Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1567 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1567 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27217/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
REGIONE LAZIO, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende -controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE n. 2280/2021 depositata il 29/03/2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/10/2023 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE, in qualità di cessionaria dei crediti vantati da RAGIONE_SOCIALE, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale Civile di RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) chiedendo la condanna delle convenute in solido, ovvero di ciascuna per quanto di rispettiva competenza, al pagamento dell’importo residuo di €219.313,44, maturato per l’erogazione delle prestazioni ex art. 26 L. 833/78, rese nel 2009 e contabilizzate nella fattura n. 1 del 04.01.2010, ovvero in subordine a titolo di ingiustificato arricchimento, oltre al pagamento degli interessi ex artt. 4 e 5 D. Lgs. n. 231/2002, ovvero al tasso legale, ed al maggior danno. Con sentenza n. 23887/2015 del 27.11.2015, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE affermava la legittimazione passiva
della RAGIONE_SOCIALE, rigettava le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE e compensava le spese tra le parti.
2.Con sentenza n. 2280/2021, pubblicata il 29-3-2021, la Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la citata sentenza. La Corte di merito affermava che: a) il tetto di spesa sanitaria, stante la ratio della norma, trovava applicazione ed era inderogabile per tutti i soggetti non facenti parte del S.S.N., ancorché convenzionati a vario titolo, compresi gli ospedali c.d. classificati che restavano soggetti privati, ed era incontestato che, con Decreto del Commissario ad acta della Regione RAGIONE_SOCIALE n. 51/2008, relativo all’anno 2009, si fosse assegnato al soggetto privato accreditato, erogante prestazioni specialistiche, il budget individuale di spesa per il periodo in questione, approvato con contratto di remunerazione, di RAGIONE_SOCIALE; di conseguenza non era dovuto alcun corrispettivo per le prestazioni extra budget e neppure poteva riconoscersi alcunché ex art.2041 cod. civ., ricorrendo l’ipotesi di arricchimento imposto; b) le prestazioni sanitarie effettuate nell ‘interesse del RAGIONE_SOCIALE, anche se rese in regime di accreditamento, costituivano espressione di un’attività finalizzata al perseguimento e alla realizzazione di un interesse pubblico, ossia quello della tutela e promozione della salute involgendo un’ipotesi di concessione di un pubblico servizio in cui la misura, la quantità, il tipo di prestazione nonché il prezzo di essa erano stabilite attraverso l’esercizio del potere amministrativo, precisamente per il tramite di un provvedimento amministrativo autoritativo; c) quanto alla tardività delle contestazioni in ordine all’asserito carattere provvisorio del budget e alla debenza degli importi fatturati oltre lo stesso, la documentazione depositata in sede di memoria di replica ex art. 190 cod. proc. civ. doveva considerarsi come non avvenuta, in quanto in detto atto non potevano essere dedotte questioni nuove o formulate nuove conclusioni, men che meno prodotti nuovi
documenti; d) in ordine alla debenza degli interessi di cui al D. Lgs. 231/2002, era assorbente il fatto che il regime di accreditamento provvisorio fosse di epoca anteriore all’entrata in vigore della suddetta disciplina, con esclusione, quindi, della decorrenza automatica degli interessi moratori.
3.Avverso questa sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, resistito con separati controricorsi dalla Regione RAGIONE_SOCIALE, dall’RAGIONE_SOCIALE e dall’ RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. La ricorrente e l’ RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente principale lamenta la ‘ violazione e falsa applicazione del DCA n. 51/2008; del D. Lgs. n. 502/1992 e succ. modificazioni ed integrazioni; della L. n. 724/1994; dell’art. 12 delle Preleggi; degli artt. 115 e 166 c.p.c.; degli artt. 1360 s.s. c.c., in relazione all’interpretazione degli atti amministrativi e l’art. 5 L. 2248/1865; l’omessa pronuncia e/o il difetto di motivazione per violazione e falsa applicazione dell’art.295 c.p.c. e degli artt. 112, 190, 329 e 345 c.p.c. , rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c.’ In particolare, la Corte di Appello avrebbe omesso di verificare un fatto decisivo per il giudizio, ossia il fatto che il tetto di spesa individuato nel Decreto Commissariale n. 51 del 2008 era provvisorio e in continua rimodulazione, tanto che successivamente quel tetto di spesa era stato integrato con nota n.750/2009 e nel dicembre 2009, su espressa autorizzazione dell’RAGIONE_SOCIALE, la ricorrente, non conoscendo la citata nota, aveva erogato tutte le prestazioni di assistenza riabilitativa ex art.26 l.n.833/1978, che l”apparato pubblico’ non era in grado di garantire. Inoltre, la Corte di Appello avrebbe errato nella parte in cui ha omesso di valutare gli elementi
prodotti in atti (ma non contestati) e di verificare la totale assenza di atti conclusivi da parte della Regione nella definizione del tetto di spesa per l’anno 2009. La sentenza impugnata sarebbe, altresì, erronea nella parte in cui la Corte di Appello ha sostenuto la tardività della contestazione sulla provvisorietà del budget, quando in realtà la stessa sarebbe stata evidenziata sin dall’atto di citazione in primo grado e non contraddetta dalle convenute neppure a livello probatorio. Censura la statuizione di inammissibilità dei documenti prodotti in sede di memoria conclusiva, malgrado l’indispensabilità degli stessi al fine della verità processuale e probanti la provvisorietà del tetto di spesa. Deduce infine che l’RAGIONE_SOCIALE e la Regione RAGIONE_SOCIALE non avevano dimostrato di essersi adoperate per interrompere le prestazioni sanitarie in ragione dell’insufficienza del budget, né avevano provato la comunicazione della citata nota n.750/2009 alla cedente e i documenti con cui erano state definitivamente individuate le risorse per l’anno 2009 e la loro invalicabilità.
2.Con il secondo motivo di ricorso (rubricato sub 3 -pag.13 ricorso) la ‘ Violazione e falsa applicazione del DCA n.51/2008- Violazione degli artt.1360 ss. in tema di interpretazione degli atti amministrativi con riferimento anche al DM Sanità del 1994, art.2041 cod. civ. -artt. 115 e 116 cod. proc. civ. -Violazione del principio fissato dalla legge 20-3-1865 n.2248 allegato F art.245 sulla determinazione dell’utile d’impresa secondo la ‘tecnica del decimo’ – Omessa pronuncia -Difetto di motivazione per omesso esame di un fatto decisivo e per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, art. 2697 c.c., 2041 c.c. rilevante ai sensi dell’art.360 comma primo n.3 e n.5 c.p.c.’. La ricorrente, nel dolersi del rigetto della domanda subordinata di indebito arricchimento ex art.2041 cod. civ., deduce che la Corte di merito ha omesso di pronunciarsi sui seguenti fatti decisivi: a) le prestazioni sanitarie ex art.26 l.n.833/1978 erano state erogate su espressa autorizzazione dell’RAGIONE_SOCIALE sanitaria, senza mai essere interrotte per contenimento della spesa; b) le
prestazioni ex art.26 l.n.833/1978 sono erogabili solo da strutture private accreditate; c) la spesa comunque avrebbe dovuto essere sostenuta, anche se resa da altre strutture pubbliche o private nei limiti del budget.
Con il terzo motivo (rubricato sub 4 -pag.14 ricorso) la ricorrente lamenta la ‘ violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 502/1992; del D.Lgs. 231/2002; della L. n. 4/2003; l’omessa valutazione del contratto ex art. 8 quinquies D.Lgs. n. 502/1992; la violazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c.; degli artt. 1284, 1260 e 1219 c.c.; il difetto di motivazione rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.’ . Denuncia omessa pronuncia per avere la Corte d’appello omesso la motivazione sul mancato riconoscimento degli interessi richiesti anche rispetto al ritardato pagamento. Sostiene, inoltre, la ricorrente che la struttura privata operava in regime di accreditamento provvisorio e aveva regolarmente sottoscritto il relativo contratto stipulato ai sensi dell’art. 8 quinquies D.lgs. n. 502/1992, con conseguente applicabilità del D.Lgs. 231/2002, artt. 4 e 5.
I motivi primo e secondo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui « in tema di attività sanitaria esercitata in regime di accreditamento, è infondata la domanda di pagamento delle prestazioni sanitarie eccedenti il limite di spesa formulata – a titolo di inadempimento contrattuale o di illecito extracontrattuale – dalla società accreditata nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE e della Regione, atteso che la mancata previsione dei criteri di remunerazione delle prestazioni c.d. “extra budget” è giustificata dalla necessità di dover comunque rispettare i tetti di spesa ed il vincolo delle risorse pubbliche disponibili e che la struttura privata accreditata non ha l’obbligo di rendere prestazioni eccedenti quelle concordate » (Cass. 27608/2019; Cass. 26334/2021). Né le somme richieste possono
essere riconosciute ad RAGIONE_SOCIALE – quale cessionaria della struttura sanitaria – a titolo di arricchimento senza causa, ai sensi dell’art . 2041 cod. civ.. Anche in tal caso, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui « il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso; tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto comune del cd. “arricchimento imposto”, potendo, invece, l’Amministrazione eccepire e provare che l’indennizzo non è dovuto laddove l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento ovvero non ha potuto rifiutarlo perché inconsapevole dell’ “eventum utilitatis” ». In applicazione del suesposto principio e in una fattispecie del tutto simile alla presente, è stata cassata la sentenza gravata che aveva riconosciuto all’appaltatrice l’indennizzo per indebito arricchimento per prestazioni sanitarie fornite oltre il tetto di spesa fissato dalla P.A. (Cass. 11209/2019; Cass. 24642/2020).
Nel caso concreto la Corte d’appello ha ravvisato l’arricchimento imposto nel fatto che l’ASL aveva fissato un tetto di spesa, con ciò rifiutando prestazioni extra budget. La tardività, affermata dalla Corte d’appello, delle questioni concernenti la pretesa natura provvisoria del budget, è stata impugnata con censura non autosufficiente, non essendo state riprodotte le difese proposte da RAGIONE_SOCIALE in prime cure, ai fini della verifica di tempestività delle relative deduzioni.
Le censure sono inammissibili anche nella parte in cui è denunciato l’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 comma 1 n.5 cod. proc. civ. , perché ricorre l’ipotesi della cd. doppia conforme. In tale ipotesi,
prevista dall’art. 348 -ter, comma 5, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti , come nella specie, con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 26774/2016).
Per contro, la ricorrente censura la valutazione data dalla Corte territoriale, in conformità a quella del Tribunale, al provvedimento con cui era determinato il budget della dante causa per l’anno 2009 ed all’accordo ex art. 8 quinquies stipulato dalla medesima, senza che sia dato compiutamente evincere, dal contenuto dei documenti richiamati, la dedotta decisività degli elementi fattuali risultanti dagli stessi, ma soprattutto senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. Parimenti inammissibili perché generiche e in ogni caso inconferenti sono le altre argomentazioni svolte in ricorso circa la natura delle prestazioni rese, sull’assunto, rimasto imprecisato, che sarebbero erogabili solo da strutture private accreditate, e circa l’asserita necessità in capo all’RAGIONE_SOCIALE di sostenere la spesa , qualora eventualmente resa da altre strutture pubbliche o private nei limiti del budget.
Il terzo motivo è inammissibile.
Secondo l’orientamento di questa Corte che il Collegio condivide (Cass. 32505/2019; Cass.17588/2018), l’obbligo per la struttura privata, già titolare di convenzione esterna ex lege n. 833 del 1978,
di stipulare apposito contratto in forma scritta con la ASL territorialmente competente sussiste anche durante il regime di accreditamento provvisorio o transitorio; con esso, per un verso, la struttura accetta e si vincola a rispettare le tariffe, le condizioni di determinazione della eventuale regressione tariffaria, nonché i limiti alla quantità di prestazioni erogabili alla singola struttura, fissati in relazione ai tetti massimi di spesa per l’anno di esercizio; per l’altro, l’ente pubblico assume l’obbligazione di pagamento dei corrispettivi in base alle tariffe previste per le prestazioni effettivamente erogate agli utenti del SSR, vincolandosi ad eseguirla secondo le modalità ed i tempi indicati nel contratto, che siano stati convenzionalmente stabiliti ovvero risultino applicabili in virtù di integrazione legislativa. Posto, dunque, che anche nel regime di accreditamento provvisorio era necessario il contratto scritto, la stessa ricorrente asserisce che la struttura privata aveva sottoscritto il relativo contratto ex art.8 quinquies d.lgs. n.502/2002, ma non indica minimamente quale sia la data di questo contratto (ante o post agosto 2002 -cfr. pag. 16 ricorso -). In altre parole, a fronte dell’affermazione della Corte di merito, secondo la quale l’accreditamento provvisorio della struttura era avvenuto prima della vigenza del citato decreto, il motivo di ricorso si limita a richiamare genericamente il contratto stipulato con l’RAGIONE_SOCIALE, senza indicarne neppure la data.
Infine neppure ricorre il vizio di omessa pronuncia, in quanto la Corte di merito ha escluso, in generale, la debenza degli interessi ex d.lgs. 502/2002, per tutti i crediti, e dunque, implicitamente, anche degli interessi per il ritardato pagamento.
In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato e le spese di lite, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna controricorrente, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto (Cass. S.U. n.5314/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione in favore dell’RAGIONE_SOCIALE delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge; condanna la ricorrente alla rifusione in favore della Regione RAGIONE_SOCIALE delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge; condanna la ricorrente alla rifusione in favore della RAGIONE_SOCIALE delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, il 26/10/2023.