Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25626 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25626 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
Oggetto: Distanze piante – Usucapione – Esubero risarcimento rispetto a originaria domanda Extrapetizione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10004/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO; -ricorrente –
contro
NOME COGNOME
-intimata –
Avverso la sentenza n. 668/2021, emessa dalla Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 28/1/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 settembre 2024 dalla AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che:
Con atto di citazione del 19/2/2010, NOME COGNOME convenne in giudizio il Comune di Mignano Monte Lungo davanti al Tribunale di Cassino, onde ottenerne la condanna all’arretramento degli alberi
di proprietà comunale piantati a distanza non regolamentare rispetto alla sua proprietà, al rimborso delle spese necessarie per il ripristino dello stato dei luoghi, al taglio delle radici e al risarcimento dei danni subiti e subendi.
Costituitosi in giudizio, il convenuto si difese, sostenendo che i tigli fossero stati messi a dimora in epoca antecedente l’ultimo conflitto mondiale e prima della realizzazione dell’abitazione e sollevando eccezione riconvenzionale di usucapione della relativa servitù negativa.
Con sentenza n. 727/2016, il Tribunale di Cassino condannò il Comune di Mignano Monte Lungo al pagamento della somma di € 8.066,97, oltre interessi, a titolo di risarcimento dei danni arrecati all’immobile dell’attrice dalle radici degli alberi di tiglio vegetanti a ridosso del muro di recinzione di sua proprietà.
Il giudizio di gravame, incardinato dalla medesima NOME COGNOME con atto di citazione notificato il 14/12/2016 sul presupposto che il Tribunale non si fosse pronunciato sulla domanda di taglio delle radici degli alberi e sul loro arretramento, che l’entità del risarcimento liquidato fosse inferiore a quanto accertato dal c.t.u. nella misura di € 21.884,88 e che, in subordine, non fosse stata liquidata la misura dell’Iva, pari a € 1.774,73, sulla somma chiesta con la citazione di € 8.066,97, si concluse, nella resistenza del Comune appellato, con la sentenza n. 668/2021, pubblicata il 28 gennaio 2021, con la quale la Corte d’Appello di Roma condannò il Comune di Mignano Monte Lungo all’arretramento delle sei piante di tiglio antistanti la proprietà dell’appellante, ubicata in INDIRIZZO, a distanza non inferiore a mt. 3 dal confine ed elevò la sorte del risarcimento di condanna del suddetto Comune fino alla concorrenza di € 21.884,88.
Contro la predetta sentenza, il Comune di Mignano Monte Lungo propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. COGNOME NOME è rimasta invece intimata.
Questa Corte ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, la ricorrente, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione del ricorso ed è stata perciò fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1027 e 1031 cod. civ., con riferimento all’art. 892 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché la violazione degli artt. 167 e 346 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito condannato il Comune all’arretramento delle sei piante di tiglio antistanti la proprietà dell’appellante a distanza non inferiore a 3 mt. dal confine, sul presupposto che non fosse rimasta provata la ‘pretesa’ eccezione di usucapione dello ius plantandi , senza considerare che detta eccezione era stata effettivamente proposta in primo grado e ribadita in appello e che il Comune aveva piantato i tigli almeno 65 anni prima e aveva perciò maturato il diritto a tenere gli alberi a distanza inferiore ai 3 mt.
Col secondo motivo, si lamenta la violazione del giudicato interno e degli artt. 112,324 cod. proc. civ., e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto non provata l’eccezione di servitù, senza considerare che il giudice di primo grado aveva accertato la messa
a dimora nell’anno 1956 delle predette essenze arboree, come affermato dal c.t.u., e che tale accertamento non era stato oggetto di impugnazione o contestazione da parte dell’appellante COGNOME, sì da essere passato in giudicato.
Col terzo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., nonché dell’art. 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito elevato la misura del risarcimento del danno per il rifacimento della recinzione a € 21.884,88, in luogo della somma di € 8.066,97, liquidata dal Tribunale, sostenendo che sul punto non vi fossero state specifiche contestazioni, senza invece considerare che il Tribunale aveva liquidato il risarcimento nella misura indicata con la citazione introduttiva (ossia € 8.066,97), che, a fronte della doglianza dell’appellante in ordine all’entità dal quantum liquidato in primo grado, il Comune aveva eccepito la coerenza con il principio della domanda della misura liquidata e che, pertanto, il motivo di gravame sul punto costituiva domanda nuova.
Col quarto motivo, si lamenta, in estremo subordine, la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito reso una motivazione illogica sotto il profilo del difetto di contenuto minimo della sentenza, posto che la nuova quantificazione della domanda era stata proposta per la prima volta in appello, con conseguente impertinenza dell’affermazione secondo cui non vi sarebbe stata contestazione in primo grado, ossia prima di conoscere il fatto da contestare.
La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ. è del seguente tenore: « INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso pronuncia su taglio e rimozione radici albero tiglio, per le seguenti ragioni: 1° motivo: inammissibile. L’eccezione di usucapione è stata presa in
considerazione dalla Corte d’appello, che l’ha ritenuta non provata. Per il resto, la doglianza si traduce in una critica su accertamenti di fatto. In tema di ricorso per cassazione, per dedurre il travisamento delle prove, occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introAVV_NOTAIOe dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U, n. 20867 del 30 settembre 2020; Sez. 5, n. 16016 del 9 giugno 2021). 2° motivo: inammissibile. In tema di appello, la mancata impugnazione di una o più affermazioni contenute nella sentenza può dare luogo alla formazione del giudicato interno soltanto se le stesse siano configurabili come capi completamente autonomi, risolutivi di questioni controverse che, dotate di propria individualità ed autonomia, integrino una decisione del tutto indipendente, e non anche quando si tratti di mere argomentazioni, oppure della valutazione di presupposti necessari di fatto che, unitamente agli altri, concorrano a formare un capo unico della decisione (Sez. 1, n. 20951 del 30 giugno 2022; Sez. 1, n. 402764 del 15 dicembre 2021). 3° motivo: inammissibile. La sentenza impugnata ha ritenuto ininfluente il fatto che la messa a dimora dei tigli avrebbe preceduto l’edificazione dell’immobile della COGNOME. In ogni caso, il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., riguarda soltanto l’ambito oggettivo della pronuncia, e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Sez. 2, n. 1616 del 26 gennaio 2021). 4° motivo:
inammissibile. Il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022) ».
5. La prima censura è inammissibile.
Fermo restando quanto evidenziato nella proposta specie con riguardo alle osservazioni sul travisamento della prova, occorre evidenziare come i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri non solo della specificità e della completezza, ma anche della riferibilità alla decisione stessa (Cass., Sez. 3, 2/8/2002, n. 11530) e come tali aspetti siano stati del tutto disattesi nella specie.
La censura non attinge, infatti, la ratio decidendi risultante dalla motivazione della sentenza impugnata, nella quale l’eccezione di usucapione è stata chiaramente presa in esame e ritenuta, oltreché indimostrata, anche ininfluente ai fini della decisione di condanna del Comune all’arretramento delle piante, limitandosi la norma di cui all’art. 829 cod. civ. a prevedere la distanza della pianta dal confine e non rilevando la sua messa a dimora prima della edificazione dell’immobile COGNOME.
6. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’ambito di operatività del giudicato, in virtù del principio secondo il quale esso copre il deAVV_NOTAIOo e il deducibile, è correlato all’oggetto del processo e colpisce, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, incidendo,
da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull’esistenza del diritto azionato, ma anche sull’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non deAVV_NOTAIOi, senza estendersi a fatti ad esso successivi e a quelli comportanti un mutamento del petitum e della causa petendi , fermo restando il requisito dell’identità delle persone (Cass., Sez. 1, 9/11/2022, n. 33021).
La preclusione per effetto di giudicato sostanziale può scaturire, invero, solo da una statuizione che abbia attribuito o negato “il bene della vita” preteso e non anche da una pronuncia che non contenga statuizioni al riguardo, pur se essa risolva questioni giuridiche strumentali rispetto all’attribuzione del bene controverso, atteso che non sono suscettibili di passare in giudicato quei capi della pronuncia che, sebbene non impugnati, sono strettamente collegati da rapporto pregiudiziale o conseguenziale (Cass., Sez. 1, 17/1/2022, n. 1252).
Il giudicato interno si forma, infatti, solo su di un capo autonomo di sentenza che, restando del tutto indipendente, risolva una questione avente una propria individualità e autonomia, la quale non può dirsi sussistente allorché consista in una mera argomentazione, ossia nella semplice esposizione di un’astratta tesi giuridica, pur se funzionale a risolvere questioni strumentali rispetto all’attribuzione del bene controverso. In quest’ultimo caso, infatti, l’impugnazione della pronunzia di merito coinvolge necessariamente anche il ragionamento giuridico – esatto o errato che sia -che la sostiene, lasciando libero il giudice dell’impugnazione di confermare la decisione anche sulla base di una diversa motivazione in diritto (Cass., Sez. 1, 30/6/2022, n. 20951; Cass., Sez. 3, 05/09/2005, n. 17767; Cass., Sez. 1, 28/10/2005, n. 21092; Cass., Sez. 2, 03/07/2003, n. 10527; Cass., Sez. 3, 23/01/2002, n. 738; Cass., Sez. 3, 17/05/2001, n. 6757; Cass., Sez. 3, 02/10/1997, n. 9628).
In particolare, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale ” minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno ” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico, con la conseguenza che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione (fra le tante Cass., Sez. 3, 19/10/2022, n. 30728; Cass., Sez. 6-L, 12/8/2018, n. 24783, non massimata).
Alla stregua di tali principi, deve allora escludersi che costituisca giudicato interno l’affermazione, contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui il c.t.u. ‘ sulla base delle ricerche effettuate ha invero potuto riscontrare che l’edificazione del fabbricato è risalente al 1954 e che gli alberi erano stati messi a dimora nel 1956 ‘, atteso che, pur non essendo stata oggetto di specifico gravame, ad essa non era seguita alcuna conseguenza in ordine alla richiesta di condanna all’arretramento delle piante, che, non a caso, è stata riproposta in appello sotto il profilo della omessa pronuncia, consentendo al giudice di merito di rivedere l’intera statuizione onde prendere posizione sul punto.
Consegue da quanto detto l’infondatezza della censura.
Il terzo motivo è invece fondato.
Nel giudizio di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, costituisce violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., il prescindere, travalicandole, dalle specifiche indicazioni quantitative della parte in ordine a ciascuna delle voci di danno elencate in
domanda, salvo che tali indicazioni non siano da ritenere – in base ad apprezzamento di fatto concernente l’interpretazione della domanda e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione – meramente indicative, come sarebbe lecito concludere allorché la parte, pur dopo l’indicazione, chieda comunque che il danno sia liquidato secondo giustizia ed equità (Cass., Sez. 3, 7/5/2021, n. 12159, che ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva ritenuto, all’esito delle risultanze peritali, come mera “emendatio” l’ampliamento dell’originaria domanda attrice, così trascurando di considerare la limitazione posta dalla stessa danneggiata alla propria domanda risarcitoria manifestata attraverso la quantificazione analitica di ogni singola voce di danno e il relativo ammontare espresso in una somma complessiva certa e determinata, tale da escludere un’ulteriore richiesta di liquidazione del danno secondo giustizia ed equità; vedi anche tra le tante Cass., Sez. L, 11/10/2019, n. 25690; Cass., Sez. L, 27/9/2012, n. 16450).
Nella specie, risulta dalla stessa sentenza impugnata che l’attrice aveva chiesto in primo grado il pagamento della somma di euro 8.066,97, oltre a interessi e spese di lite, senza ulteriore specificazione, e che, in appello, aveva invece domandato che il risarcimento venisse liquidato nella misura di euro 21.884,88, come quantificata dal c.t.u.
Appare allora evidente come la pronuncia della Corte d’Appello abbia travalicato i limiti della domanda, avendo accolto una censura che si poneva, rispetto al quantum risarcitorio, in termini tutt’affatto nuovi.
Ne consegue la fondatezza del motivo, con conseguente assorbimento del quarto, siccome afferente alla medesima questione.
8. In conclusione, dichiarata l’inammissibilità del primo motivo, l’infondatezza del secondo, la fondatezza del terzo e l’assorbimento del quarto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma che, in diversa composizione, dovrà statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del