il reclamo ex art. 18 l.fall. avverso la sentenza di fallimento, nei procedimenti in cui trovi applicazione la riforma di cui al d.lgs. 12 settembre
2007, n. 169 (Cass. 31531/2021, 11216/2021, 4893/2019, 27301/RAGIONE_SOCIALE, 1169/2017, 26771/2016, 13505/2014) ove, a differenza d el giudizio d’appello , è sempre ammessa l’allegazione di fatti nuovi idonei a sovvertire l’esito del procedimento davanti al tribunale fallimentare, con conseguente inapplicabilità della disciplina di cui a ll’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c. (Cass. 5520/2017); b) nonché sul carattere ancor più pienamente devolutivo del reclamo avverso il decreto di rigetto di cui all’art. 22 legge fall., che attribuisce il riesame completo della “res iudicanda”, senza che l’ambito della sua cognizione sia limitato alla valutazione della fondatezza delle ragioni fatte valere dalla parte reclamante (Cass. 12706/2014, 31531/2021); c) infine sulla cognizione riservata al tribunale cui la corte di appello abbia rimesso gli atti per la dichiarazione di fallimento, ai sensi dell’art. 22, comma 4, l. fall., circoscritta ai fatti successivi, segnalati anche dal debitore ed incidenti sui presupposti della sua fallibilità, in mancanza dei quali il tribunale «è vincolato al “dictum” della corte d’appello , inderogabilmente deputata a conoscere tutti gli elementi, preesistenti o sopravvenuti, rilevanti per la verifica dei menzionati presupposti “medio tempore” intervenuti anteriormente alla sua pronuncia» (Cass. 15862/2013; cfr. Cass. 4417/2011, 8092/2016).
4.2. -In questo contesto, nessuna rilevanza riveste l’invocata disposiz ione di cui a ll’art. 150, d.lgs. 5/2006, in base al quale « i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del presente decreto, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore », trattandosi di specifica disposizione transitoria diretta a regolare la legge fallimentare applicabile avuto riguardo alla riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, e di certo non utilizzabile per affermare, in modo inopinato e dirompente, che i presupposti di fallibilità sarebbero cristallizzati alla data del ricorso per la dichiarazione di fallimento.
-L’inammissibilità dei restanti tre motivi deriva, in linea generale, dal fatto che le corrispondenti censure, per come formulate, al di là del l’apparente deduzione de i vizi di violazione di
legge e omessa motivazione, mirano, surrettiziamente e inammissibilmente, ad una rivalutazione dei fatti storici e delle emergenze istruttorie, che però compete al giudice di merito e non può trovare ingresso in sede di legittimità (Cass. Sez. U, 34476/2019, 21973/2021).
5.1. -Inoltre, in tutti i motivi risulta manifestamente infondato il rilievo di «assenza di motivazione in relazione agli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.» a fronte di una motivazione ampia, puntuale e palesemente superiore alla soglia del ‘minimo costituzionale’ sindacabile in sede di legittimità , non rinvenendosi nella decisione impugnata alcuno dei possibili vizi riconducibili a ‘ mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, con assoluta irrilevanza, semmai, del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, o di sua ‘contraddittorietà’ (Cass. Sez.U, 8053/2014; Cass. 23940/2017, 22598/RAGIONE_SOCIALE, 20042/2020, 26199/2021; 33961/2022, 4784/2023).
Del resto, costituisce principio ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. non richiede che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo invece necessario e sufficiente che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento, in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (Cass. 956/2023, 29860/2022; 3126/2021, 25509/2014, 5586/2011, 17145/2006, 12121/2004, 1374/2002, 13359/1999).
5.2. -Infine, il rilievo di inammissibilità di tutti i denunciati vizi di violazione di legge segue anche alla considerazione che: i) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo e applicativo della norma di legge (Cass. 4784/2023); ii) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio
(per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 195/2016, 26110/2015, 8315/2013, 16698/2010); iii) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13238/2017, 26110/2015).
6. -Scendendo più in dettaglio all’esame del secondo motivo, va aggiunto che correttamente la motivazione della corte d’appello non è incentrata solo sul criterio del ‘monte ore’ -su cui invece il ricorrente pretende erroneamente di fondare in via esclusiva la valutazione del rapporto di connessione tra attività agrituristica e agricola, in forza di una scelta autonoma e discrezionale dell’imprenditore , originariamente legittimata dalla legge regionale -ma ha spinto il relativo scrutinio oltre quel criterio, esplorando i ricavi delle due attività e bilanciando l’analisi in concreto del tipo di produzione, come business che assicura redditività all’attività economica, per pervenire, anche sulla base dell’espletata CTU, al giudizio di ritenuta prevalenza dell’attività agrituristica.
6.1. -In punto di diritto, va data continuità all’orientamento di questa Corte in base al quale: i) l’indagine sulla natura, commerciale o agricola, di un’impresa agrituristica, ai fini della sua assoggettabilità a fallimento, ai sensi dell’art. 1 l.fall., va condotta sulla base di criteri uniformi valevoli per l’intero territorio nazionale, e non già sulla base di criteri valutativi evincibili dalle singole leggi regionali, che possono fungere solo da supporto interpretativo; ii) l’apprezzamento, in concreto, della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attività agrituristiche e attività agricole, nonché della prevalenza di queste ultime rispetto alle prime, va condotto in sede giudiziale, alla luce dell’art. 2135, terzo comma, cod. civ., integrato dalle previsioni della legge 20 febbraio 2006, n. 96 sulla disciplina dell’agriturismo, tenuto conto che quest’ultima
costituisce un’attività para-alberghiera, che non si sostanzia nella mera somministrazione di pasti e bevande, onde la verifica della sua connessione con l’attività agricola non può esaurirsi nell’accertamento dell’utilizzo prevalente di materie prime ottenute dalla coltivazione del fondo e va, piuttosto, compiuta avuto riguardo all’uso, nel suo esercizio, di dotazioni (quali i locali adibiti alla ricezione degli ospiti) e di ulteriori risorse (sia tecniche che umane) dell’azienda, che sono normalmente impiegate nell’attività agricola (Cass. 8690/2013; conf. Cass. 490/2015; cfr. Cass. 4790/2023).
6.2. -Alla luce del riferito orientamento di legittimità, appare evidente che la discrezionalità, conferita dalla legge regionale al l’imprenditore , di selezionare i criteri più graditi ovvero convenienti per stabilire il rapporto di prevalenza dell’attività agricola rispetto a quella agrituristica connessa, avuto riguardo al maggior numero di ore destinato alla produzione agricola, o al valore della produzione lorda vendibile derivante dal settore agricolo eccedente il valore dei redditi derivanti dall’attività agrituristica, o infine al maggior costo degli investimenti destinati al settore strettamente agricolo -scelta da cui derivano sgravi e agevolazioni fiscali per la valorizzazione dell’attività agricola -non può certo precludere, e nemmeno solo orientare, il vaglio del giudice di merito investito di una istanza di fallimento, in cui la verifica della effettiva natura dell’attività esercitata è funzionale alla allegata condizione di insolvenza, rispondendo perciò a finalità diverse da quelle, di settore, perseguite dalla legislazione regionale.
-Le considerazioni appena svolte valgono anche per il terzo e il quarto motivo, che parimenti interferiscono inammissibilmente con la valutazione del materiale probatorio effettuata dai giudici di merito, non sindacabile come tale in questa sede, in difetto di censure motivazionali improntate ai nuovi canoni dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c.
-Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti di cui all’ art. 13, comma 1quater, d.P.R. 115/02 (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 05/12/2023.