Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18106 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 18106 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
Oggetto
Obbligazioni -Nascenti dalla legge -Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso -Requisiti di accesso
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 21716/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME e NOMECOGNOME rappresentate e difese dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrenti –
contro
Ministero dell’Interno , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata digitalmente ex lege ;
-resistente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania , n. 163/2022, pubblicata il 28 gennaio 2022.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito l’Avvocato NOME COGNOME
udito l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Catania, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato le domanda con cui NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente moglie e figlia di NOME COGNOME, avevano chiesto il riconoscimento del proprio diritto di accesso al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di tipo mafioso in relazione alle somme riconosciute in loro favore dalle sentenze nn. 356 e 357 del 2015 Tribunale Civile di Siracusa.
Ha infatti ritenuto che il congiunto fosse inserito in ambienti malavitosi ed il delitto maturato nell’ambito di una «guerra fra clan» .
In iure , passate in rapida rassegna le fonti normative rilevanti e richiamato il precedente di Cass. 08/11/2019, n. 28820, ha osservato che il requisito della estraneità agli ambienti malavitosi sussiste ininterrottamente sin dall’entrata in vigore della legge n. 302 del 1990, e nelle successive disposizioni relative alla materia in esame, ben prima dell’entrata in vigore della legge n. 122 del 2016.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME
propongono ricorso per cassazione.
Il Ministero dell’Interno ha depositato c.d. « atto di costituzione » al dichiarato fine « dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ».
Il P .M. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Le ricorrenti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente rilevare che il ricorso non risulta validamente notificato al Ministero intimato.
1.1. La notifica è stata infatti indirizzata all’Avvocatura Distrettuale di Catania e deve pertanto considerarsi nulla, dovendo la notifica del ricorso per cassazione avverso amministrazione rappresentata per legge dall’Avvocatura dello Stato essere diretta alla stessa presso l’Avvocatura Generale dello Stato (art. 11, comma terzo, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, in relazione all’art. 9, comma primo, legge 3 aprile 1979, n. 103).
Tale nullità deve però considerarsi sanata, per raggiungimento dello scopo, avendo il Ministero depositato c.d. atto di costituzione, con ciò dimostrando di aver avuto comunque conoscenza del ricorso e senza peraltro chiedere una rimessione in termini per l’eventuale ritardo al riguardo determinato dalla invalidità della notifica medesima.
1.2. Anche in mancanza di ciò, l’infondatezza del ricorso, che si va appresso a evidenziare, avrebbe comunque reso ultroneo ed inutilmente dispendioso l’altrimenti necessario ordine di rinnovazione della notifica.
Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone infatti al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si
traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti; ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (v. Cass. Sez. U. 22/03/2010, n. 6826; Cass. 21/05/2018, n. 12515; 10/05/2018, n. 11287; 17/06/2013, n. 15106).
Sotto l ‘unica rubrica « violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. n. 3 in relazione all’art. 4 legge n. 512 del 1999; violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. n. 3 in relazione all’art. 15 comma 1 lett. c) legge 112/2016 ed all’art 1, comma 2, lett. b) della legge n. 302/1990 », le ricorrenti svolgono censure che possono così essere sintetizzate:
─ la Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato la sopravvenuta disciplina dettata dalla legge n. 122 del 2016, ignorando che il diritto all’accesso al fondo di rotazione era già consolidato sotto la vigenza della legge n. 512 del 1999;
─ l’art. 15 legge n. 122 del 2016, che introduce il requisito dell’estraneità ad ambienti delinquenziali, non è suscettibile di applicazione retroattiva;
─ la delibera di esclusione è stata adottata dal Comitato di solidarietà antimafia oltre i termini previsti, causando un pregiudizio
alle ricorrenti, determinato dal fatto che, a causa del ritardo, la delibera è intervenuta (tardivamente) in una data successiva all’entrata in vigore dei più restrittivi requisiti di cui alla citata l. n. 122 del 2016.
2. Le censure, congiuntamente esaminabili, sono infondate.
A fondamento della decisione, l a Corte d’appello ha osservato che il requisito della estraneità agli ambienti malavitosi sussiste ininterrottamente sin dall’entrata in vigore della legge n. 302 del 1990, e nelle successive disposizioni relative alla materia in esame, ben prima dell’entrata in vigore della legge n. 122 del 2016, che altro non avrebbe fatto che confermare quanto già ricavabile dalle precedenti disposizioni.
Come evidenziato in sentenza, una tale ricostruzione del quadro normativo è stata pienamente avallata da questa Corte con il citato arresto di Cass., Sez. 3, n. 28820 del 2019 (peraltro riguardante un caso per molti versi sovrapponibile).
Come è stato in quella sede osservato, e come anche successivamente ribadito da Cass., Sez. 3, 3/10/2023, n. 28627, in altro caso perfettamente sovrapponibile a quello in esame, ed ancora, adesivamente, da Cass., Sez. 1, n. 12146 del 06/05/2024 e da Cass., Sez. 1, n. 6007 del 06/03/2024:
a) l’art. 1 legge 20 ottobre 1990, n. 302 ( Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata ), nel prevedere il diritto alla « elargizione fino a lire 150 milioni » in favore di « chiunque subisca un’invalidità permanente, per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di atti di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico » (comma 1) nonché in favore di chiunque tali pregiudizi subisca « in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di fatti delittuosi commessi per il perseguimento delle finalità delle associazioni di cui all’articolo 416bis del cod. pen. » (comma 2), subordina detta provvidenza a
talune condizioni negative, tra le quali quello dell’essere il soggetto leso « del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali » (comma 2, lett. b);
la stessa condizione negativa è prevista per l’elargizione prevista in favore dei superstiti del soggetto deceduto a seguito dei crimini in questione ;
i criteri dettati dalle norme citate valgono in via generale per tutte le provvidenze erogate dallo Stato, essendo insiti nella stessa ratio legis , che è appunto quella di indennizzare le vittime, intendendosi per tali, necessariamente, i soggetti del tutto estranei agli ambienti malavitosi e non coloro che ne fanno parte, i quali, a ragionare diversamente, riceverebbero, del tutto irragionevolmente, aiuti di Stato per avere scelto la via del crimine piuttosto che quella della legalità;
l’esposta condizione negativa è peraltro espressamente richiesta dall’art. 4, comma 3, legge 22 dicembre 1999, n. 512, come modificato dall’art. 15, comma 1, lett. c) , legge 7 luglio 2016, n. 122, attraverso il rimando alle « condizioni di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 20 ottobre 1990, n. 302 »;
l ‘estraneità agli ambienti di mafia del soggetto che chieda
l’accesso al Fondo di rotazione ex lege 22 dicembre 1999, n. 512 (la cui istituzione persegue, come noto, lo scopo di rendere effettivo e concreto il diritto al risarcimento del danno riconosciuto giudizialmente a favore delle vittime di tale specifica tipologia di reati , attribuendone l’onere in via sussidiaria per l’appunto al Fondo), allo stesso modo che quella richiesta per i soggetti che chiedano l’indennizzo previsto dalle legge n. 302 del 1990, costituisce invero condizione immanente allo scopo stesso della legge, tale per cui essa contraddirebbe sé stessa e la funzione per cui il Fondo è stato istituito ove se ne ammettesse l’applicazione anche in favore di soggetti intranei al contesto criminale da cui originano i fatti lesivi;
scopo mediato ma evidentemente prioritario perseguito dalla legge istitutiva del Fondo è pur sempre, infatti, quello di contrastare i fenomeni d’infiltrazione mafiosa , nella ragionevole convinzione che la concreta solidarietà in favore di coloro che hanno subìto danni materiali alle proprie attività economiche (per il coraggio di essersi sottratti al regime deprimente della mafia) possa consentire agli stessi di trarre benefici oggettivi dal diritto concreto al risarcimento dei danni patiti, così al tempo stesso contrastando quelle situazioni di debolezza, isolamento e inferiorità economica e sociale nel quale attecchisce e si fortifica il fenomeno mafioso;
si otterrebbe invece, evidentemente, il risultato opposto se tale beneficio si riconoscesse nel caso in cui il beneficiario (o il congiunto dalla cui lesione origini il diritto al risarcimento riconosciuto giudizialmente) risulti appartenere al contesto criminale che ha dato ragione e origine al fatto lesivo; tali soggetti riceverebbero in tal caso la provvidenza pubblica non per essersi coraggiosamente allontanati e opposti al contesto mafioso ma, al contrario, paradossalmente, proprio per avervi fatto parte.
Tali principi -ai quali, siccome pienamente condivisi dal Collegio , va qui data continuità ─ non possono ritenersi contraddetti
dai precedenti evocati in ricorso.
3.1. Cass. Sez. U. n. 26626 del 18/12/2007 esamina, in sede ed a fini di regolamento di giurisdizione, un caso in cui un richiedente l’accesso alla elargizione di cui alla legge 20 ottobre 1990, n. 302, e succ. mod., recante norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, aveva impugnato innanzi al giudice amministrativo un provvedimento di diniego; le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario ribadendo il principio, già in precedenza affermato tra le altre da Cass. Sez. U. n. 1377 del 2003 (pure richiamata dalle ricorrenti), secondo cui « le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata sono titolari, in presenza delle condizioni di legge, di un vero e proprio diritto soggettivo all’erogazione della speciale elargizione prevista dalla normativa in materia, essendo la P.A. priva di ogni potestà discrezionale sia con riguardo all’entità della somma da erogare, prefissata dalla legge, sia con riguardo ai presupposti della derogabilità, rispetto ai quali l’Amministrazione svolge un accertamento che, ove dovesse avere carattere non semplicemente ricognitivo, ma valutativo, estraneo al concetto di discrezionalità amministrativa ». Tale precedente non si occupa, dunque, di quali siano le condizioni di legge in presenza delle quali sorge il diritto soggettivo dei richiedenti non subordinato a valutazione discrezionale della P.A., ma risolve solo un problema di giurisdizione, relativo alla individuazione del giudice (in virtù di quella premessa, quello ordinario) chiamato a conoscere delle controversie intorno alla sussistenza o meno di quel diritto. Nessun argomento, dunque, è possibile ricavare, da tale pronuncia, che contrasti l’esegesi accolta.
3.2. Cass., Sez. 6-1, Ord. n. 21306 del 2015 riguarda un caso in cui il Tribunale di Torino, con sentenza confermata dalla Corte d’appello, aveva accolto la domanda di parte attrice diretta al riconoscimento del diritto ad accedere al fondo di rotazione per la
solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, di cui alla legge n. 512 del 1999, in relazione a fatti accertati con sentenza penale; avverso la sentenza d’appello era stato proposto ricorso dal Ministero, che intendeva far valere l’introduzione nelle more del procedimento degli ulteriori presupposti negativi previsti dal comma 4bis dell’art. 4 della legge n. 512 de 1999, aggiunto dalla lettera a ) del comma 1 dell’art. 2ter , d.l. 2 ottobre 2008, n. 151; la S.C. ha rigettato tale impugnazione sul rilievo che «(essendo) le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata … titolari, in presenza delle condizioni di legge, di un vero e proprio diritto soggettivo all’erogazione della speciale elargizione prevista dalla legge 20 ottobre 1990, n. 302, (ed) essendo al riguardo la P.A. priva di ogni potestà discrezionale … – nel caso in cui, successivamente alla domanda di concessione siano mutati i presupposti per il conseguimento di quella elargizione, di tale mutamento … non può tenersi conto, avendo l’avente diritto già maturato il diritto soggettivo alla sua attribuzione, restando irrilevante la mancata conclusione del procedimento amministrativo volto a porre in essere le attività volte a rendere effettivo quel riconoscimento »; in motivazione la S.C. ha osservato che « la modifica legislativa menzionata, costituendo un’ulteriore eccezione all’attribuzione dei benefici alle vittime dei crimini mafiosi, non può essere ricavata in via interpretativa, per l’eccezionalità di ogni previsione che quei vantaggi limita, non estensibili oltre attraverso operazioni ermeneutiche, ma per mezzo di modifiche legislative ».
Anche tale precedente non prospetta argomentazioni incompatibili con quelle che supportano l’esegesi qui ribadita.
Non è dato invero desumere dalla ordinanza quali fossero i presupposti mutati della chiesta elargizione. Il principio affermato non può ritenersi difforme rispetto a quello enunciato dal successivo arresto del 2019, nel quale non si afferma la rilevanza ostativa di un presupposto nuovo sopravvenuto al fatto costitutivo del diritto quale
previsto al tempo dell’evento , né si propone una interpretazione estensiva di taluni presupposti, ma ben diversamente si afferma che quello dell’estraneità della vittima primaria all’ambiente malavitoso è da ritenersi requisito immanente alla legge che accorda quella provvidenza, come tale sussistente sin dalla sua prima introduzione, di guisa che quel principio non ne viene affatto contraddetto.
Si trattava, dunque, di una fattispecie totalmente diversa e non è dato ricavare alcuna affermazione contrastante con l’esegesi qui accolta circa la rilevanza di requisito immanente della estraneità della vittima primaria all’ambiente ma fioso.
Non si tratta, invero, né di attribuire un potere discrezionale valutativo circa la rilevanza di circostanze non previste dalla legge, né di far riferimento a dati o contesti normativi diversi per materia o sopraggiunti all’evento , né ancora di ricavare per via di interpretazione estensiva un presupposto non previsto espressamente dalla legge.
Al contrario, quello predetto è da considerare alla stregua di un pre-requisito ab origine «immanente» nell’intervento normativo e intrinseco nella stessa definizione degli aventi diritto come «vittime» di reati maturati in ambienti di criminalità organizzata, pena la negazione stessa dello scopo perseguito dalla legge.
Se ne trae conferma testuale anche dal lessico utilizzato dal legislatore che distingue, da un lato, al comma 3 dell’art. 4 della legge n. 512 del 1999, le circostanze in presenza delle quali « l’obbligazione del Fondo non sussiste », dall’altro, nel comma 4, le condizioni in presenza delle quali « il diritto di accesso al Fondo non può essere esercitato ». Le prime sono dunque identificate quali elementi negativi della fattispecie legale che dà diritto all’accesso al Fondo; le seconde quali fatti impeditivi dell’esercizio di un diritto già sorto.
Ebbene, non a caso l’art. 15, comma 1, lett. c), della legge 7
luglio 2016, n. 122, ha inserito l’inciso « ovvero quando risultano escluse le condizioni di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 20 ottobre 1990, n. 302 » (vale a dire l’ipotesi in cui risulti esclusa l’estraneità del soggetto leso estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali) nel comma 3, ossia tra gli elementi che definiscono, in negativo, la stessa fattispecie legale costitutiva del diritto all’accesso e non tra le condizioni che, alla stregua di eccezioni, ne impediscono l’esercizio. Appare evidente che, in tal modo, la modifica ha (solo) inteso esplicitare quello che è un connotato intrinseco alla definizione della fattispecie legale, come tale ricavabile dalla sua stessa ragion d’essere.
6 . La tesi che attribuisce all’estraneità ad ambienti di mafia del richiedente l’accesso al fondo di rotazione la natura di prerequisito immanente allo scopo stesso della legge istitutiva n. 512 del 1999, e, pertanto, di elemento costitutivo negativo della fattispecie legale (la cui originaria sussistenza prescinde dall’esplicitazione contenuta nella legge n.122 del 2016), trova conferma nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 122 del 2024.
Questa sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2quinquies , comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (norma, tra l’altro, recentemente riscritta dall’art. 5, comma 1, del d.l. 11 aprile 2025, n. 48, in attesa di conversione), nella parte in cui esclude dai benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata i parenti o affini entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti sia in corso un procedimento per l’applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia, ovvero di soggetti nei cui confronti sia in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3bis , del codice di procedura penale.
Nell’emettere questa pronuncia, la Corte costituzionale ha
osservato che la disciplina posta dal detto decreto-legge, inserita dalla legge di conversione 28 novembre 2008, n. 186, e successivamente modificata dall’art. 2, comma 21, della legge 15 luglio 2009, n. 94 ( Disposizioni in materia di sicurezza pubblica ), si prefigge una finalità legittima, in quanto intende evitare che le limitate risorse dello Stato siano sviate dal sostegno delle vittime della mafia e del terrorismo e avvantaggino, per vie indirette, le stesse associazioni criminali che intendono contrastare.
Questa finalità legittima, per essere perseguita, tuttavia, non ha bisogno del mezzo (da ritenersi sproporzionato rispetto al fine) della esclusione preventiva, dalla platea dei beneficiari del beneficio, dei parenti e degli affini entro il quarto grado dei soggetti destinatari di misure di prevenzione o sottoposti a procedimento penale per reati di particolare gravità, dal momento che è già efficacemente perseguita attraverso la prescrizione di requisiti tassativi e stringenti di meritevolezza, come, in particolare, quello previsto dal surrichiamato art. 1, comma 2, lettera b), della legge n. 302 del 1990, il quale sancisce il presupposto della totale estraneità della vittima diretta agli ambienti criminali, nonché quello previsto dal successivo art. 9bis della medesima legge (introdotto dall’art. 1, comma 259, della legge 23 dicembre 1996, n. 662: Misure di razionalizzazione della finanza pubblica ), il quale puntualizza che le condizioni di estraneità alla commissione degli atti terroristici o criminali e agli ambienti delinquenziali « sono richieste, per la concessione dei benefici previsti dalla presente legge, nei confronti di tutti i soggetti destinatari » e, dunque, non soltanto delle vittime dirette.
In altri termini, il perseguimento della legittima finalità di evitare che le limitate risorse dello Stato siano sviate dal sostegno delle vittime della mafia e del terrorismo e avvantaggino, per vie indirette, le stesse associazioni criminali che intendono contrastare, non ha bisogno della creazione di una irragionevole presunzione assoluta di
indegnità ancorata al vincolo di parentela o affinità, giacché è efficacemente assicurata dal presupposto costituito dall’estraneità del destinatario del beneficio agli ambienti delinquenziali.
Presupposto che, in quanto requisito tassativo e stringente di meritevolezza, non può che essere elemento costitutivo originario del vantato diritto soggettivo, dovendo considerarsi « immanente al sistema la necessità di una verifica rigorosa della radicale estraneità al contesto criminale » (così Corte cost. n. 122 del 2024, Punto 10 del Considerato in diritto).
7 . In questa prospettiva, non solo va confermato l’orientamento che esclude la valenza innovativa delle disposizione di cui all’art.15, comma 1, lett. c), della legge n. 122 del 2016 (la quale, tutt’al contrario, nel prevedere l’estraneità del soggetto leso o danneggiato ad ambienti e rapporti delinquenziali, si limita ad -ulteriormente -esplicitare, in via meramente ricognitiva, un pre-requisito negativo già immanente alla fattispecie legale che dà diritto all’accesso al Fondo di rotazione istituito dalla legge n. 512 del 1999), ma va anche precisato che la predetta estraneità non si esaurisce nella mera condizione di incensurato o, in negativo, nella mancanza di affiliazione alle consorterie criminali, ma postula, in positivo e in senso più pregnante, la prova di una condotta di vita antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose, sicché grava su chi rivendica elargizioni o assegni vitalizi l’onere di dimostrare in modo persuasivo tale presupposto fattuale del diritto azionato, mentre la carenza di una prova adeguata ridonda a danno di chi reclama le provvidenze (in tal senso, v. ancora Corte cost. n. 122 del 2024, Punto 10 del Considerato in diritto, e, nella giurisprudenza di questa Corte, cfr. Cass. 16/03/2025, n. 6962).
Discende dalle suesposte considerazioni che anche prima dell’entrata in vigore della norma di cui all’art. 15, comma 1, lett. c) , legge 7 luglio 2016, n. 122 -che, come detto, ha introdotto, nell’art.
4, comma 3, legge n. 512 del 1999 l’espressa previsione del requisito in discorso, attraverso il richiamo all’art. 1, comma 2, lett. b) , della legge n. 302 del 1990 -tale condizione doveva necessariamente sussistere per il riconoscimento del beneficio, dovendosi dunque attribuire alla norma introdotta nel 2016 valore non innovativo ma puramente chiarificatore di un requisito comunque immanente allo scopo stesso della legge istitutiva.
È dunque anche del tutto irrilevante la circostanza che il procedimento amministrativo avviato dalle istanze di accesso al fondo si sia concluso, in ritardo rispetto al termine previsto di sessanta giorni dalla presentazione delle stesse, in data successiva all’entrata in vigore del menzionato art. 15 l. n. 122 del 2016, posto che anche se fosse intervenuto anteriormente, la decisione non avrebbe potuto essere diversa.
Alla luce di quanto sopra detto alla norma, là dove prevede l’applicabilità della nuova disciplina alle « istanze non ancora definite » può attribuirsi il solo scopo di rimarcare l’intangibilità di provvedimenti che, pur nell’eventuale erroneo misconoscimento del requisito di cui s’è detto, abbiano erogato il requisito in parola, ove gli stessi non siano più suscettibili nemmeno di sindacato giurisdizionale, non certo quello di individuare il discrimine nell’esaurimento del solo iter amministrativo, per il che non si troverebbe del resto alcun supporto testuale o sistematico.
Sulla base delle considerazioni che precedono questa Corte, in fattispecie analoghe, ha da ultimo enunciato i seguenti principi diritto, che vanno qui ribaditi:
─ « In tema di elargizioni in favore di vittime di reati di tipo mafioso, il requisito della estraneità ad ambienti e rapporti delinquenziali costituisce elemento costitutivo originario della fattispecie legale che dà diritto all’accesso al Fondo di rotazione istituito dalla legge n. 512 del 1999, in quanto pre-requisito tassativo
e stringente di meritevolezza in funzione dello scopo perseguito di sostegno alle vittime della mafia e di contrasto ai fenomeni d’infiltrazione mafiosa. Tale natura implica, da un lato, sotto il profilo formale, l’esclusione del riconoscimento di efficacia innovativa dell’ordinamento giuridico al disposto dell’art. 15, comma 1, lett. c), della l. n. 122 del 2016, quale norma meramente ricognitiva, in funzione chiarificatrice, di un connotato intrinseco alla fattispecie legale; dall’altro lato, sotto il profilo sostanziale, che il predetto requisito, da intendersi, non già, in negativo, come mera condizione di incensurato o come mancanza di affiliazione alle consorterie criminali, ma, in positivo, quale condotta di vita antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose, deve essere provato dal richiedente la provvidenza o il beneficio, sicché, in difetto di tale dimostrazione, la domanda deve essere rigettata »;
─ « L’espressione ‘istanze non ancora definite’ contenuta nell’art. 15, comma 3, della legge n. 122 del 2016 -che costituisce condizione per l’applicabilità della modifica dell’art. 4, comma 3, della legge n. 512 del 1999 introdotta dal comma 1, lettera c), del medesimo art. 15 -deve ritenersi sottintendere la presenza di un contenzioso giurisdizionale non ancora approdato al giudicato, non potendo ritenersi definita l’istanza oggetto solo di una decisione emessa in sede amministrativa ».
Il ricorso deve essere dunque rigettato, con la conseguente condanna delle ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese processuali in favore del Ministero resistente, limitatamente a quelle relative alla discussione in pubblica udienza (stante la mancata proposizione di rituale controricorso) e dunque alla sola fase decisoria.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti , ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art.
1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
13. A tale attestazione non può ostare l’ eventuale condizione di una o entrambe le ricorrenti di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, occorrendo al riguardo rammentare che « il giudice dell’impugnazione, ogni volta che pronunci l’integrale rigetto o l’inammissibilità o la improcedibilità dell’impugnazione, deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per versamento di un ulteriore importo del contributo unificato anche nel caso in cui quest’ultimo non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di venir meno (come nel caso di ammissione della parte al patrocinio a spese dello Stato); mentre può esimersi dalla suddetta attestazione quando la debenza del contributo unificato iniziale sia esclusa dalla legge in modo assoluto e definitivo » (Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315).
Spetterà dunque all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore delle amministrazioni controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese eventualmente prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove
dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza