Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12617 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12617 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12412/2024 R.G. proposto da : COGNOME difeso dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME difesi dagli avvocati COGNOME e COGNOME
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1194/2024 depositata il 18/03/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Nola, NOME COGNOME e NOME COGNOME per ottenere l’accertamento dell’esistenza di una servitù di passaggio a favore del fondo di sua proprietà. Chiedeva inoltre la condanna dei convenuti
alla rimozione di ogni ostacolo all’esercizio della servitù. A sostegno della domanda, richiamava gli atti di trasferimento dell’immobile in suo favore e deduceva che il fondo beneficiava della servitù in virtù di un atto notarile del 1911.
COGNOME e COGNOME si costituivano in giudizio eccependo l’inesistenza della servitù sul loro immobile. Precisavano che il loro fondo, esteso per 540 mq, era stato acquistato con atto del 13/12/1971 dal dante causa dell’attore (NOME COGNOME, nato nel 1916) da parte di NOME COGNOME, padre e marito dei convenuti, con la clausola che lo dichiarava libero da pesi e servitù. Evidenziavano che, negli anni ’80, il fondo era stato recintato con muro, ringhiera e rete metallica, lasciando libero solo un vialetto pedonale di un metro, destinato esclusivamente ad agevolare eventuali riparazioni ad un fabbricato confinante. Sottolineavano che l’asserita servitù non era mai stata esercitata, poiché il fondo dell’attore era accessibile da altre vie e una traversa privata garantiva il passaggio comune. Contestavano inoltre la contiguità dei fondi e deducevano che la servitù si sarebbe comunque estinta per prescrizione, essendo stata inutilizzata per decenni. Chiedevano il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Nola rigettava la domanda e condannava l’attore alle spese. Riconosceva che la servitù di passaggio era stata costituita con un atto di donazione del 1911; rilevava che il fondo dominante e il fondo servente erano originariamente di proprietà di un unico soggetto, NOME COGNOME (nato il 5/12/1916), il quale aveva trasferito l’immobile attualmente in proprietà dei convenuti a NOME COGNOME con l’atto notarile del 13/12/1971. In tale atto non vi era alcuna menzione della servitù di passaggio e, anzi, si attestava che il bene veniva ceduto privo di oneri. Secondo il Tribunale, tale circostanza manifestava la volontà del dante causa di escludere la servitù al momento della vendita.
NOME COGNOME proponeva appello lamentando che il Tribunale aveva rigettato la domanda pur avendo riconosciuto l’esistenza della servitù costituita con l’atto del 1911. Sosteneva che il giudice di primo grado avrebbe dovuto attenersi esclusivamente a tale titolo costitutivo e che l’atto di vendita del 13/12/1971, pur non menzionando espressamente la servitù, riportava una clausola che prevedeva il trasferimento del bene nello stato di fatto e con tutti i diritti ed oneri inerenti, circostanza che a suo avviso confermava la permanenza della servitù.
La Corte di appello di Napoli rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado. Osservava che il riferimento contenuto nell’atto del 1971 ai diritti ed oneri inerenti riguardava una strada comune tracciata con un atto del 1967 e non la servitù di passaggio oggetto del giudizio. Inoltre, la clausola contenuta nell’atto di vendita del 1971, che attestava l’assenza di pesi sul fondo trasferito, doveva ritenersi incompatibile con la permanenza della servitù originaria.
Ricorre in cassazione l’attore con un motivo. Resiste la parte convenuta con controricorso. Il consigliere delegato ha proposto la definizione del ricorso per inammissibilità o manifesta infondatezza. La parte ricorrente ne ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Del collegio fa legittimamente parte, in qualità di Presidente, il Consigliere Dr. NOME COGNOME che ha redatto la proposta di definizione. Infatti, secondo Cass. SU 9611/2024: « Nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una
funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa » .
– Il motivo denuncia errori in procedendo per avere la Corte di appello erroneamente individuato il dante causa del ricorrente, omettendo di considerare che il fondo di cui si controverte era pervenuto alla parte ricorrente per effetto di un atto di donazione stipulato il 27/12/1990 da NOME COGNOME nato nel 1915, padre dello stesso ricorrente. Si afferma che tale atto prevedeva espressamente il trasferimento del fondo con tutte le servitù attive e passive risultanti dai titoli pregressi. Si censura la sentenza impugnata per avere fondato il rigetto della domanda sull’atto di vendita del 1971, intervenuto tra NOME COGNOME, nato nel 1916, e NOME COGNOME senza considerare che il dante causa della parte ricorrente non era NOME, bensì NOME COGNOME Si sostiene che la corretta individuazione del dante causa avrebbe imposto di riconoscere la continuità della servitù, come risultante dal titolo costitutivo originario del 1911 e ribadita nell’ atto di donazione del 1990. Si richiama giurisprudenza di questa Corte secondo cui la corretta individuazione della provenienza dei diritti immobiliari è essenziale per determinare l’esistenza e l’opponibilità dei diritti reali trasferiti, anche in relazione alle servitù prediali, precisandosi che la clausola contenuta in un atto di donazione che richiami le servitù attive e passive deve essere interpretata secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1362 ss. c.c. in relazione ai titoli pregressi.
-Il ricorso è inammissibile per più ragioni distinte ed autonome d’inammissibilità .
In primo luogo, il motivo non soddisfa l’onere di specifica indicazione delle ragioni di impugnazione, imposto dall’art. 366 co. 1 n. 4
c.p.c. Infatti, il ricorso non può essere redatto per relationem con il mero rinvio ad atti processuali non precisati, ma deve contenere tutti gli elementi che consentano alla corte di legittimità di esaminare direttamente la decisività delle questioni sollevate e la sufficienza della motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. 342/2021 e 11984/2011).
Inoltre, dalla lettura del ricorso non emerge che la confusione tra NOME COGNOME (padre del ricorrente, nato nel 1915) e NOME COGNOME (nato nel 1916) sia stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio. Non si rinviene traccia di discussione di tale profilo nella sentenza impugnata, che d’altra part e menziona l’atto di donazione del 1990 tra i titoli di provenienza richiamati dall’attore nella citazione introduttiva, senza attribuirgli alcun rilievo autonomo nella motivazione della decisione. In realtà, la censura mossa dal ricorrente attiene a un errore materiale nella ricostruzione della figura del dante causa del ricorrente, che, se esistente e decisivo, avrebbe dovuto essere valorizzato mediante revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c., non con ricorso per cassazione.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 93 co. 3 e 4 c.p.c.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 800 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge, da corrispondere agli avvocati NOME e NOME COGNOME, antistatari. Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 c.p.c. di
€ 800 in favore della parte controricorrente, da corrispondere agli antistatari avvocati NOME NOME COGNOME nonché al pagamento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 3.000 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16/04/2025.