Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15851 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15851 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18324/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonché contro PUBBLICO MINISTERO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 1148/2019 depositata il 16/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La curatela del fallimento di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza con la quale la corte d’ap pello di Firenze, in accoglimento del reclamo della società, già ammessa al concordato preventivo omologato, ha revocato, ai sensi dell’art. 18 legge fall. , la sentenza dichiarativa del tribunale di Arezzo, in quanto non era stata previamente pronuncia la risoluzione del concordato medesimo ai sensi dell’art. 186 legge fall.
Ha dedotto quattro motivi, illustrati da memoria.
La società ha replicato con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione ed erronea applicazione degli artt. 160, 168, 184, 185 e 186 legge fall. in correlazione con gli artt. 6 e 7 stessa legge, avendo la corte d’appello errato nel ritenere che non può essere dichiarato il fallimento dell’impresa in concordato preventivo nel caso in cui non sia stata pronunciata la sua risoluzione.
Col secondo motivo deduce la violazione ed erronea applicazione degli artt. 160, 184 e 186 in correlazione con gli artt. 1, 5, 6 legge fall. avendo la corte d’appello ulteriormente errato nell’affermare che il giudizio di insolvenza non può basarsi sulle obbligazioni concordatarie, in quanto queste costituirebbero ‘ debiti non nuovi’, mentre il fallimento sarebbe possibile solo per debiti nuovi e insolvenza nuova.
Col terzo mezzo la ricorrente aggiunge la censura di violazione degli artt. 184 e 186 in correlazione con l’art. 5 legge fall., avendo la corte d’appello erroneamente affermato, a critica dell’insegnamento di questa Corte di legittimità, che seguendo la ricostruzione diversa si potrebbe dichiarare il fallimento a prescindere dalla valutazione della gravità dell’inadempimento.
Infine, col quarto motivo denunzia la violazione degli artt. 6 e 7 legge fall. a proposito del rilievo della corte territoriale per cui sarebbe da registrare in questi casi l’inammissibilità del potere di iniziativa del pubblico ministero.
II. – Il ricorso è fondato in relazione al primo, secondo e quarto motivo, suscettibili di unitaria trattazione, con conseguente assorbimento del terzo.
III. – Mediante argomentazioni replicate da note posizioni dottrinali, l ‘impugnata sentenza ha ritenuto, in esplicito dissenso con l’orientamento espresso da alcune decisioni di questa Corte, che la riforma di cui al d.lgs. n. 169 del 2017, avendo rideterminato il testo dell’art. 186 legge fall. e abrogato la possibilità di un fallimento automatico e d ‘ ufficio quale conseguenza della dichiarata risoluzione del concordato, si sarebbe mossa nel segno della voluta accentuazione privatistica del concordato stesso come ‘ patto tra debitore e creditore ‘ , oggetto di controllo di mera legalità, senza rilevanza sostitutiva delle decisioni che attengono alla sfera economica del creditore.
Da ciò ha tratto che ‘la risoluzione del concordato è l’unica possibilità di reazione creata dall’ordinamento per l’inadempimento alle obbligazioni assunte con quello specifico concordato omologato’ .
Dopodiché ha argomentato nel senso che il fallimento sarebbe in tal guisa possibile solo per nuovi debiti e nuova insolvenza, in base a quanto (a suo dire) ravvisabile dalla motivazione di Cass. Sez. U n. 9935-15; mentre nella concreta
fattispecie il presupposto della ‘ nuova insolvenza ‘ si sarebbe dovuto considerare inesistente.
Ha infine opinato che il potere di iniziativa del pubblico ministero sarebbe da considerare limitato ai casi previsti dall’art. 7 legge fall., senza possibilità di iniziativa per il caso di inadempimento agli obblighi concordatari.
– Tutte queste affermazioni sono manifestamente errate e in contrasto con quanto questa Corte, a sezioni unite, ha recentemente stabilito, in continuità con orientamenti univoci pregressi.
– Nella disciplina della legge fallimentare risultante dalle modificazioni apportate dai d.lgs. n. 5 del 2006 e n. 169 del 2007, il debitore ammesso al concordato preventivo omologato, che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari, può essere dichiarato fallito, su istanza dei creditori, del pubblico ministero o sua propria, anche prima e indipendentemente dalla risoluzione del concordato ex art. 186 legge fall. (Cass. Sez. U n. 4696-22).
A tale orientamento questa Sezione ha già dato ampia continuità (v. Cass. Sez. 6-1 n. 15035-22, Cass. Sez. 6-1 n. 37813-22, Cass. Sez. 6-1 n. 480-23).
Vanno disattese quindi sia la premessa del ragionamento della corte fiorentina, sia la conclusione che ha sorretto la revoca della dichiarazione di fallimento. E men che meno è centrato, ai fini del fallimento, distinguere tra insolvenza originaria e insolvenza ‘nuova’ , perché l’insolvenza in sé può persistere ex art. 5 legge fall. pur dopo l’omologa del concordato, anche con riguardo alla parte falcidiata ma inadempiuta dei crediti; sicché in questi casi la risoluzione opera non quale condizione di fallibilità, ma solo al (diverso) fine della rimozione dell’obbligatorietà del concordato , e dunque allo scopo di restituire al creditore anteriore la libertà di agire senza limiti concordatari, e per l’intero.
Tale considerazione -oggi validata dalle Sezioni Unite – giustifica il ben diverso assunto che, per quanto con l’omologazione lo stato d’insolvenza v enga ‘ definitivamente ed irrevocabilmente assegnato alla ristrutturazione debitoria concordata ed alle modalità satisfattive in essa contemplate’ , ciò non osta affatto a dichiarare il fallimento tutte le volte in cui le modalità satisfattive risultino infine inattuabili.
In questo caso proprio l’impossibilità di realizzare l’impegno concordatario attesta il permanere dello stato d’insolvenza, e conseguentemente determina che l’inadempimento delle obbligazioni derivate dal patto concordatario sia da considerare come fatto sopravvenuto legittimante la presentazione di nuove istanze di fallimento.
VI. Ecco perché non ha senso discorrere di rimozione dell’ insolvenza a seguito dell’omologazione del concordato , in quanto la rimozione avviene in senso solo sintomatico, vale a dire che essa non rileva più nella sua manifestazione originaria.
Ciò non toglie, però, che sempre essa (l’unica insolvenza) possa venir in rilievo per effetto della mancata esecuzione del concordato; e questa cosa non inibisce, sul piano delle conseguenze processuali, ferma l’improcedibilità delle domande già pendenti, una nuova domanda di fallimento su iniziativa del pubblico ministero o di uno dei titolari dei crediti inadempiuti.
VII. -In conclusione, il ricorso va accolto nel senso che precede; la sentenza è cassata con rinvio alla medesima corte d’appello, in diversa composizione, per nuovo esame; il giudice del rinvio si uniformerà ai principi esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla corte d’appello di Firenze anche per le spese del giudizio di cassazione.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile, addì