Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 29305 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 29305 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/11/2025
COGNOME NOME
-intimato-
Avverso la sentenza n. 350/2021 resa dalla Corte d’Appello di Bologna il 19/2/2021, pubblicata il 16/04/2021 e non notificata;
Oggetto: Opposizione ordinanza-ingiunzione per violazione allegato 1 del d.lgs. 27 ottobre 2012, n. 202 – commercio pollame.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25077/2021 R.G. proposto da COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore pro tempore , rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati presso l’indirizzo pec del difensore;
-ricorrente –
contro
REGIONE EMILIA-ROMAGNA, in persona del presidente in carica, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, entrambi dell’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE Regione Emilia-Romagna, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente –
e
udita la relazione RAGIONE_SOCIALE causa svolta nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Ai fini RAGIONE_SOCIALE migliore comprensione dei fatti di causa, è opportuno riassumere la vicenda sulla base RAGIONE_SOCIALE ricostruzione operata dalla Corte d’Appello, integrata con gli elementi risultanti dal ricorso.
Con ricorso ex art. 22 legge 24 novembre 1981, n. 689, depositato nel maggio 2017, COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE proposero opposizione avverso l’ordinanzaingiunzione emessa il 4 aprile 2017 dalla Regione Emilia-Romagna, con la quale era stato loro ingiunto il pagamento RAGIONE_SOCIALE sanzione pecuniaria di € 3.016,50, per avere violato la disciplina contenuta nell’allegato 1 del d.lgs. 27 ottobre 2012, n. 202, in quanto avevano commercializzato carni di pollame con informazioni sulle modalità di allevamento che, riportate in etichetta, risultavano diverse da quelle prescritte dalla normativa vigente.
Si costituì la Regione Emilia-Romagna, chiedendo il rigetto dell’opposizione.
Con sentenza n. 373/2020 dell’8/7/2020, il Tribunale di Piacenza respinse l’opposizione.
Il giudizio di appello, instaurato dai medesimi COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, si concluse, nella resistenza RAGIONE_SOCIALE Regione Emilia-Romagna e nella contumacia di NOME COGNOME, con la sentenza n. 350/2021, pubblicata il 16/04/2021, con la quale la Corte d’Appello di Bologna rigettò il gravame.
Detta Corte ritenne, in particolare, infondate:
l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, ritenendo che, alla stregua dell’art. 3, comma 3, d.lgs. n. 202 del 2011, la RAGIONE_SOCIALE dell’illecito, da imputare all’operatore o all’organizzazione che commercializzava carni di pollame, fosse
attribuibile agli appellanti in ragione RAGIONE_SOCIALE loro qualità di soggetti demandati alla organizzazione titolare dell’etichettatura;
-l’eccezione dell’omessa previa diffida RAGIONE_SOCIALE Regione, in quanto questa trovava applicazione nei soli casi in cui l’accertatore avesse riscontrato la presenza di errori formali, comunque irrilevanti;
l’argomentazione difensiva secondo cui l’etichetta era conforme al disciplinare di etichettatura autorizzato dal RAGIONE_SOCIALE, in quanto, ai sensi del Regolamento CE n. 54372008, che individuava espressamente le diciture ammesse sulle etichette, quelle censurate recavano esclusivamente la dicitura ‘ha allevato a terra’ ed erano dunque carenti con riferimento principale alla forma di allevamento;
l’eccezione di prescrizione, in quanto il verbale di contestazione recava la data del 12/04/2017 ed era stato notificato il 17/04/2017, entro il termine di prescrizione quinquennale.
Avverso la suddetta sentenza, COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
La Regione Emilia-Romagna ha resistito con controricorso.
AVV_NOTAIO è rimasto intimato.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Considerato che:
1.1 Con il quarto motivo di ricorso, da trattare per primo per motivi di priorità logicogiuridica, si lamenta la violazione dell’art. 28 legge n. 689 del 1981 e degli artt. 2934 e 2935 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e l’ error in iudicando , per avere i giudici di merito respinto l’eccezione di prescrizione, calcolando il dies a quo dalla data di notifica del verbale di contestazione (17/4/2017) e non dalla data di consumazione del fatto (30/3/2012), senza considerare che, ai
sensi dell’art. 28 legge n. 689/1981, il diritto a riscuotere le somme per la violazione si prescriveva nel termine di cinque anni dalla commessa violazione. Inoltre, la prescrizione si riferiva, ad avviso dei ricorrenti, non solo al diritto a riscuotere la sanzione pecuniaria, ma anche al potere RAGIONE_SOCIALE P.A. di applicare la sanzione stessa.
Infine, la data di accertamento dell’illecito era indicata nella stessa ordinanzaingiunzione in quella del 30/3/2012, mentre l’ingiunzione era stata notificata il 7/4/2017, oltre il quinquennio.
1.2 Il quarto motivo è infondato.
La prescrizione quinquennale prevista dall’art. 28 legge 24 novembre 1981 n. 689 – con decorrenza dal giorno in cui è stata commessa la violazione e suscettibile di interruzione secondo le norme dettate dal Codice civile – pur se riferita dalle norme citate al “diritto a riscuotere” le somme dovute per le violazioni, incide sullo stesso illecito, del quale comporta l’estinzione, e, quindi, impedisce l’emissione dell’ingiunzione con cui l’amministrazione applica la sanzione amministrativa (Cass., Sez. 1, 12/11/1991, n. 12036).
Essa, in ragione RAGIONE_SOCIALE funzione RAGIONE_SOCIALE citata legge – la quale, ancorché sostituendo la sanzione amministrativa a quella penale, non cessa di realizzare uno scopo lato sensu punitivo dei responsabili di determinate infrazioni -, è rilevabile di ufficio dal giudice, diversamente da quanto si verifica per la prescrizione disciplinata del menzionato codice, il richiamo al quale è da ritenere limitato alla sola disciplina dell’interruzione (Cass., Sez. L, 17/4/1991, n. 4119).
Come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, il termine di prescrizione può essere interrotto esclusivamente attraverso ogni atto del procedimento, ivi compreso il processo verbale di accertamento dell’infrazione (Cass., Sez. 5, 20/7/2016, n. 14886; Cass., Sez. 1, 12/08/1992, n. 9545), il quale ha la
funzione di far valere il diritto dell’Amministrazione alla riscossione RAGIONE_SOCIALE pena pecuniaria, in quanto, costituendo esercizio RAGIONE_SOCIALE pretesa sanzionatoria, è idoneo a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 2943 cod. civ. (Cass., Sez. 2, 18/01/2007, n. 1081; Cass, Sez. 1, 13/7/2001, n. 9520; Cass., Sez. 1, 27/4/1999, n. 4201), sempre se e dal momento in cui l’atto sia stato notificato o, comunque, portato a conoscenza del soggetto sanzionato a mezzo ruolo (Cass., Sez. 2, 24/8/2023, n. 25226).
Nella specie, i giudici di merito hanno respinto l’eccezione di prescrizione, fondata sul fatto che l’illecito si fosse consumato il 30/12/2012 e che l’ordinanza -ingiunzione fosse stata emessa il 4/4/2017, sostenendo che il verbale di contestazione recava la data del 12/4/2017 e che la sua notifica era avvenuta il successivo 17/4/2017, entro il termine di prescrizione quinquennale.
Il ricorrente pretende, invece, di accreditare la tesi secondo cui l’illecito era stato commesso il 30/3/2012 e non il 30/12/2012, come invece affermato in sentenza, rappresentando una questione in fatto che spetta, però, al giudice di merito accertare.
2.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3 del d.lgs. 27 ottobre 2011, n. 202, e 8, Regolamento C.E. 25 ottobre 2011, n. 1169, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e l’ error in iudicando , perché i giudici di merito avevano respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorrente, dovendo l’illecito essere contestato all’operatore Carn COGNOME, siccome responsabile del confezionamento dei prodotti, ritenendo che la ricorrente rientrasse in una RAGIONE_SOCIALE due categorie – operatore e organizzazione che commercializza descritte nell’art. 3, commi 3 e 4, d.lgs. n. 202 del 2011.
I ricorrenti hanno, sul punto, precisato che la RAGIONE_SOCIALE era un’associazione rappresentativa RAGIONE_SOCIALE categoria dei produttori avi –
cunicoli e non esercitava né l’attività di produzione RAGIONE_SOCIALE carni di pollame, non rientrando in nessuna RAGIONE_SOCIALE fasi operative rappresentate dall’allevamento di polli, né l’attività di commercializzazione, non essendo un’organizzazione finalizzata alla vendita al pubblico; che la stessa, quale associazione di categoria, era titolare del Disciplinare, che, elaborato secondo i criteri di cui all’art. 6 del d.m. 29 luglio 2004 e approvato dal RAGIONE_SOCIALE, veniva utilizzato dagli operatori RAGIONE_SOCIALE COGNOME, che provvedeva alla produzione e al confezionamento del prodotto, e ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , che provvedeva alla etichettatura e alla distribuzione commerciale RAGIONE_SOCIALE carni attraverso il punto vendita ‘ Il Gigante ‘ , e rientrava nella definizione di cui all’art. 2, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 202 del 2011, sicché l’apposizione dell’etichetta sulle carni non competeva ad essa, ma rientrava nelle funzioni dell’operatore addetto alla produzione o alla commercializzazione, come aveva inteso dimostrare mediante prove testimoniali non ammesse.
2.2 Questo motivo è fondato.
Occorre innanzitutto evidenziare che, nella specie, non è applicabile il Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, siccome entrato in vigore solo dal 13 dicembre 2014.
La materia è regolata, invece, dal d.lgs. 27 ottobre 2011, n. 202, recante «Disciplina sanzionatoria per la violazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni del regolamento (CE) n. 1234/2007», nonché del regolamento (CE) n. 543/2008, recante modalità di applicazione del Reg. (CE) n. 1234/2007, il quale stabilisce norme per la commercializzazione RAGIONE_SOCIALE carni di pollame, direttamente applicabili in tutti gli Stati Membri dal 1 luglio 2008 e sostitutive di quelle contenute negli abrogati Reg. (CE) n. 1538/1991 e Decreto Ministeriale n. 465 del 10/09/1999).
Come chiarito dalla Corte di Giustizia, gli obiettivi principali RAGIONE_SOCIALE normativa dell’Unione di cui trattasi attengono sia al miglioramento dei redditi dei produttori e degli operatori attivi nel settore RAGIONE_SOCIALE carni di pollame, ivi compresi RAGIONE_SOCIALE carni di pollame fresche, sia alla tutela dei consumatori, al quale devono essere fornite informazioni adeguate, chiare e oggettive sui prodotti posti in vendita, e costituiscono obiettivi di interesse generale riconosciuti dal diritto primario dell’Unione (CGUE sentenza del 30 giugno 2016, RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE, in Causa C-134/15, punti 36,37,38).
Con riguardo all’idoneità dell’obbligo di etichettatura a garantire il conseguimento degli obiettivi perseguiti, il legislatore ha potuto considerare che tale obbligo, da un lato, consente di garantire un’informazione affidabile al consumatore grazie all’indicazione figurante sull’imballaggio e, dall’altro, è atto a incoraggiarlo ad acquistare carni di pollame, circostanza che migliora le prospettive di commercializzazione di tale prodotto e di conseguenza, i redditi dei produttori (CGUE sentenza del 30 giugno 2016, RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE, in Causa C-134/15, punti 36,37,38).
Le medesime esigenze hanno condotto, del resto, al Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, il quale è, difatti, finalizzato ad assicurare il diritto all’informazione dei consumatori sugli alimenti consumati e a garantire, in ultima analisi, il loro diritto alla salute, tenendo presente che le loro scelte possono essere influenzate, tra l’altro, da considerazioni di natura sanitaria, economica, ambientale, sociale ed etica.
Proprio con riguardo a quest’ultimo Regolamento, infatti, la Corte di Giustizia ha chiarito che la legislazione alimentare si prefigge, quale principio generale, di costituire una base per consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli in relazione agli
alimenti che consumano e di prevenire qualunque pratica in grado di indurre in errore il consumatore (CGUE, Sez. III 1 ottobre 2020, in causa C-485/18 – COGNOME, pres.; COGNOME, est.; COGNOME, AVV_NOTAIO gen. – RAGIONE_SOCIALE, ministre de la Justice ed a) e ciò impone che le informazioni relative agli alimenti siano corrette, imparziali e obiettive (v., in tal senso, CGUE sentenza del 22 settembre 2016, Breitsamer und Ulrich, C-113/15, punto 69, nonché del 1 ottobre 2020, RAGIONE_SOCIALE, C-485/18, punto 44) e tali da non indurre in errore il consumatore, specialmente per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare la natura, l’identità, le qualità, la composizione, la quantità, la conservazione, l’origine o la provenienza, il modo di fabbricazione o di ottenimento dello stesso (CGUE sentenza del 4 giugno 2015, Bundesverband der RAGIONE_SOCIALE, C-195/14, punto 31; anche CGUE sentenza del 13 gennaio 2022, RAGIONE_SOCIALE contro Ministerstvo zemědělství, C -881/19, punti 45-46).
Con specifico riguardo alle carni di pollame, l’art. 121, lettera e), iv) del regolamento (UE) n. 1234/2007, quantunque abrogato dal regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, ma ancora applicabile fino alla data di attuazione RAGIONE_SOCIALE relative norme di commercializzazione fissate tramite atti delegati, ai sensi dell’articolo 230, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 1308/2013, autorizza la Commissione europea ad adottare le «norme concernenti le indicazioni supplementari che devono figurare sui documenti commerciali di accompagnamento, l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità RAGIONE_SOCIALE carni di pollame destinate al consumatore finale e la denominazione di vendita ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, punto 1, RAGIONE_SOCIALE direttiva 2000/13/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento RAGIONE_SOCIALE
legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti RAGIONE_SOCIALE, nonché la relativa pubblicità (GU 2000, L 109, pag. 29)] (si veda sul punto CGUE sentenza 24 febbraio 2015, RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE, C134/15, punto 9).
Orbene, la norma nazionale stabilisce all’art. 3, comma 3, del citato d.lgs., per quanto qui rileva, che « Salvo che il fatto costituisca reato, l’operatore o l’organizzazione che commercializza carni di pollame prive in tutto o in parte RAGIONE_SOCIALE informazioni da riportare in etichetta circa la rintracciabilità, l’origine e la provenienza, l’alimentazione o l’allevamento degli animali o con informazioni in etichetta riportate con modalità diverse da quelle indicate nell’allegato 1 al presente decreto, è soggetto alla sanzione di cui al comma 1 », ossia « al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 3.000 euro a 18.000 euro o di 600 euro per quintale o frazione di quintale se il quantitativo totale di prodotto accertato oggetto di violazione è pari o superiore ai 25 quintali. L’ammontare RAGIONE_SOCIALE sanzione proporzionale applicabile non può superare l’importo complessivo di 150.000 euro ».
Le definizioni che qui interessano, ossia quelle relative ai soggetti cui l’illecito si riferisce (l’operatore e l’organizzatore che commercializza carni di pollame) e alla specifica condotta riguardante le informazioni riportate sull’etichetta, sono precisate nell’art. 2.
Quest’ultima disposizione chiarisce, in particolare, che l”organizzazione’ (art. 2, comma 1, lett. g) va riferita al « soggetto rappresentativo almeno dei settori allevamento e macellazione RAGIONE_SOCIALE filiera RAGIONE_SOCIALE carni di pollame, che dispone di un disciplinare di etichettatura approvato dal RAGIONE_SOCIALE ed è responsabile RAGIONE_SOCIALE tracciabilità del prodotto lungo tutta la filiera » e che è ‘operatore’ (art. 2, comma
1, lett. h) colui che si occupa « di un settore RAGIONE_SOCIALE filiera (allevamento, macellazione, impianto per la lavorazione e confezionamento) aderente al disciplinare volontario di etichettatura, a cui compete l’obbligo di etichettare la carne di pollame per la parte di competenza prevista dal disciplinare ».
In sostanza, l’organizzatore non è direttamente coinvolto nei lavori riguardanti le singole fasi RAGIONE_SOCIALE filiera, ma svolge una funzione propedeutica ad esse, in quanto ne rappresenta i vari settori, è responsabile RAGIONE_SOCIALE tracciabilità del prodotto lungo tutta la filiera e dispone del disciplinare di etichettatura approvato dal RAGIONE_SOCIALE, il quale, secondo la definizione datane dall’art. 2, comma 1, lett. p, è quel « documento predisposto dall’organizzazione di etichettatura volontaria RAGIONE_SOCIALE carni di pollame ed approvato dal RAGIONE_SOCIALE », che contiene « RAGIONE_SOCIALE informazioni da fornire con l’etichettatura volontaria e, per ciascuna RAGIONE_SOCIALE fasi di produzione e vendita interessate, le procedure atte a garantire la veridicità di tali informazioni, con relativi piani di autocontrollo e di controllo, nonché le procedure di identificazione e registrazione atte a garantire la rintracciabilità del pollame, RAGIONE_SOCIALE sue carni e la loro correlazione con il relativo lotto di produzione o macellazione ».
L”etichettatura’ di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) attiene, infatti, alle informazioni, « di cui all’apposito disciplinare approvato, sull’animale, sulle relative carni, sul tipo di allevamento e di alimentazione » e deve fornirsi « per iscritto ed in modo visibile al consumatore nel punto vendita, sotto forma di cartello o documento stampato, precompilato, oppure di informazioni visualizzate su uno schermo elettronico » e apporsi « sulla carcassa intera o sul singolo pezzo di carne o su pezzi di carne o sul relativo materiale di imballaggio ».
Le informazioni che l’etichetta, nell’ottica unionale e nazionale, deve contenere sono descritte all’art. 2, comma 1, lett. q), e sono quelle « sull’animale, sulle relative carni, sul tipo di allevamento e di alimentazione, generate lungo tutta o parte RAGIONE_SOCIALE filiera avicola interessata dall’etichettatura volontaria, apponibili nell’etichettatura e necessarie per garantire una comunicazione ottimale e la massima trasparenza nella commercializzazione RAGIONE_SOCIALE carni di pollame, assicurando nel contempo la rintracciabilità RAGIONE_SOCIALE stesse per gli scopi di etichettatura volontaria », rientrandovi quelle afferenti 1) all’alimentazione (« quale informazione apponibile nell’etichettatura relativa al tipo di alimentazione somministrata al pollame durante tutto o parte del ciclo vitale ») e 2) alla forma di allevamento (« informazione apponibile nell’etichettatura relativa alle modalità di allevamento del pollame durante tutto o parte del ciclo vitale »).
Orbene, i giudici di merito hanno ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE ricorrente, nella sua « qualità di organizzazione titolare dell’etichettatura », rientrasse nelle suddette definizioni e hanno, perciò, respinto la deduzione difensiva che volevano la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE soggetto responsabile dell’illecito siccome soggetto che si occupava del confezionamento del prodotto.
La laconica motivazione alla quale i giudici di merito hanno, però, affidato la reiezione RAGIONE_SOCIALE difesa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non tiene conto del fatto che la nozione di «organizzazione» precisata dal legislatore si riferisce proprio al soggetto che coerentemente con l’uso RAGIONE_SOCIALE congiuntiva ‘e’ contenuta nella norma definitoria e con la ratio perseguita dalla normativa di settore sopra descritta, necessariamente rivolta a chi abbia potere di incidere sulla etichettatura destinata al consumatore -, assommi tre caratteristiche: ossia 1) sia rappresentativo del settore allevamento e macellazione RAGIONE_SOCIALE filiera, 2) disponga di un disciplinare RAGIONE_SOCIALE
etichettatura approvato dal RAGIONE_SOCIALE e 3) sia responsabile RAGIONE_SOCIALE tracciabilità del prodotto lungo tutta la filiera.
Deriva perciò da quanto detto che, essendo rimasti totalmente non sindacati in fatto i requisiti RAGIONE_SOCIALE rappresentatività e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE tracciatura, che, al pari RAGIONE_SOCIALE titolarità del disciplinare (nella specie non messa in dubbio neppure dai ricorrenti, come emerge dalle successive censure), concorrono a definire il soggetto responsabile ai sensi del ridetto art. 2, comma 2, lett. g), la censura non può che essere valutata come fondata, non potendosi ritenere la RAGIONE_SOCIALE ricorrente rivestire una RAGIONE_SOCIALE anzidette qualità.
3. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 202 del 2011, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e l’ error in iudicando , per avere i giudici di merito affermato che non fosse applicabile alla specie il sistema binario descritto dall’art. 8 del d.lgs. n. 202 del 2011, secondo cui l’Amministrazione procedente, prima di irrogare la sanzione, avrebbe dovuto avviare un autonomo procedimento volto ad intimare al diretto interessato la riconduzione del suo operato a legalità e a rimuovere, dunque, l’irregolarità commessa, sostenendo che la preventiva diffida fosse necessaria solo in presenza di errori formali comunque irrilevanti ai fini RAGIONE_SOCIALE identificazione e rintracciabilità del pollame. Ad avviso dei ricorrenti, la condotta contestata aveva riguardato l’incompletezza RAGIONE_SOCIALE informazioni fornite al consumatore, allorché era stato indicato soltanto parzialmente il metodo di allevamento (‘allevamento a terra’), senza specificare ulteriormente e questo fosse ‘estensivo al coperto, all’aperto, rurale all’aperto, rurale in libertà’, sicché, costituendo l’omessa o insufficiente indicazione sulla forma di allevamento una irregolarità formale, eliminabile
attraverso l’integrazione RAGIONE_SOCIALE informazioni fornite dall’etichetta, l’Amministrazione avrebbe dovuto provvedere alla previa diffida.
4. Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione del Regolamento C.E. n. 543/2008, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e l’ error in iudicando , per avere i giudici di merito affermato che il Regolamento CE individuava espressamente le diciture ammesse sulle etichette e che quelle in esame recavano soltanto la dicitura ‘allevato a terra’ ed erano dunque carenti RAGIONE_SOCIALE categoria di riferimento principale RAGIONE_SOCIALE forma di allevamento, senza considerare che il disciplinare RAGIONE_SOCIALE recava una normativa tecnica più rigorosa di quella minima contenuta nel regolamento comunitario, sì da prevalere sulla disciplina sovranazionale di cui all’art. 11, comma 3, Regolamento CE n. 543/2011, oltre ad attuare la dicitura ‘allevamento a terra’, l’obbligo di cui all’art. 8 d.m. 29/7/2004, che, pertanto, era stato approvato sia dal RAGIONE_SOCIALE, sia del RAGIONE_SOCIALE, sia RAGIONE_SOCIALE Commissione europea. Pertanto, trattandosi di norma interna approvata dalla legislazione comunitaria, non poteva dar luogo a irregolarità sanzionabile.
I giudici avevano, inoltre, errato, in quanto avevano affermato che la dicitura ‘allevamento a terra’ trasgredisse le prescrizioni regolamentari, senza considerare che il Regolamento consentiva provvedimenti nazionali di natura tecnica contenenti prescrizioni più rigorose e che le etichette censurate non si ponevano in contrasto con la disciplina comunitaria in quanto conformi al Disciplinare approvato e non identificative di un tipo di allevamento o un tipo diverso da quelli elencati nelle lettere da b) a e) dell’art. 11, comma 1, del Regolamento CE, né aveva portata sostitutiva RAGIONE_SOCIALE modalità richieste, assolvendo, viceversa, una funzione aggiuntiva in quanto chiariva che gli animali compivano la loro
attività a contatto col terreno, senza pretesa di chiarire la forma organizzativa adottata, ma indicando una modalità di allevamento praticabile in ciascuna RAGIONE_SOCIALE tipologie riferite.
Con il quinto motivo di ricorso, si deduce, infine, la violazione e omessa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e l’omesso esame RAGIONE_SOCIALE istanze istruttorie proposte in grado d’appello, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano ignorato la richiesta di ammissione RAGIONE_SOCIALE prove orali, già avanzata in primo grado e non ammessa, ponendosi in contrasto con quanto si voleva dimostrare coi capitoli articolati, ossia che RAGIONE_SOCIALE non poteva essere responsabile dell’illecito addebitatole in quanto era un’organizzazione che non commercializzava carni, né era titolare dell’etichettatura.
Il secondo, terzo e quinto motivo restano assorbiti dall’accoglimento del primo.
In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo motivo, ritenuta l’infondatezza del quarto e considerati assorbiti i restanti, il ricorso deve essere accolto in relazione alla censura rilevata come fondata e la sentenza va, perciò, cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il quarto e dichiara assorbiti i restanti;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’ 8/10/2025.
Il Presidente NOME COGNOME