Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14414 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14414 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14841/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME NOME, quale legale rappr.te di RAGIONE_SOCIALE, nonché quale socio e ultimo legale rappr.te della RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE con domicilio digitale eletto presso il suo indirizzo PEC: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) EMAIL, e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) EMAIL, con domicilio digitale eletto presso i rispettivi indirizzi PEC
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE PRESSO LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI CATANIA, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE PRESSO IL TRIBUNALE DI CATANIA
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 855/2022 depositata il 29/04/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Espone il ricorrente che la società RAGIONE_SOCIALE, impresa editrice del quotidiano ‘La RAGIONE_SOCIALE‘ , ha avuto nel tempo necessità di sostegno finanziario da parte del socio di riferimento, il AVV_NOTAIO NOME COGNOME, il cui patrimonio è stato però colpito, dal 2018 al 2020, dalla misura patrimoniale ablativa del sequestro (poi annullata su provvedimento della Corte di Appello di Catania del 24.3.2020 e poi della Corte di Cassazione del 21.1.2021), sicché, con atto del 24.11.2020, questi, per ‘mettere in sicurezza’ la società editoriale, ha realizzato un ‘operazione straordinaria di fusione, all’esito della quale la predetta società (c.f. 00431560879) è stata incorporata nella RAGIONE_SOCIALE (c.f. 03133580872), che ha assunto la denominazione di RAGIONE_SOCIALE.
1.1. -A seguito di richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania, la suddetta società incorporata RAGIONE_SOCIALE è stata dichiarata fallita dal tribunale di Catania con sentenza 11.12.2021, ed il reclamo ex art. 18 l.fall., proposto da NOME COGNOME, nella qualità sia di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE che di cessato amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, è stato rigettato dalla Corte d’appello di Catania con la sentenza indicata in epigrafe.
1.2. -In particolare, i giudici del reclamo hanno affermato: i) l’infondatezza dell’eccezione di nullità dell’istanza di fall imento per omessa individuazione nel ricorso introduttivo del soggetto destinatario; ii) l’infondatezza dell’eccezione di nullità del decreto di
convocazione per violazione del diritto di difesa; iii) la natura estintiva della vicenda di incorporazione per fusione, con conseguente applicabilità del l’art. 10, comma 1, l.f all.; iv) il legittimo utilizzo, ai fini della prova dello stato di insolvenza, anche della documentazione postuma prodotta dalla curatela, riferita a fatti anteriori al fallimento; v) l’ esistenza di debiti tributari oltre la soglia di cui all’art. 15, comma 9, l.f all.
-Avverso detta decisione NOME COGNOME, nella duplice qualità di cui sopra, ha proposto ricorso per cassazione in tre motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno prodotto memoria. Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
2.1. -Il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 10 l.fall., 2495 e 2504-bis c.c., per avere la corte d’ appello affermato l ‘assoggettabilità a fallimento della società incorporata entro l’anno dalla realizzazione della fusione, in ragione del r itenuto effetto estintivo dell’operazione di fusione , senza dare rilievo alla assoggettabilità a fallimento della società incorporante.
2.2. -Il secondo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 5 l.fall. e 2504- bis c.c., per avere la corte territoriale ritenuto irrilevante ogni accertamento circa la solvibilità dell’incorporante.
2.3. -Il terzo censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. p er erroneità della condanna di parte reclamante alla rifusione delle spese del grado, in quanto pronunciata in erronea applicazione del criterio della soccombenza.
-I primi due motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono da rigettare, con assorbimento del terzo.
3.1. -In sintesi, e per come ricordato in memoria, il ricorrente sostiene che l’orientamento inaugurato da Cass. Sez. U, 21970/2021, che ha ‘ rivitalizzato ‘ la lettura della fusione come vicenda non già evolutivo-modificativa, bensì estintivo-successoria, mancherebbe «di confrontarsi col dato caratteristico e proprio della fusione, che è quello di comportare l’assegnazione di masse
patrimoniali -ovvero quote di patrimonio funzionalizzato, ordinate secondo un criterio di appostazione e valutazione contabile che si perpetua, salvo deroghe espresse, nell’ente risultante dall’operazione e non di semplici beni o insiemi di beni».
Esso sarebbe comunque proteso a coniugare « l’affermazione del principio della continuità nei rapporti giuridici con il disconoscimento dell’ipotesi di una contestuale sopravvivenza, sia pure con assetto organizzativo rinnovato, dell’originario titolare dei detti rapporti » (tanto da negarsi l’effetto interruttivo del processo), sì da finire per declinare «una tesi intermedia, che inquadra la fusione come vicenda modificativa quoad effectum », capace di dar vita « ad una vicenda modificativa dell’atto costitutivo per tutte le società che vi partecipano» e di determinare «un fenomeno di concentrazione giuridica ed economica», salvo solo negare «il fenomeno che in motivazione viene descritto come sopravvivenza ‘ad aeternum’ della società incorporata o fusa ‘nonostante la irreversibile riorganizzazione materiale e giuridica operata’ ».
Non nega, il ricorrente, che le citate Sezioni Unite mostrino «incidentalmente di ritenere vigente, nel nostro sistema, un principio di fallibilità dell’incorporata », ma assume come da verificare il dubbio «se il presunto effetto estintivo a carico della incorporata e la conseguente sua cancellazione dal registro delle imprese corrispondano in tutto all’ipotesi ordinaria di cancellazione prevista dall’art. 2495 c.c., oppure integrino un fenomeno peculiare, equiparabile ad una cancellazione puramente ‘tecnica’, come tale inidonea ad innescare l’applicazione dell’art. 10 l.fall. », il quale prenderebbe in considerazione un fenomeno -la cessazione dell’attività di impresa -non ravvisabile nella fusione, la cui peculiarità, secondo le stesse Sezioni Unite, «sta nella prosecuzione dei soci nell’attività d’impresa mediante una diversa struttura organizzativa», sicché, «al contrario che nello scioglimento e liquidazione della società», la fusione avrebbe «un significato opposto: non l’uscita dal mercato, ma la permanenza dei soci sul medesimo, sia pure in forme diverse».
Di qui la conclusione che «il presupposto applicativo uniforme degli artt. 10 e 11 l.fall. sia rappresentato dall’esigenza di scongiurare
l’improvviso venir meno della tutela concorsuale del ceto creditorio, che potrebbe verificarsi -in assenza delle richiamate norme speciali -per effetto della intervenuta cessazione dell’attività di impresa, oppure del venir meno, quale centro di imputazione di tale attività, di un soggetto suscettibile di fallimento»; esigenza che invece «non si pone in caso di fusione tra società lucrative fallibili, atteso che l’attività prosegue ed il soggetto risultante dalla fusione è parimenti soggetto alle regole del concorso», similmente a quanto accade ne ll’ipotesi « in cui l’attività di impresa del soggetto imprenditore individuale defunto sia proseguita senza soluzione di continuità dall’erede ».
Aggiunge il ricorrente che il dato, riaffermato dalle Sezioni Unite, « della continuità dell’attività di impresa in ipotesi di fusione rende manifesta l’inapplicabilità di un criterio di valutazione dell’insolvenza che cristallizzi la situazione al momento di perfezionamento della fusione, senza tener conto delle modificazioni successivamente intervenute per effetto della continuazione dell’attività »; allo stesso modo, «in ragione dell ‘intervenuta confusione tra i patrimoni delle società partecipanti alla fusione, nella valutazione della solvibilità attuale della società dovrebbe tenersi conto anche dell’incremento patrimoniale conseguito per effetto della fusione (che nel caso che ha dato origine al presente giudizio era stato particolarmente rilevante), in quanto anch’esso attratto nella garanzia patrimoniale c.d. generica per i debiti già in capo all’incorporata ».
L ‘accoglimento della tesi che predica l’autonoma fallibilità post fusione della società incorporata in altra compagine lucrativa fallibile si rivelerebbe allora: «1) distonico rispetto alla configurazione normativa dell’istituto della fusione come strumento utile alla soluzione anche delle crisi di impresa (arg. ex artt. 2501 c.c. e 160 l.fall., nonché, oggi, 166 CCII); 2) contrastante rispetto alla ratio degli artt. 10 e 11 l.fall., che è quella di non privare i creditori della tutela concorsuale e non certo quella di moltiplicare senza costrutto i soggetti fallibili; 3) disfunzionale rispetto all’esigenza di un reale accertamento dell’insolvenza (attuale) ».
3.2. -Il Fallimento controricorrente sottolinea l’inconferenza dei riferimenti all’art. 2495 c.c. ( norma non evocata dalla sentenza impugnata) e all’art. 2504 -bis c.c. (non essendo in discussione che la società scaturita dalla fusione abbia ‘assunto’ tutte le posizioni giuridiche, attive come passive, già facenti parte del patrimonio dell’incorporata) e valorizza come vero parametro di giudizio l’ art. 10 l.fall. , cui correla l’art. 11 l.fall., norma da applicare in via estensiva o analogica una volta riconosciuto che la fusione per incorporazione comporta tanto l’estinzione della società incorporata, quanto la ‘successione’ dell’incorporante in universum ius (Cass. Sez. U, 21970/2021), «posto che gli effetti normativi implicati non possono più dirsi peculiari e caratteristici dei soggetti, come le persone fisiche, che godono di una vita ‘biologica’ ». Pertanto, gli attivi, materiali come immateriali (ivi compresi i rapporti contrattuali) confluiti nel patrimonio dell’incorporante , «o sono da ritenersi già ‘separati’ da quest’ultimo per effetto dello stesso fallimento dell’incorporata, in applicazione analogica dell’art. 11 l.f. (…) oppure potrebbero divenirlo per effetto dell’esercizio delle azioni revocatorie».
Taccia poi come «suggestivo, ma inefficace», l’argomento per cui la scissione sarebbe un fenomeno ‘disaggregativo’ del patrimonio, laddove la fusione invece porterebbe alla ‘concentrazione’ dei patrimoni, dal momento che «anche nel caso della trasformazione ‘regressiva’ i creditori troveranno dopo l’operazione più patrimoni aggredibili di quello della società ante trasformazione (i patrimoni dei soci); ma questo non vale certo ad escludere come è noto il fallimento della società; e comunque il fatto che i creditori della società incorporata trovino un ulteriore patrimonio aggredibile, quello dell’incorporante, non è sufficiente ad escludere il pregiudizio, atteso che la composizione di quest’ultimo, e la necessità di sottostare altresì al concorso con un’ulteriore massa creditoria, potrebbe comunque risultare meno favorevole alla tutela dei primi: si pensi non solo e non tanto al caso (…) della incorporante che si trovi in condizioni patrimoniali peggiori dell’incorporata, ma piuttosto, e ad es., ad un attivo della incorporante fortemente immobilizzato, che induca i creditori della stessa ad iniziative aggressive, che possono provocare la
disgregazione e la sottovalutazione dell’intero attivo della società scaturita dalla fusione, con danno anche per i creditori delle società incorporate».
In memoria, poi, il controricorrente sottolinea che l ‘idea di una ‘prosecuzione’ da parte della società incorporante della medesima impresa della società incorporata -oltre ad essere circostanza irrilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 10 l. fall. -«deriva da un’erronea sovrapposizione dei concetti di impresa e di azienda », poiché «nei casi, come quello di specie, di fusione per incorporazione, ciò che viene trasferito alla società incorporante è bensì l’azienda già di pertinenza della società incorporata (così come gli altri beni extra-aziendali che eventualmente rientravano nel patrimonio dell’incorporata), ma di certo non anche l’impresa che, in quanto attività (e non un bene o un rapporto giuridico), non è, come detto, suscettibile di trasferimento alcuno».
Di qui la sequenza logica conclusiva: i) la fusione per incorporazione determina l’estinzione della società incorporata per tutte le ragioni illustrate da Cass. Sez. U, 21970/2021; ii) l’estinzione della società incorporata comporta, a sua volta, la cessazione della sua attività di impresa («vuoi perchè qualunque soggetto di diritto, una volta estinto, evidentemente non può più operare e, quindi, non può neppure svolgere attività di impresa, vuoi, per altro verso, perché non è giuridicamente concepibile la successione di un altro soggetto nella pregressa attività del soggetto estinto, ma solo, come detto, nei rapporti giuridici conseguenti allo svolgimento di detta attività»); iii) «il fatto che la società incorporante, avvalendosi dell’azienda dell’incorporata, nella cui titolarità (di questa sì) è subentrata, non significa anche che l’incorporante sia succeduta e prosegua (… ) la medesima attività di impresa dell’incorporata, ma significa semplicemente che l’incorporante ha avviato una nuova attività di impresa ad essa (materialmente e giuridicamente) riferibile, distinta da quella (oramai cessata) dell’incorporata, sebbene avente il medesimo oggetto»; iv) «c hiarito l’equivoco su cui fonda la tesi avversaria (pretesa unicità dell’impresa delle due società) », la corte territoriale ha correttamente sussunto nella previsione dell’art. 10
l.fall. il caso concreto, in cui ricorrono gli elementi costituitivi della relativa fattispecie (estinzione del soggetto imprenditore e cessazione della relativa impresa).
S otto il profilo dell’insolvenza, il controricorrente evidenzia che «l ‘avvenuta estinzione dell’incorporata, insieme alla circostanza che grandissima parte dei suoi debiti fosse ancora esistente, esigibile e scaduta da tempo, al momento della dichiarazione di fallimento (e sulle soglie della scadenza dell’anno dalla fusione) », non potrebbe avere altro significato che quello della sua persistenza -e rispetto ad essa «il fallimento costituisce la risposta inevitabile del sistema» -mentre solo «quando i debiti non configurano una vera e propria insolvenza, per prevenire il pregiudizio che i creditori potrebbero subire dall’operazione il sistema assegna loro un altro strumento di tutela (mai ‘esclusivo’): l’opposizione, che può essere evitata appunto pagando i crediti residui, oppure garantendone con certezza l’adempimento futuro ».
3.3. -La richiesta di rigetto del ricorso formulata dal PM muove da un riepilogo dell ‘evoluzione giurisprudenziale su natura ed effetti dell ‘istituto dell a fusione societaria per incorporazione, culminante nel l’affermazione di Cass. Sez. U., 21970/2021 -in controtendenza con Cass. Sez. U., 2637/2006 -che la fusione per incorporazione estingue la società incorporata , in un’ottica però capace di coniugare «riorganizzazione e concentrazione, da un lato, ed estinzione e successione, dall’altra », poiché «la fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati».
Di qui il rilievo che, dopo la fusione o la scissione, l’assoggettabilità a fallimento della società, ancorché cancellata dal registro delle imprese, «non dipende tanto dalla sua sopravvivenza alla cancellazione, quanto piuttosto dalla presenza nell’ordinamento di una norma speciale come quella dell’art. 10 l.fall.».
Ed infatti, nonostante le oscillazioni giurisprudenziali sulla natura della fusione, «non è mai stata negata la possibilità di assoggettare al fallimento la società incorporata, sia pure entro un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese», dal momento che «un fenomeno di riorganizzazione societario (…) come pure, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore, non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell’impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali»; sicché il tema della soggezione della società fusa o scissa alle procedure concorsuali attiene non già «al piano dell’organizzazione societaria dell’impresa », quanto, «piuttosto, al piano dell’operatività dell’impresa e dei suoi rapporti coi terzi, contraenti e creditori» (cfr. Cass. 4737/2020, in tema di fallibilità dell’impresa scissa ).
Secondo l ‘ufficio della Procura generale , «la presenza di un soggetto che, a seguito di successione o trasformazione, possa rispondere dei debiti non implica in sé il soddisfacimento dei creditori, i cui diritti non possono perdere, per un’iniziativa del debitore, l’ampia tutela che è assicurata dal concorso fallimentare, nella convinzione che, diversamente ragionando, si giungerebbe ‘al riconoscimento alla società di un efficace strumento -la fusione- per sottrarsi, in caso di dissesto, al fallimento ed alle sue regole’ ».
L’art. 10 l.fall. mira perciò , tra l’altro, «a tutelare il ceto creditorio da eventuali comportamenti potenzialmente in grado di diminuire o affievolire la responsabilità dell’imprenditore ex art. 2740 c.c. e la fusione per incorporazione, pur dando continuità ai rapporti giuridici in essere, arreca un potenziale pregiudizio al ceto creditorio della società fusa, che si trova a concorrere sul patrimonio di quest’ultima unitamente ai creditori dell’incorporante ».
Pertanto, « presupposto dell’applicazione dell’art. 10 l.fall. altro non è – secondo quanto emerge pianamente dalla lettura del suo testo che la cancellazione dell’imprenditore dal registro dell’impresa», dal momento che «la norma non presuppone necessariamente che anche la corrispondente attività di impresa venga a cessare sul piano oggettivo» (conf. Cass. 23174/2020).
E questa interpretazione «soddisfa pienamente la stessa ratio dell’art. 10 l.fall. che , ammettendo la fallibilità dell’impresa cessata, mira: a) ad evitare che la condotta del debitore possa vanificare le aspettative dei creditori provocando, con la dissoluzione dell’impresa, quella della loro garanzia; b) ad evitare un’indefinita incertezza in ordine alla stabilità dei rapporti giuridici coinvolti (Cass. 10302/2020)».
-Il Collegio ritiene di condividere la ricostruzione sistematica offerta dalla Procura generale e dal controricorrente, in linea con gli approdi nomofilattici precedenti e successivi alla nota pronuncia delle Sezioni Unite del 2021 -di cui è superfluo qui ulteriormente richiamare le argomentazioni in base alle quali è stato puntualizzato che, anche nel sistema societario successivo alla riforma del 2003, così come in quello antecedente (cfr. Cass. Sez. U., 19698/2010), la fusione per incorporazione estingue la società incorporata -i quali va lorizzano l’art. 10 l.fall. come norma affatto speciale che, attraverso una fictio iuris (e in perfetta equiparazione al debitore persona fisica), sancisce la fallibilità anche degli imprenditori collettivi, e segnatamente delle società -quand’anche ‘estint e ‘ a seguito di incorporazione , fusione o scissione totalitaria (Cass. 11984/2020) -entro il termine di un anno dalla loro cancellazione dal registro delle imprese, purché l’insolvenza si sia manifestata anteriormente alla medesima o nel termine detto.
4.1. -Anche di recente è stato infatti ribadito che la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, rendendone possibile la declaratoria di fallimento solo entro l’anno previsto dall’art. 10 l.fall., pena l’inesistenza della relativa statuizione (Cass. 6324/2023); ma anche, e più direttamente, che « nell’ipotesi di cancellazione societaria generata dal fenomeno della incorporazione ( … ) opera la disciplina di cui all’art 10 l.fall. », la quale comporta la «fallibilità della società incorporata entro l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese» (Cass. 36526/2023).
4.2. -Né sussiste la prospettata distonia rispetto alla configurazione normativa dell’istituto della fusione come strumento utile alla soluzione anche delle crisi di impresa, poiché è evidente
che ciò vale solo se e nella misura in cui esso sia effettivamente canalizzato nei corrispondenti strumenti concorsuali preventivi, diretti a superare lo stato di crisi o di insolvenza, non potendo invece la fusione, di per sé, scongiurare il rischio della dichiarazione di fallimento o liquidazione giudiziale, essendo quantomeno necessario che l ‘ operazione riesca a coagulare una desistenza dei creditori intenzionati a conseguire quella dichiarazione.
4.3. -Se dunque deve ritenersi un punto fermo l’estinzione della società incorporata, e che detta estinzione comporta la cessazione dell ‘attività d’impresa sua propria -non esclusa dalla prosecuzione dei soli rapporti ad essa connessi in capo alla società incorporante, che in quanto ente distinto svolge una sua propria e distinta attività d’impresa è inevitabile l’applicazione dello speciale regime declinato da ll’art. 10 l.fall. , avuto riguardo ad uno stato di insolvenza manifestatosi anteriormente alla cancellazione dal registro delle imprese, o entro l’anno successivo.
4.4. -Risulta insomma ancora attuale (sebbene relativo a fattispecie di fusione di società di persone anteriore all’entrata in vigore della riforma del diritto societario introdotta con d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) l’insegnamento per cui è «irrilevante che i debiti siano stati, con la fusione, assunti dalla società incorporante; che la fusione non sia stata contrastata dai creditori; che sia mancato il fallimento della società incorporante; che sia mancata qualsiasi richiesta di pagamento rivolta dai creditori dell’incorporata alla società incorporante», poiché «il fallimento della società incorporata è conseguenza della sua insolvenza e del mancato decorso dell’anno dalla sua estinzione per fusione e prescinde dalla solvibilità o meno della società incorporante, che può semmai costituire ragione di eventuale soggezione di quest’ultima a procedura concorsuale, al pari di quanto si verifica per l’imprenditore individuale defunto ai sensi dell’art. 11, primo comma, legge fall., norma, quest’ultima, che postula una sorta di sopravvivenza dell’impresa rispetto al soggetto che ne era titolare, a garanzia della massa dei creditori» (Cass. 2210/2007).
4.5. -Va dunque affermato il seguente principio di diritto:
‘ In tema di fusione per incorporazione, la società incorporata, qualora insolvente, è assoggettabile a fallimento , ai sensi dell’art. 10 l.fall., entro un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese. ‘
-Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese in favore del controricorrente, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti di cui all’ art. 13, comma 1quater, d.P.R. 115/02 (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020).
P.Q.M.
Rigetta i primi due motivi di ricorso, con assorbimento del terzo.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25/03/2024.