Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6954 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 6954  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8546/2020 R.G. proposto da : COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente
–
contro
COGNOME  NOME  e  RAGIONE_SOCIALE  di  COGNOME NOME
– intimati
–
avverso la  sentenza  della  Corte  d’appello  di  Roma n.  458/2020 depositata il 22/1/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/2/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Frosinone, con sentenza n.  54/2018 pubblicata in data 16 ottobre 2018, dichiarava il fallimento di NOME COGNOME, titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE, su istanza del creditore NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Roma, a seguito del reclamo presentato dal COGNOME, riteneva che l’assoggettamento alla misura della confisca
di prevenzione non impedisse di considerare fallibile l’imprenditore individuale.
Aggiungeva  che  la  doglianza  difettava  di  specificità,  dato  che  il reclamante  non  aveva  sottoposto  a  critica  l’articolato  percorso argomentativo compiuto dal tribunale a tal proposito.
Osservava,  inoltre,  che  il  provvedimento  di  confisca  era  stato revocato con decreto dell’11 giugno 2108 e la misura non era più in essere all’epoca della pubblicazione della sentenza, cosicché il COGNOME non  aveva  interesse  a  dolersi  del  fatto  che  la  dichiarazione  di fallimento era stata pronunciata nonostante il suo assoggettamento a tale misura.
Rilevava  che  il  decreto  ingiuntivo  ottenuto  dal  COGNOME,  ritualmente notificato, era oramai divenuto esecutivo, con efficacia di giudicato formale e sostanziale.
Non condivideva le ragioni di censura riguardanti l’inesistenza del credito e la carenza di legittimazione del creditore istante, dato che il decreto ingiuntivo era stato ottenuto sulla base di cambiali girate dal COGNOME ed aventi valore di promessa unilaterale di pagamento.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza,  pubblicata  in  data  22  gennaio  2020,  prospettando  sei motivi di doglianza.
Gli intimati fallimento di NOME COGNOME e NOME COGNOME non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 18 l. fall. e 342 cod. proc. civ.: la Corte d’appello, nel rilevare il difetto di specificità del motivo di reclamo che deduceva la carenza di legittimazione passiva del COGNOME in ragione del suo assoggettamento alla misura della confisca di prevenzione, non ha tenuto conto -in tesi -dell’effetto pienamente devolutivo dell’impugnazione presentata in ordine a tut te le questioni
prospettate,  facendo  applicazione  di  un  principio  proprio  della disciplina dell’appello.
5. Il motivo è inammissibile.
La Corte distrettuale, infatti, non si è limitata a constatare il difetto di specificità della doglianza, ma ha pure rilevato l’inammissibilità del motivo di reclamo per carenza di interesse, posto che alla data di fallimento la misura di prevenzione non era più in essere.
Nessuna  contestazione  è  stata  sollevata  riguardo  a  quest’ultimo argomento.
Occorre, allora, ricordare che in presenza di una decisione sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (v. Cass. 9752/2017, Cass., Sez. U., 7931/2013).
La doglianza, peraltro, è priva di decisività.
Invero,  la  Corte  di  merito,  dopo  aver  sottolineato  che  la  misura preventiva aveva avuto per oggetto il ‘patrimonio’, di cui dunque il COGNOME era rimasto titolare, ha chiaramente detto che la sua impresa continuava  ad  essere  sussistente  e,  come  tale, responsabile  dei debiti  impagati,  risultando  così  pienamente  legittimata  a  subire l’iniziativa volta a vederne dichiarata l’insolvenza.
6.1 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 647 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ. in ragione della mancanza in atti del decreto di esecutorietà del decreto ingiuntivo ottenuto dal creditore istante, a cui,  pertanto,  non  poteva  essere  attribuita  efficacia  di  giudicato sostanziale.
6.2 Il terzo motivo di ricorso prospetta, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell’art.
52  d.  lgs.  159/2011,  in  quanto  la  Corte  d’appello  ha  ritenuto irrilevante  il  fatto  che  il  decreto  ingiuntivo  era  stato  emesso  e notificato  allorquando  il  soggetto  ingiunto  era  destinatario  di  una confisca  di  prevenzione,  quando  le  ragioni  di  credito  vantate  nei confronti  di  quest’ultimo  dovevano  essere  accertate  davanti  al giudice delegato nominato dal tribunale penale che aveva disposto la misura e non erano proponibili in sede monitoria.
Al contrario, in pendenza della misura della confisca di prevenzione il  decreto  ingiuntivo  era inutiliter datum ed  inidoneo  ad  acquisire efficacia di giudicato.
6.3 Il quarto motivo di ricorso si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione degli artt. 20, 51 e 94 r.d. 1669/1933 e dell’art. 1988 cod. civ.: la Corte territoriale non ha esaminato i titoli cambiari, i quali, in realtà recavano soltanto girate in bianco ed alcune girate illeggibili, cosicché non era dato comprendere su quali circostanze si fondasse il riconoscimento nei confronti del COGNOME della titolarità dell’azione cambiaria, peraltro prescritta.
Le girate apposte non potevano, inoltre, valere quali promesse di pagamento ex art. 1988 cod. civ. se non verso l’immediato avente causa, che non era identificabile nel COGNOME.
Il mezzo assume, inoltre, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 e 5, cod. proc. civ., che la Corte d’appello abbia totalmente omesso di esporre  i  motivi  in  fatto  e  in  diritto  della  decisione  assunta  e  di specificare le concrete ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla statuizione.
I motivi, da esaminare congiuntamente, risultano alcuni (il secondo e il quarto) inammissibili, anche ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1, cod. proc. civ., l’altro (il terzo) infondato.
7.1 La Corte di merito ha ritenuto che il decreto ingiuntivo ottenuto dal COGNOME fosse divenuto esecutivo ed avesse acquistato efficacia di giudicato formale e sostanziale.
Ha  sostenuto,  inoltre,  che  la  girata  delle  cambiali  valeva  quale promessa unilaterale in favore del COGNOME.
Si tratta, all’evidenza (come riconosciuto dallo stesso ricorrente), di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali  logicamente  e  giuridicamente  sufficiente  a  sorreggere  la decisione assunta.
7.2 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte l’art. 6 l. fall., laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, né l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (si veda in questo senso, per tutte, Cass., Sez. U., 1521/2013).
Ciò  che  veniva  in  rilievo,  dunque,  era  la  delibazione  del  credito dell’istante,  che  la  Corte  di  merito  ha  fatto  sulla  base  del  titolo cartolare, oltre che del veicolo processuale, senza che vi fosse alcuna necessità che il decreto ingiuntivo da questi ottenuto fosse divenuto anche esecutivo.
7.3 I giudici distrettuali, nel compiere l’accertamento incidentale che loro competeva, hanno constatato che il decreto ingiuntivo ottenuto dal  creditore  istante  era  ‘ divenuto  esecutivo,  con  efficacia  di giudicato formale e sostanziale ‘.
Questa constatazione (circa l’avvenuta declaratoria di esecutorietà ai sensi dell’art. 647 cod. proc. civ.) non può essere rivista in questa sede, perché non costituisce, in sé, un errore procedurale (errore che legittima questa Corte, quale giudice del fatto processuale, all’esame degli atti), ma è il frutto di un apprezzamento del materiale istruttorio da parte della Corte di merito che la Corte di legittimità non ha il potere di riesaminare (cfr., ex plurimis , Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011).
Giova, poi, ricordare che il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio -trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. (v. Cass., Sez. U., 5792/2024), di modo che l ‘eventuale mancanza del decreto di esecutorietà ex art. 647 cod. proc. civ. doveva essere lamentata secondo tali modalità piuttosto che in questa sede di legittimità.
7.4 L’art.  52  d.  lgs.  159/2011  prevede,  al  suo  comma  1,  che  ‘ l
Per di più, non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità fra il procedimento di verifica svolto nel procedimento di prevenzione e l’istruttoria fallimentare, né, tanto meno, l’accertamento del passivo delle due procedure si sovrappone, avendo ciascuna delle due proc edure una finalità diversa (l’una riunisce i debiti del prevenuto che non possono essere soddisfatti sugli altri beni del proposto non soggetti al vincolo , l’altra organizza una procedura concorsuale fondata sull’insolvenza); di conseguenza, si deve negare che le ragioni di credito di chi aveva sollecitato la declaratoria di fallimento dovessero essere vantate e accertate in via prioritaria avanti al giudice delegato nominato dal tribunale penale che aveva disposto la misura di prevenzione (pera ltro venuta meno all’epoca della dichiarazione di fallimento).
7.5 Dal rigetto dei motivi di contestazione della prima ratio decidendi discende l’inammissibilità delle censure rivolte alla seconda.
Infatti, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 11493/2018, Cass. 2108/2012).
8.1 Il quinto motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata
per omesso esame del motivo di reclamo concernente la contestazione dello stato di  insolvenza,  ai  sensi  dell’art.  112  cod. proc. civ..
8.2 Il sesto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l. fall. in relazione all’accertamento della sussistenza dell’insolvenza per le imprese in stato di liqui dazione, quale quelle assoggettate alla misura della confisca di prevenzione, in quanto tale condizione imponeva -in tesi -di verificare se gli elementi attivi del patrimonio consentissero di assicurare l’eguale e integrale soddisfacimento dei creditori.
I motivi, da esaminare congiuntamente, risultano ambedue inammissibili.
9.1 Il quinto motivo, nel dolersi del mancato esame del motivo di reclamo  recante  la  contestazione  della  sussistenza  dello  stato  di insolvenza, si preoccupa solo di indicare la collocazione della censura all’interno dell’atto di impugnazione, senza spiegare in alcun modo quale fosse il suo contenuto.
Una  simile  asfittica  formulazione  del  motivo  ne  compromette l’ammissibilità.
Invero, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo ritenuto che sia necessario, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (si veda in questi termini, per tutte, Cass., Sez. U., 15781/2005).
Questo principio è stato ultimamente affinato attraverso la precisazione che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo il quale, ove si denunci la mancata pronuncia su motivi d’appello, è necessario che questi ultimi siano riportati nell’atto d’impugnazione, deve essere interpretato in maniera elastica, in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte – oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. 149/2022 – dovendosi perciò ritenere che la trascrizione del motivo non sia indispensabile, a condizione, però, che il suo contenuto sia sufficientemente determinato in modo da renderlo pienamente comprensibile e ne sia fornita una specifica indicazione, tale da consentirne l’individuazione nell’ambito dell’atto di appello (Cass. 11325/2023).
La  mancanza  di  alcun  cenno  al  contenuto  del  motivo  (e  più precisamente alle ragioni per cui si contestava il ricorrere dello stato di insolvenza) non assolve l’obbligo di ‘ specifica indicazione degli atti processuali ‘  e  del  loro  contenuto  a  cui  il  ricorrente  era  tenuto,  ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione temporis .
9.2 L’ultimo motivo è inammissibile, perché contesta un profilo del tutto estraneo al contenuto della decisione impugnata, che non si è occupata in alcun modo dell’insolvenza.
9.3  In  ogni  caso,  quand’anche  la  questione  dell’insolvenza  fosse stata  posta  nei  termini  prospettati,  il  COGNOME  era  un  imprenditore individuale a cui non potevano essere applicati, per mancanza dei necessari presupposti, i principi elaborati da questa Corte in ordine all’insolvenza delle società in liquidazione.
In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso deve essere respinto.
La  mancata  costituzione  in  questa  sede  della  procedura  intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater ,  del  d.P.R.  30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24  dicembre  2012,  n.  228,  si  dà  atto  della  sussistenza  dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 12 febbraio 2025.