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Etichettatura Made in: assenza di colpa esclude multa

Una società importatrice è stata sanzionata per aver importato merce priva della corretta etichettatura di origine. La Corte di Cassazione ha annullato la multa, confermando la decisione della Corte d’Appello. È stato provato che l’azienda aveva dato istruzioni precise al fornitore estero per l’etichettatura ‘Made in’, agendo quindi in buona fede e senza colpa. La decisione sottolinea che l’elemento soggettivo della colpa è indispensabile per configurare l’illecito amministrativo.

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Etichettatura Made In: la Buona Fede dell’Importatore Esclude la Sanzione

L’obbligo di una corretta etichettatura made in è fondamentale per garantire la trasparenza del mercato e la corretta informazione ai consumatori. Ma cosa succede se un importatore, pur avendo dato istruzioni precise al fornitore estero, riceve merce non conforme? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio cruciale: se l’importatore dimostra di aver agito in buona fede e senza colpa, la sanzione amministrativa deve essere annullata. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una società italiana si vedeva recapitare un’ordinanza ingiunzione da parte della Camera di Commercio, con una sanzione di 22.500 euro. Il motivo? Aver importato un carico di prodotti dalla Cina che, al momento dell’ingresso in Italia, erano privi della necessaria indicazione di provenienza, ovvero l’etichetta “Made in China”.
La società importatrice si opponeva alla sanzione, sostenendo di non avere alcuna colpa. Aveva infatti provato di aver richiesto per iscritto al proprio fornitore cinese di apporre la corretta etichettatura sulla merce prima della spedizione. A causa di un errore del fornitore, questo non era avvenuto.

Il Percorso Giudiziario: dal Tribunale alla Corte d’Appello

In primo grado, il Tribunale rigettava l’opposizione della società, confermando la sanzione. La società, però, non si arrendeva e proponeva appello. La Corte d’Appello di Roma ribaltava la decisione, accogliendo le ragioni dell’importatore. I giudici di secondo grado ritenevano fondato il motivo relativo all’assenza dell’elemento soggettivo dell’illecito. Secondo la Corte, l’azienda aveva agito in buona fede e non era nelle condizioni oggettive di verificare la merce prima che venisse sdoganata. Il rapporto commerciale consolidato con il fornitore, inoltre, rendeva legittimo l’affidamento sulla corretta esecuzione dell’ordine.

L’analisi della Cassazione sulla corretta etichettatura made in

La Camera di Commercio, non soddisfatta della decisione d’appello, ricorreva in Cassazione, sostenendo che la Corte avesse erroneamente applicato i principi sulla buona fede e sul caso fortuito. A suo avviso, la società importatrice avrebbe potuto e dovuto verificare la merce prima dello sdoganamento, avvalendosi delle procedure doganali esistenti.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando l’annullamento della sanzione.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su alcuni punti cardine:

1. Assenza di Colpa: Il cuore della questione risiede nell’elemento soggettivo. Per l’applicazione di una sanzione amministrativa, secondo la Legge n. 689/1981, è necessario che la violazione sia commessa almeno con colpa. Nel caso di specie, la società importatrice aveva dimostrato la sua diligenza fornendo istruzioni scritte al fornitore. L’errore di quest’ultimo è stato considerato un evento imprevedibile (caso fortuito) che interrompe il nesso di causalità e fa venir meno la colpa dell’importatore.

2. Impossibilità Oggettiva di Verifica: I giudici hanno ritenuto che non fosse esigibile dall’importatore essere presente in Cina al momento della spedizione o ispezionare i colli prima dello sdoganamento. La normativa citata dalla Camera di Commercio (art. 58 del d.P.R. n. 43/1973), che permette la verifica della merce in dogana, è finalizzata a garantire la correttezza della dichiarazione doganale (qualità, quantità, valore), non a controllare la conformità dell’etichettatura per la tutela del consumatore, che risponde a una finalità diversa (art. 4, comma 49-bis, L. 350/2003).

3. Alternative Previste dalla Legge: La stessa normativa sull’etichettatura made in prevede che l’importatore possa rimediare alla mancanza di etichetta apponendo, in fase di commercializzazione, un’attestazione che chiarisca l’origine estera del prodotto. Questa possibilità dimostra che l’illecito non si perfeziona irrevocabilmente al solo ingresso della merce in dogana, ma dipende dal comportamento successivo dell’operatore.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza della Cassazione offre un importante chiarimento: la responsabilità amministrativa per la mancata etichettatura di origine non è oggettiva. L’importatore che riesce a dimostrare di aver agito con la massima diligenza, fornendo istruzioni chiare e documentate ai propri fornitori, può essere esente da responsabilità se l’errore è imputabile esclusivamente a terzi.

Le implicazioni pratiche per le aziende sono significative:
* Documentare sempre le istruzioni: È fondamentale conservare prove scritte (e-mail, ordini, contratti) delle direttive impartite ai fornitori esteri in materia di etichettatura.
* La buona fede va provata: Non basta affermare di aver dato istruzioni; è necessario poterlo dimostrare in caso di contenzioso.
* Conoscere le norme: È essenziale distinguere tra obblighi doganali e obblighi a tutela del consumatore, poiché le procedure e le conseguenze sono diverse.

In conclusione, la sentenza riafferma un principio di civiltà giuridica: nessuna sanzione senza colpa. Per gli operatori del commercio internazionale, è un monito a operare con diligenza e a tutelarsi attraverso una documentazione contrattuale e commerciale ineccepibile.

Un importatore è sempre responsabile se la merce arriva senza la corretta etichettatura di origine?
No, la responsabilità può essere esclusa se l’importatore dimostra di aver agito in buona fede e senza colpa, ad esempio provando di aver dato istruzioni scritte e specifiche al fornitore estero per l’apposizione dell’etichetta corretta.

Cosa deve fare un importatore per dimostrare la sua assenza di colpa?
Deve fornire la prova di aver adottato tutte le cautele esigibili per garantire il rispetto della norma. Nel caso specifico, è stato decisivo aver provato di aver richiesto per iscritto al fornitore di apporre l’etichetta, rendendo l’errore di quest’ultimo un evento imprevedibile.

L’errore del fornitore estero può essere considerato un caso fortuito che esonera l’importatore da responsabilità?
Sì, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, a fronte di specifiche istruzioni date dall’importatore e di un rapporto commerciale consolidato, l’errore del fornitore integra un caso fortuito. Questo evento, imprevisto e imprevedibile, esclude l’elemento soggettivo della colpa in capo all’importatore, rendendo la sanzione non applicabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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