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Fallimento dopo concordato: sì senza risoluzione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15851/2024, ha stabilito un principio cruciale in materia di diritto fallimentare. Ha chiarito che è possibile dichiarare il fallimento di un’impresa, precedentemente ammessa a concordato preventivo omologato, che non adempia agli obblighi concordatari. Tale dichiarazione non richiede la preventiva risoluzione del concordato stesso. L’inadempimento del piano concordatario manifesta la persistenza dello stato di insolvenza e legittima una nuova istanza di fallimento. Questa decisione ribalta la precedente interpretazione di una corte d’appello, sottolineando che la risoluzione del concordato e la dichiarazione di fallimento dopo concordato sono due rimedi distinti e non consequenziali.

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Fallimento Dopo Concordato: La Cassazione Chiarisce, Non Serve la Risoluzione

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 15851/2024 affronta una questione fondamentale per le imprese in crisi: cosa succede quando una società, dopo aver ottenuto l’omologazione di un concordato preventivo, non riesce a rispettare gli impegni presi? La Suprema Corte stabilisce un principio di grande rilevanza pratica: è possibile dichiarare il fallimento dopo concordato anche senza che sia stata prima pronunciata la risoluzione dell’accordo. Questa decisione chiarisce il rapporto tra i due istituti, delineando percorsi autonomi per la tutela dei creditori.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla vicenda di una società a responsabilità limitata in liquidazione, già ammessa a un concordato preventivo omologato. Nonostante l’accordo con i creditori, la società non adempiva alle proprie obbligazioni, portando il Tribunale a dichiararne il fallimento.

La società reclamava questa decisione davanti alla Corte d’Appello, la quale accoglieva il ricorso e revocava la sentenza di fallimento. La motivazione della corte territoriale si basava su un’interpretazione restrittiva: in assenza di una previa risoluzione del concordato ai sensi dell’art. 186 della Legge Fallimentare, non sarebbe stato possibile procedere con la dichiarazione di fallimento per inadempimenti legati al piano concordatario.

Contro questa decisione, la curatela fallimentare proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che la corte d’appello avesse errato nell’interpretare le norme e nel considerare la risoluzione del concordato come un presupposto indispensabile per la declaratoria di fallimento.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Fallimento Dopo Concordato

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della curatela, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa per un nuovo esame. La Suprema Corte ha affermato con forza che, anche nel regime normativo post-riforma, il debitore ammesso a concordato preventivo omologato che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari può essere dichiarato fallito su istanza dei creditori o del pubblico ministero.

Questo può avvenire prima e indipendentemente dalla risoluzione del concordato. La decisione si allinea a un orientamento consolidato, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (n. 4696/2022), e disattende completamente le argomentazioni della corte territoriale, definendole “manifestamente errate”.

Le Motivazioni della Sentenza

Il ragionamento della Suprema Corte si fonda su una chiara distinzione tra la funzione della risoluzione del concordato e i presupposti per la dichiarazione di fallimento. Le motivazioni principali possono essere così sintetizzate:

1. L’Insolvenza Persistente: L’omologazione del concordato non cancella lo stato di insolvenza, ma lo ‘assegna’ a una specifica modalità di ristrutturazione del debito. Se questa modalità fallisce perché il debitore non adempie al piano, lo stato di insolvenza originario riemerge pienamente. L’impossibilità di realizzare l’impegno concordatario è la prova stessa del permanere dell’insolvenza.

2. La Risoluzione non è una Condizione di Fallibilità: La risoluzione del concordato, prevista dall’art. 186 della Legge Fallimentare, non è una condizione necessaria per poter dichiarare il fallimento. La sua funzione è un’altra: rimuovere l’obbligatorietà del concordato e restituire ai creditori la libertà di agire per l’intero credito originario, senza le limitazioni (falcidie) imposte dal piano. È un rimedio a tutela del creditore, ma non l’unico né un passaggio obbligato verso il fallimento.

3. Irrilevanza della Distinzione tra ‘Vecchia’ e ‘Nuova’ Insolvenza: La Corte chiarisce che non ha senso distinguere tra l’insolvenza originaria (che ha portato al concordato) e una ‘nuova’ insolvenza. L’insolvenza è un’unica condizione che può persistere anche dopo l’omologa se il piano di risanamento si rivela inattuabile. L’inadempimento delle obbligazioni concordatarie è un fatto sopravvenuto che legittima la presentazione di nuove istanze di fallimento.

4. Tutela dei Creditori e del Pubblico Ministero: Viene confermato il potere di iniziativa dei creditori e del pubblico ministero. Essi possono chiedere il fallimento del debitore insolvente anche durante l’esecuzione di un concordato, qualora emerga l’incapacità di far fronte agli impegni presi.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, rafforza la tutela dei creditori, offrendo loro uno strumento più rapido ed efficace in caso di inadempimento del debitore. Non dovranno più attendere i tempi e l’esito di un’azione di risoluzione del concordato per poter chiedere il fallimento.

In secondo luogo, invia un messaggio chiaro alle imprese: il concordato preventivo non è un porto sicuro definitivo. L’omologazione del piano è solo l’inizio di un percorso di risanamento che deve essere rigorosamente rispettato. La mancata esecuzione del piano concordatario espone l’impresa al rischio immediato di una dichiarazione di fallimento, confermando che la finalità ultima della legge è gestire efficacemente l’insolvenza e non semplicemente posticiparla.

È possibile dichiarare il fallimento di un’impresa in concordato preventivo omologato se non adempie agli accordi?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il debitore ammesso a concordato preventivo omologato, che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari, può essere dichiarato fallito anche prima e indipendentemente dalla risoluzione del concordato stesso.

La risoluzione del concordato è un passo obbligatorio prima di poter dichiarare il fallimento?
No, non è un passo obbligatorio. La risoluzione del concordato e la dichiarazione di fallimento sono due rimedi distinti. La risoluzione serve a liberare i creditori dai vincoli del piano concordatario, mentre il fallimento può essere dichiarato direttamente sulla base della persistente insolvenza dimostrata dall’inadempimento del piano.

L’inadempimento delle obbligazioni del concordato costituisce una ‘nuova insolvenza’?
La Corte chiarisce che non è corretto parlare di ‘nuova insolvenza’. L’inadempimento attesta il permanere dello stato di insolvenza che aveva originariamente portato al concordato. L’incapacità di eseguire il piano concordatario è la manifestazione che lo stato di crisi non è stato superato, legittimando così una nuova istanza di fallimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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