Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 132 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 132 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25269/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrente principale-
nei confronti di
COGNOME NOME, elett.te domiciliata in LECCEINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che la rappresenta e
difende per procura in calce al ricorso incidentale autonomo, -ricorrente incidentale autonoma-
nonchè contro
COGNOME NOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME quali eredi di COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso e ricorso incidentale,
-controricorrenti e ricorrenti incidentali-
nonché contro
COGNOME CONCETTA in proprio e quale tutrice di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti quali eredi di COGNOME NOME, e COGNOME NOME,
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n.589/2020 depositata il 23.6.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17.12.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 1985 COGNOME NOME, vedova di COGNOME NOME, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Lecce i germani COGNOME NOME e COGNOME NOME, nati dal precedente matrimonio del de cuius COGNOME NOME, chiedendo la divisione in base al
testamento del marito del 28.7.1972 con attribuzione delle quote, tenendo conto anche delle donazioni compiute in vita dal testatore, e di riconoscere il suo diritto alla metà delle somme e dei titoli accantonati in vita dal defunto facenti parte della comunione de residuo, e di condannare i convenuti alla restituzione di quanto di sua spettanza.
Si costituivano in primo grado COGNOME NOME e COGNOME NOME, che rilevavano che vi erano altri eredi legittimi del defunto, ed in particolare i figli naturali COGNOME NOME e COGNOME NOME, nati dall’unione del de cuius con COGNOME NOME, e detti figli naturali, chiamati in causa e costituitisi, avevano chiesto di accertare la loro qualità di legittimari e di ridurre le disposizioni testamentarie di COGNOME NOME per reintegrarli nella quota del patrimonio ereditario loro spettante.
Con sentenza parziale n. 1895/2003 del 14.6.2002/7.7.2003 il Tribunale di Lecce individuava i beni rientranti della massa ereditaria, obbligava i germani COGNOME NOME e COGNOME NOME a conferire alla massa ereditaria a titolo di collazione l’immobile sito in Lecce, INDIRIZZO, donato loro dal padre defunto, nonché le rendite degli appartamenti di Lecce, INDIRIZZO, di proprietà del de cuius, ma da loro occupati gratuitamente fin dal 1966, e ciò fino alla data di apertura della successione, condannava gli originari convenuti a restituire a COGNOME NOME la metà delle somme di denaro depositate sui conti correnti intestati al de cuius presso le filiali di Lecce della del Credito Italiano e della Banca Commerciale Italiana, la metà dei BOT depositati presso quest’ultima e la metà delle somme relative all’assegno di mantenimento ( rectius accompagnamento) riconosciuto al padre oltre interessi dall’apertura della successione all’effettiva restituzione. La sentenza parziale dichiarava inoltre che COGNOME NOME e COGNOME NOME, subentrata quale erede del figlio naturale COGNOME NOME, deceduto
nelle more, erano obbligate a conferire nella massa ereditaria, a titolo di collazione, l’appartamento di Lecce, INDIRIZZO, e la somma di £ 7.000.000 ciascuno, che era stata indirettamente donata dal de cuius ai figli naturali, e che tutti i convenuti erano obbligati a restituire alla massa ereditaria i frutti dei beni immobili e gli interessi sulle somme di denaro soggette a collazione maturati dal giorno dell’apertura della successione. Con separata ordinanza il Tribunale di Lecce rimetteva la causa in istruttoria per l’ulteriore corso della causa di divisione.
Contro la sentenza parziale proponevano appello immediato COGNOME NOME e COGNOME NOME e resistevano COGNOME NOME e COGNOME NOME, e solo quest’ultima proponeva appello incidentale contro le statuizioni a sé sfavorevoli, concernenti l’obbligo di conferire alla massa ereditaria la somma di £ 7.000.000 e l’appartamento di Lecce, INDIRIZZO, contestando sia l’esistenza che la qualificazione della liberalità in favore del suo dante causa COGNOME NOME NOME. Veniva altresì proposto appello incidentale contro la sentenza parziale dagli eredi di COGNOME NOME deceduta nelle more (COGNOME NOME, NOME e NOME), allo scopo di richiedere che COGNOME NOME e COGNOME NOME fossero obbligate a conferire alla massa ereditaria anche l’appartamento donato loro dal de cuius sito in Lecce, INDIRIZZO, acquistato con l’elargizione in data 6.2.1971 da parte del defunto ai figli naturali della somma di £ 7.000.000 ciascuno.
Con la sentenza n. 487/2007 dell’1.6/9.7.2007 la Corte d’Appello di Lecce rigettava l’appello principale, e dichiarava la nullità per vizio di forma delle elargizioni di £ 7.000.000 ciascuno effettuate dal de cuius in favore dei figli naturali, COGNOME NOME e COGNOME NOME, qualificate come donazioni dirette, escludendo le elargizioni di denaro dalla massa ereditaria per l’inoperatività della collazione. Rigettava l’appello incidentale degli
eredi COGNOME volto ad imporre ai figli naturali del de cuius anche la collazione dell’appartamento sito in Lecce, INDIRIZZO.
Contro tale sentenza proponevano ricorso a questa Corte nel 2008 solo gli eredi COGNOME, che contestavano la sentenza di secondo grado per avere dichiarato la nullità per vizio di forma delle donazioni in denaro compiute dal de cuius in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, rigettando il loro appello incidentale, col quale era stato richiesto unicamente di obbligare COGNOME NOME NOME e COGNOME NOME a conferire alla massa ereditaria, anziché la somma oggetto di elargizione di £ 7.000.000, l’appartamento di Lecce, INDIRIZZO, al cui acquisto la somma sarebbe stata destinata, e rilevavano altresì che se le donazioni in denaro compiute dal de cuius erano ritenute nulle per vizio di forma, gli importi donati dovevano comunque rientrare nella massa ereditaria come crediti del defunto nei confronti dei beneficiari delle elargizioni.
Nelle more all’udienza del 2.7.2012 del giudizio di primo grado del Tribunale di Lecce (proc. n. 2282/1985 RG), che stava proseguendo per addivenire alla sentenza definitiva di divisione, veniva chiesto di disporre la sospensione in attesa dell’esito del giudizio di cassazione, e tale sospensione veniva disposta con ordinanza del 2.7.2012.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20633/2014 accoglieva solo in parte il ricorso degli eredi COGNOME, stabilendo che in ordine all’elargizione di denaro effettuata dal de cuius a favore di COGNOME NOME, poiché si era già formato il giudicato interno sulla validità dell’elargizione in denaro e sulla sussistenza dell’obbligo della collazione, in quanto la stessa non aveva proposto appello incidentale, la Corte d’Appello di Lecce non avrebbe potuto dichiarare la nullità per vizio di forma solenne con esclusione della stessa dalla massa ereditaria. In ordine
all’elargizione di denaro effettuata dal de cuius in favore di COGNOME NOME, la cui erede COGNOME NOME aveva proposto appello incidentale contestando sia l’esistenza che la qualificazione di quell’elargizione, riteneva che non era stato violato il giudicato interno, ma una volta dichiarata la nullità per vizio di forma solenne dell’elargizione, qualificata come donazione diretta e non più indiretta del denaro, pur non potendo operare la collazione, sussisteva comunque un credito per la restituzione della massa ereditaria nei confronti della erede del beneficiario, COGNOME NOME, da recuperare mediante imputazione alla quota di quest’ultima ex art. 724 cod. civ. In relazione ai due motivi accolti, la Corte di cassazione cassava, quindi, la sentenza della Corte d’Appello di Lecce n.487/2007 dell’1.6/9.7.2007, e rinviava per il prosieguo alla Corte d’Appello di Bari, davanti alla quale però il giudizio non veniva mai riassunto.
Con ricorso depositato il 10.2.2016 e notificato alle altre parti il 19.2.2016 gli eredi COGNOME chiedevano al Tribunale di Lecce in composizione collegiale di dichiarare estinto il procedimento ai sensi dell’art. 392 e ss. c.p.c. (relativi alla riassunzione del giudizio di rinvio) per la mancata tempestiva riassunzione, richiesta che veniva contestata all’udienza del 4.3.2016 da COGNOME NOME e COGNOME NOME, mentre vi aderivano COGNOME NOME e gli eredi di COGNOME NOME, deceduto nelle more (COGNOME NOME in proprio e quale tutrice di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME).
All’udienza dell’11.3.2016 il Tribunale di Lecce, in composizione collegiale, invitava le parti a verificare la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di estinzione del processo per mancata riassunzione da parte del giudice istruttore ex art. 125 bis disp. att. c.p.c. (regolante la riassunzione del giudizio di primo grado sospeso a seguito della proposizione di appello immediato
avverso sentenza parziale entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza che definiva il giudizio sull’appello immediato).
Con atto di citazione notificato l’11.4.2016 COGNOME NOME e COGNOME NOME riassumevano davanti al Tribunale di Lecce il procedimento n.2282/1985 RG davanti al giudice istruttore di quella causa, sostenendo che l’estinzione ex art. 393 c.p.c., separatamente chiesta dalle altre parti, poteva riguardare solo il giudizio di rinvio, disposto dalla Corte di cassazione davanti alla Corte d’Appello di Bari, in ordine alle donazioni effettuate dal de cuius, per cui la richiesta di estinzione relativa doveva essere avanzata alla Corte d’Appello di Bari, essendo incompetente a pronunciarsi il Tribunale di Lecce, ed il termine di sei mesi, per la riassunzione ex art. 129 bis disp. att. c.p.c. ultimo comma, del giudizio pendente in primo grado e sospeso, doveva decorrere dalla scadenza del termine di riassunzione del giudizio di rinvio, sicché il procedimento n. 2282/1985 RG davanti al Tribunale di Lecce poteva utilmente proseguire per le domande che non erano state decise con la sentenza parziale n. 1895/2003 del Tribunale di Lecce.
Gli eredi COGNOME sostenevano invece che la riassunzione del procedimento n.2282/1985 RG davanti al Tribunale di Lecce doveva comunque avvenire entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza della Corte di cassazione n.20633/2014, ex art. 129 bis disp. att. c.p.c., per cui si era verificata l’estinzione dell’intero giudizio, con gli effetti previsti dall’art. 393 c.p.c.
Il Tribunale di Lecce, in composizione collegiale, con la sentenza n. 3490 del 14.7.2016 dichiarava l’estinzione del procedimento n. 2282/1985 in quanto tardivamente riassunto ex art. 129 bis disp. att. c.p.c.
Contro tale sentenza proponeva appello principale COGNOME NOME, chiedendone la dichiarazione di nullità perché pronunciata dal Tribunale in composizione collegiale, anziché dal
giudice istruttore, ed extra petita, essendo stata chiesta l’estinzione ex artt. 392 e 393 c.p.c. e non ai sensi dell’art. 129 disp. att. c.p.c. Sosteneva, inoltre, che sia ella che COGNOME NOME avevano riassunto il 22.3.2016, e quindi tempestivamente, il procedimento n.2282/1985 RG del Tribunale di Lecce, rispettando il termine di sei mesi dalla scadenza del termine annuale di riassunzione del giudizio di rinvio dopo la sentenza della Corte di cassazione del 30.9.2014, per cui, previa revoca della dichiarata estinzione, gli atti dovevano essere rimessi al giudice istruttore di quella causa per il prosieguo. In subordine chiedeva che la Corte d’Appello accogliesse le domande che ella aveva avanzato nella sua originaria comparsa di risposta.
COGNOME NOME proponeva appello incidentale, col quale aderiva all’appello principale, chiedendo in subordine l’accoglimento delle domande da lei avanzate con l’originaria comparsa di risposta. Proponevano appello incidentale anche gli eredi COGNOME, che oltre a chiedere il rigetto dell’appello principale ed a contestare la disposta compensazione delle spese processuali, domandavano l’estinzione per omessa riassunzione del giudizio di rinvio e l’accertamento della sopravvenuta inefficacia della sentenza non definitiva n. 1895/2003 del Tribunale di Lecce.
Si costituivano altresì COGNOME NOME e gli eredi di COGNOME NOME, che a loro volta chiedevano il rigetto dell’appello principale e aderivano all’appello incidentale degli eredi COGNOME.
Con la sentenza n. 589/2020 del 29.1/23.6.2020 la Corte d’Appello di Lecce rigettava l’appello principale di COGNOME NOME (e quindi anche l’appello incidentale adesivo di COGNOME NOME) e rigettava l’appello incidentale degli eredi COGNOME (e quindi anche l’appello incidentale adesivo di COGNOME NOME e degli eredi di COGNOME NOME) e compensava tra le parti le spese processuali del grado.
In particolare la Corte d’Appello di Lecce riconosceva che correttamente l’estinzione del procedimento n. 2282/1985 RG del Tribunale di Lecce era stata dichiarata dal Tribunale di Lecce in composizione collegiale ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c., in quanto il procedimento aveva ad oggetto la domanda di lesione di legittima formulata da COGNOME NOME, ed in quanto sia la domanda di estinzione degli eredi COGNOME, sia l’opposta richiesta di rigetto e di prosecuzione del giudizio perché tempestivamente riassunto erano state rivolte al Tribunale in composizione collegiale, il quale evidentemente non aveva potuto dichiarare invece l’estinzione ex art. 393 c.p.c., che sarebbe stata di competenza della Corte d’Appello di Bari, individuata dalla Corte di Cassazione come giudice di rinvio.
La Corte d’Appello escludeva poi, che il giudice di primo grado fosse incorso in extra petizione per avere applicato l’art. 129 bis disp. att. c.p.c., anziché l’invocato art. 393 c.p.c., in quanto comunque era stata richiesta dagli eredi COGNOME (con l’adesione di COGNOME NOME e degli eredi di COGNOME NOME) l’estinzione del giudizio di primo grado, e non del giudizio di rinvio, per la mancata tempestiva riassunzione del giudizio dopo la pronuncia della sentenza della Corte di Cassazione n. 20633/2014, ed al giudice competeva l’individuazione della norma correttamente applicabile alla fattispecie, tanto più che la questione della sussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 124 bis disp. att. c.p.c. era stata preventivamente sottoposta al contraddittorio delle parti.
La Corte d’Appello spiegava, poi, che a seguito dell’intervento della sentenza n.20633/2014 della Corte di cassazione, che aveva cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Bari la sentenza n. 487/2007 dell’1.6/9.7.2007 della Corte d’Appello di Lecce, inerente all’impugnazione della sentenza parziale del Tribunale di Lecce n. 1895/2003, le parti avevano da un lato l’onere di riassumere il giudizio in sede di rinvio, costituente un’autonoma fase, entro un
anno dalla pubblicazione della sentenza della Suprema Corte, onere il cui mancato assolvimento ai sensi dell’art. 393 c.p.c. determinava il travolgimento dell’attività processuale svolta e delle decisioni emesse nell’ambito del giudizio e non ancora passate in giudicato, fermo restando solo il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte; e dall’altro l’onere di riassumere ex art. 129 bis disp. att. c.p.c. il procedimento del Tribunale di Lecce n. 2282/1985 RG, che era stato sospeso, entro il termine di sei mesi dalla comunicazione della citata sentenza della Corte di cassazione (veniva menzionato in proposito il precedente di Cass. n.1700/1984). Riassunzione, quest’ultima, che in ogni caso risultava vanificata dall’estinzione dell’intero processo dovuta alla mancata prosecuzione in sede di rinvio secondo le indicazioni fornite dalla Corte di cassazione.
La Corte d’Appello affermava, poi, incidentalmente, in motivazione, che pur non potendo decidere sull’estinzione per mancata tempestiva riassunzione del giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 393 c.p.c., restava valido il principio che la sentenza non definitiva di primo grado, riformata in appello con sentenza poi cassata con rinvio, rimaneva caducata, senza possibilità di reviviscenza, per il suo intero contenuto, non più eseguibile ed insuscettibile di actio iudicati.
Avverso la sentenza n. 589/2020 della Corte d’Appello di Lecce, notificata il 29.6.2020, ha proposto tempestivo ricorso principale a questa Corte il 29.6.2020 COGNOME NOME, affidandosi a cinque motivi. Il 24.9.2020 COGNOME NOME ha notificato autonomo ricorso, da qualificarsi come incidentale, affidato a quattro motivi, mentre gli eredi COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME e NOME hanno notificato controricorso e ricorso incidentale in data 3.11.2020 con un unico motivo.
Sono rimasti intimati COGNOME NOME e gli eredi di COGNOME NOME (COGNOME NOME in proprio e quale tutrice di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME).
La Procura Generale, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, ha concluso per l’accoglimento del ricorso incidentale degli eredi COGNOME e per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale di COGNOME NOME.
Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la sola ricorrente principale ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
A) Col primo motivo del ricorso principale di COGNOME NOME, e col primo motivo del ricorso incidentale di COGNOME NOME, esaminabili congiuntamente per identità di censura, si lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. (e la ricorrente principale anche dell’art. 112 c.p.c.). Ci si duole che nell’intestazione della sentenza impugnata non figuri COGNOME NOME, né il nominativo del suo difensore, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, e che COGNOME NOME vi sia riportata contemporaneamente come appellante principale e come appellata ed appellante incidentale, con l’indicazione come legale della stessa dell’AVV_NOTAIO, ingenerandosi così incertezza assoluta sull’individuazione dei soggetti ai quali la decisione si riferisce.
I due motivi sono palesemente infondati, in quanto la sentenza impugnata pur riportando nell’intestazione, per mera svista, COGNOME NOME, anziché COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO come appellante (principale), e nuovamente COGNOME NOME come appellata ed appellante incidentale rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, a pagina 5 penultimo capoverso indica esattamente che l’appello principale è stato proposto il 5.10.2016 da COGNOME NOME, ed a pagina 6 capoverso che si è costituita con
comparsa del 2.1.2017 COGNOME NOME, che ha proposto appello incidentale adesivo all’appello principale. Nella motivazione sono stati, poi, esaminati congiuntamente l’appello principale di COGNOME NOME e l’appello incidentale adesivo di COGNOME NOME, nonché l’appello incidentale degli eredi COGNOME e l’appello incidentale ad esso adesivo di COGNOME NOME e degli eredi di COGNOME NOME. Pertanto, coordinando la motivazione col dispositivo, è evidente che sia l’appello principale, che tutti quelli incidentali, anche se per errore indicati al singolare nel dispositivo, sono stati respinti, senza che sia insorta incertezza sull’individuazione dei destinatari della decisione, e senza che sia stato menomato il diritto di difesa ed il contraddittorio degli appellati, non essendovi del resto alcuna doglianza sul fatto che siano state adottate dalla sentenza impugnata statuizioni che andavano in realtà riferite a parti diverse da quelle che di tali statuizioni sono state destinatarie, risolvendosi la doglianza in una censura di stile su un errore suscettibile di correzione.
Va quindi richiamata la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale ‘ l’omessa indicazione del nome di una delle parti, nell’intestazione della sentenza, ne comporta la nullità qualora sussista una situazione di incertezza assoluta, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intero provvedimento, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce ‘ (Cass. 23.5.2023 n. 14106; Cass. n.19437/2019; Cass. n. 22275/2017).
Quanto al fatto che nell’intestazione della sentenza impugnata non sia stato riportato il nominativo dell’AVV_NOTAIO costituito per COGNOME NOME (AVV_NOTAIO), si tratta di una mera svista emendabile con la procedura di correzione di errore materiale. Tale svista non determina nullità della sentenza impugnata, posto che l’art. 164 c.p.c. prevede la nullità dell’atto di citazione, e quindi della sentenza scaturita dal giudizio da essa introdotto, solo nel caso in cui sia omesso, o risulti assolutamente
incerto il nome e cognome dell’attore, o del convenuto (art. 163 n.2 c.p.c.), e non quando l’omissione, o l’incertezza assoluta si riferiscano al procuratore costituito ed all’indicazione della procura (art. 163 n. 6 c.p.c.), non essendo peraltro in contestazione che l’AVV_NOTAIO abbia agito in base a procura validamente conferita nel giudizio di appello per COGNOME NOME e che quest’ultima abbia regolarmente esercitato il diritto di difesa, essendo poi stata disposta per le spese processuali la compensazione fra tutte le parti.
B) Vanno poi esaminati congiuntamente, perché attinenti alla medesima censura, relativa alla competenza collegiale dell’organo giudicante che ha emesso la sentenza di primo grado, il quarto motivo del ricorso principale di COGNOME NOME, ed il secondo motivo del ricorso incidentale di COGNOME NOME, inerenti al fatto che la sentenza impugnata abbia confermato che il Tribunale in composizione collegiale, pronunciatosi in primo grado sull’estinzione, era competente ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c., in quanto COGNOME NOME aveva esercitato azione di riduzione per lesione di legittima avendo chiesto di accertare il suo diritto alla metà delle somme liquide e dei titoli, azione in realtà dalla stessa mai esercitata, ed essendo stata rivolta la domanda di estinzione del giudizio ed anche quella di prosecuzione al Tribunale di Lecce in composizione collegiale (la ricorrente principale deduce in proposito, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 50 bis c.p.c., mentre COGNOME NOME invoca, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 comma secondo n. 2 c.p.c.), e COGNOME NOME aggiunge anche che comunque la norma dell’art. 50 bis c.p.c. poteva valere per la pronuncia delle sentenze di merito, ma non per quella dell’estinzione ex artt. 125 bis e 129 disp. att. c.p.c., che competeva al giudice istruttore.
I motivi suddetti sono inammissibili, in quanto in base all’art. 50 quater c.p.c. le disposizioni degli articoli 50 bis e 50 ter c.p.c. sulla competenza del Tribunale in composizione collegiale, o monocratica, non si considerano attinenti alla costituzione del giudice e le nullità derivanti dalla loro inosservanza vanno fatte valere con i mezzi d’impugnazione, ed il giudice di secondo grado, anche quando ritenga sussistente la nullità denunciata, è tenuto a pronunciarsi nel merito, non rientrando la fattispecie tra quelle che consentano il rinvio al giudice di primo grado ex artt. 353 e 354 c.p.c. (vedi Cass. sez. un. n.24080/2008).
Ne deriva che, in considerazione dell’effetto sostitutivo della pronuncia della sentenza d’appello, e del principio secondo cui le nullità delle sentenze soggette ad appello si convertono in motivi di impugnazione, con la conseguenza che il giudice di secondo grado investito delle relative censure non può limitarsi a dichiarare la nullità ma deve decidere nel merito, non può essere denunciato in cassazione un vizio della sentenza di primo grado attinente alla composizione del Tribunale, che abbia pronunciato la sentenza impugnata, ritenuto insussistente dal giudice d’appello (vedi in tal senso Cass. 17.3.2023 n. 7814; Cass. 28.12.1996 n. 11537). Si noti, peraltro, che COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno lamentato la violazione dell’art. 50 bis c.p.c. senza nulla allegare in ordine all’influenza che la decisione sull’estinzione del Tribunale di Lecce in composizione collegiale, anziché monocratica, avrebbe avuto sull’esito del giudizio, o alla lesione del loro diritto di difesa, per cui anche sotto questo profilo la doglianza è inammissibile (vedi in tal senso Cass. n. 22235/2022; Cass. n. 4474/2022 in motivazione; Cass. n.1476/2007).
Vanno poi esaminati congiuntamente il secondo motivo del ricorso principale di COGNOME NOME e l’unico motivo del ricorso incidentale degli eredi COGNOME, in quanto attinenti alla medesima questione dell’esistenza, o meno, di una vera e propria statuizione
della sentenza impugnata, in ordine al giudicato che si sarebbe formato sulla sentenza parziale del Tribunale di Lecce n. 1895/2003, sui capi non espressamente appellati, o al contrario in ordine all’inefficacia totale di tale sentenza, a seguito della dichiarata estinzione del procedimento del Tribunale di Lecce n.2282/1985 RG.
Col secondo motivo del ricorso principale COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., dell’art. 324 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 391 bis comma 5° c.p.c., per non avere la Corte d’Appello considerato il giudicato formale già formatosi sulla sentenza parziale del Tribunale di Lecce n. 1895/2003 sui capi non espressamente appellati, enunciando nell’ultimo periodo di pagina 10 il principio di diritto che ‘ resta comunque valida l’affermazione in punto di diritto per cui la sentenza di primo grado non definitiva riformata in appello e cassata con rinvio, resta caducata senza possibilità di reviviscenza e resta caducata in tutto il suo contenuto in quanto non più eseguibile e insuscettibile di actio iudicati ‘.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale gli eredi COGNOME lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 393, 307 e 310 c.p.c.. Si dolgono gli eredi COGNOME che l’impugnata sentenza, pur avendo correttamente dichiarato di non essere competente ad accertare l’avvenuta estinzione ex art. 393 c.p.c. dell’intero processo e quindi anche del giudizio di rinvio, che doveva essere dichiarata dalla Corte d’Appello di Bari secondo le indicazioni della sentenza della Corte di cassazione n. 20633/2014, e pur avendo respinto l’appello incidentale degli eredi COGNOME al quale avevano aderito COGNOME NOME e gli eredi di COGNOME NOME, col quale si era chiesto anche di accertare la sopravvenuta inefficacia della sentenza parziale n. 1895/2003 del 14.6.2002/7.7.2003 del
Tribunale di Lecce a seguito dell’estinzione, in motivazione ha sostanzialmente accolto, ma in via solo teorica, quell’appello incidentale, riportando il principio di diritto sopra menzionato.
Gli eredi COGNOME ricordano, anzitutto, la differenza degli effetti che derivano dall’estinzione del giudizio di rinvio ex art. 393 c.p.c. (caducazione dell’intero processo, compresa la sentenza non definitiva impugnata), e dall’estinzione del giudizio di primo grado sospeso in attesa dell’esito dell’impugnazione in cassazione della sentenza di appello, che abbia riformato la sentenza parziale emessa in primo grado ex artt. 129 bis comma 1° disp. att. c.p.c. e 310 c.p.c. (caducazione degli atti compiuti ma non delle sentenze di merito pronunciate nel corso del processo).
Per superare, poi, il principio espresso dalla sentenza n. 2476/1973 di questa Corte, secondo il quale, a seguito della cassazione con rinvio, il giudice funzionalmente competente a conoscere della domanda tendente alla dichiarazione dell’avvenuta estinzione del processo per mancata riassunzione è lo stesso giudice del rinvio, gli eredi COGNOME invocano quella stessa sentenza, che ha consentito anche di far valere l’estinzione in via di azione ex novo in un separato giudizio, distinto da quello nell’ambito del quale sarebbe dovuta avvenire la riassunzione (nello stesso senso, sull’ammissibilità di un accertamento incidentale dell’estinzione in un giudizio diverso da quello in cui la riassunzione doveva avvenire, citano Cass. 5.12.2012 n. 21772; Cass. 27.8.2004 n.17121; Cass. 12.1.1988 n. 122), sottolineando che nella specie le parti avrebbero sostanzialmente ammesso la sussistenza dei presupposti di fatto dell’estinzione dell’intero processo.
Ritengono, quindi, gli eredi COGNOME che, per evitare incertezze e garantire la ragionevole durata del processo, la Corte d’Appello di Lecce, investita dell’appello incidentale degli eredi COGNOME al quale avevano aderito COGNOME NOME e gli eredi di COGNOME NOME, volto ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della
sentenza parziale n. 1895/2003 del 14.6.2002/7.7.2003 del Tribunale di Lecce, avrebbe dovuto accertare incidentalmente l’estinzione dell’intero giudizio per mancata riassunzione con gli effetti previsti dall’art. 393 c.p.c., pur dichiarando espressamente l’estinzione solo ai sensi degli articoli 319 e 129 bis disp. att. c.p.c., con conseguente inammissibilità di un’ actio iudicati basata sulla suddetta sentenza parziale, da ritenere ormai travolta per effetto dell’estinzione.
I suddetti due motivi sono inammissibili per difetto di interesse, in quanto si appuntano su un mero obiter dictum, del tutto inidoneo ad incidere con efficacia di giudicato sulla posizione delle parti, della sentenza impugnata, che prima di richiamare il suddetto principio di diritto, ha rimarcato che in ordine agli effetti della mancata riassunzione del giudizio di rinvio (davanti alla Corte d’Appello di Bari indicata come giudice di rinvio dalla sentenza della Corte di Cassazione n.20633/2014), non poteva pronunciare l’estinzione ex art. 393 c.p.c.. Del resto, la Corte distrettuale, non solo nel dispositivo della sentenza impugnata si è ben guardata dal pronunciarsi sugli effetti dell’estinzione del giudizio di rinvio, di competenza della Corte d’Appello di Bari, rigettando l’appello incidentale degli eredi COGNOME e l’appello incidentale adesivo di COGNOME NOME e degli eredi di COGNOME NOME, ma avendo confermato in secondo grado l’estinzione del procedimento del Tribunale di Lecce n.2282/1985 RG, già dichiarata, in relazione alla previsione dell’art. 129 bis comma 2° disp. att. c.p.c., non aveva alcun potere di pronunciarsi su qualsivoglia altra questione, come quella degli effetti prodotti dall’estinzione per mancata tempestiva riassunzione del giudizio di rinvio.
Occorre aggiungere che la proposizione dell’appello sul punto di COGNOME NOME non vale certo ad attribuire a tale obiter dictum natura di accertamento, questo potendo essere oggetto soltanto di un nuovo e separato giudizio in cui venga in rilievo
l’esistenza a favore dell’una o dell’altra parte di un giudicato spendibile.
D) Vanno poi esaminati congiuntamente, perché comunque attinenti alla motivazione addotta dalla sentenza impugnata, a giustificazione della conferma dell’estinzione del procedimento del Tribunale di Lecce n. 2282/1985 RG, per mancata riassunzione, entro il termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza che aveva definito in cassazione il giudizio sull’appello immediato, che aveva dato luogo alla sospensione di quel procedimento, il terzo ed il quinto motivo del ricorso principale di COGNOME NOME, ed il terzo e quarto motivo del ricorso incidentale di COGNOME NOME, il cui quinto motivo, recante solo la rubrica (‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 383, 392, 393 c.p.c.; degli artt. 125 e 129 bis c.p.c. – rectius disp. att. c.p.c. – in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. ‘), e non l’illustrazione delle ragioni che si volevano far valere, è invece palesemente inammissibile per incompletezza.
Col terzo motivo la ricorrente principale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 129 bis disp. att. c.p.c. quanto alla decorrenza del termine ivi previsto per la riassunzione del giudizio sospeso, ed in relazione all’art. 360 comma primo n.4) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciarsi sulla sua doglianza relativa alla mancata comunicazione personale alla contumace, COGNOME NOME, della sentenza della Corte di Cassazione n. 20633/2014, ed alla conseguente impossibilità di fare decorrere per lei il termine di riassunzione del giudizio sospeso e di dichiarare estinto il procedimento del Tribunale di Lecce n.2282/1985 RG.
Col quinto motivo la ricorrente principale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 383, 392 e 393 c.p.c. e degli articoli 125 e 129 bis (disp. att.) c.p.c.. Si duole COGNOME NOME che
l’impugnata sentenza, dopo avere riconosciuto la competenza della Corte d’Appello di Bari, quale giudice di rinvio individuato dalla Corte di Cassazione, a pronunciarsi sull’estinzione del giudizio di rinvio, avrebbe però considerato corretta la dichiarazione di estinzione dell’intero giudizio effettuata dal Tribunale di Lecce, che in realtà in base all’art. 393 c.p.c. discende solo dall’estinzione del giudizio di rinvio. Ulteriormente lamenta COGNOME NOME che non sia stata accolta la sua doglianza relativa all’ultrapetizione, per essere stata dichiarata l’estinzione ex art. 129 bis disp. att. c.p.c., anziché, come era stato richiesto dagli eredi COGNOME e da COGNOME NOME e dagli eredi di COGNOME NOME, ex artt. 392 e ss. c.p.c., e si duole nuovamente del fatto che l’estinzione sia stata dichiarata dal Tribunale di Lecce in composizione collegiale, anziché, come disposto dall’art. 129 disp. att. c.p.c., dal giudice istruttore.
Col terzo motivo del ricorso incidentale COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 383, 392 e 393 c.p.c. e degli articoli 125 (bis) e 129 bis (disp. att.) c.p.c., e sostiene che la Corte d’Appello di Lecce contraddittoriamente, dopo avere riconosciuto che l’estinzione del giudizio di rinvio poteva essere dichiarata solo dalla Corte d’Appello di Bari, aveva confermato la dichiarazione di estinzione dell’intero giudizio compiuta dal Tribunale di Lecce in composizione collegiale. Si duole altresì COGNOME NOME che la Corte d’Appello abbia escluso l’ultrapetizione del giudice di primo grado per avere dichiarato l’estinzione ex art. 129 disp. att. c.p.c. anziché in base agli articoli 392 e 393 c.p.c. invocati, per essere rimasto immutato il risultato richiesto, in quanto in realtà la dichiarazione di estinzione ex art. 129 disp. att. c.p.c. competeva al giudice istruttore e non al collegio, e l’estinzione del procedimento del Tribunale di Lecce
n.2282/1985 RG non poteva essere dichiarata senza la previa dichiarazione di estinzione del giudizio di rinvio.
Col quarto motivo di ricorso incidentale COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 383, 392 e 393 c.p.c. e degli articoli 125 (bis) e 129 bis (disp. att.) c.p.c. Si duole COGNOME NOME, che l’impugnata sentenza abbia fatto decorrere il termine per la riassunzione del procedimento del Tribunale di Lecce n. 2282/1985 RG, che era stato sospeso in attesa dell’esito del ricorso in cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce, che aveva parzialmente riformato la sentenza parziale del Tribunale di Lecce n. 1895/2003, dalla sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, non essendovi distinzione all’art. 129 bis comma 2° disp. att. c.p.c. tra le ipotesi di cassazione con rinvio, o senza rinvio, e che non abbia considerato che la riassunzione del giudizio sospeso poteva avvenire solo dopo che era scaduto il termine per la riassunzione del giudizio di rinvio, dovendosi quindi ritenere tempestiva la riassunzione del procedimento del Tribunale di Lecce n.2282/1985 RG effettuata il 22/23.3.2016, in quanto il termine relativo doveva a suo avviso decorrere dalla scadenza del termine di riassunzione del giudizio di rinvio.
Va premesso che sulla reiterata doglianza della ricorrente principale inerente alla pronuncia dell’estinzione da parte del Tribunale in composizione collegiale, anziché da parte del giudice istruttore, si rinvia alla trattazione del punto B) (pagine 9-11 di questa sentenza), e che é inammissibile la doglianza inerente all’ultrapetizione, in quanto si riferisce alla sentenza di primo grado, e non si confronta con la motivazione sul punto addotta dall’impugnata sentenza, già riportata alla pagina 6 terzo capoverso di questa sentenza.
Quanto alla doglianza della ricorrente principale inerente alla mancata prova della comunicazione, a COGNOME NOME personalmente, della sentenza della Corte di Cassazione n.20633/2014, che ha cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Bari la sentenza della Corte d’Appello di Lecce, che aveva riformato la sentenza parziale del Tribunale di Lecce n. 1895/2003, ed alla conseguente mancata decorrenza nei suoi confronti del termine per la riassunzione del procedimento del Tribunale di Lecce n.2282/1985 RG, che era stato sospeso in attesa dell’esito del giudizio di cassazione, con conseguente impossibilità di dichiarare l’estinzione di quel procedimento ex art. 129 bis comma 2° disp. att. c.p.c. per decorso del termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza di cassazione, il motivo deve ritenersi inammissibile. Ed invero, COGNOME NOME, intimata nel giudizio di cassazione conclusosi con la sentenza n. 20633/2014, non ha indicato in quale grado ed in quale atto processuale avrebbe per la prima volta lamentato la mancata comunicazione personale di quella sentenza (secondo gli eredi COGNOME per la prima volta nella comparsa conclusionale del giudizio di appello sfociato nella sentenza impugnata in questa sede), che al più tardi avrebbe dovuto far valere come motivo d’impugnazione contro la sentenza del Tribunale di Lecce in composizione collegiale n. 3490 del 14.7.2016, riguardando essa l’insussistenza di uno dei requisiti per la dichiarazione di estinzione da quella pronunciata ex art. 129 bis comma 2° disp. att. c.p.c. e comportando accertamenti in fatto sulla comunicazione, oltre che in diritto.
La doglianza, peraltro, è anche manifestamente infondata in diritto, in quanto non essendo ipotizzabile, che il giudizio di primo grado sospeso in attesa dell’esito del giudizio di cassazione relativo all’impugnazione della sentenza di appello che abbia riformato la sentenza parziale di primo grado, resti in stato di quiescenza a tempo indeterminato quando nel giudizio di cassazione vi siano
parti del giudizio di primo grado che siano rimaste intimate, e che notoriamente non ricevono alcuna comunicazione della sentenza conclusiva dalla cancelleria di questa Corte, il riferimento dell’art. 129 bis comma 2° disp. att. c.p.c., ai fini della decorrenza del termine di sei mesi per la riassunzione del giudizio sospeso, va fatto alla comunicazione della sentenza della Corte di Cassazione per le parti che si sono difese nel giudizio di legittimità, ma alla pubblicazione della sentenza medesima per le parti che siano rimaste intimate, che ben possono conoscere tale evento con l’uso dell’ordinaria diligenza, e non possono fare ricadere sulle altre parti conseguenze negative della loro scelta di non partecipare al giudizio di legittimità (vedi in tal senso nella situazione analoga che si verifica in ipotesi di regolamento di giurisdizione Cass. ord. 20.3.2010 n. 6823; Cass. n.18795/2007; Cass. sez. lav. 21.5.2003 n. 8024; Cass. sez. lav. 24.10.1995 n. 11047; Cass. 22.1.1980 n.488).
Nel merito, i motivi sopra elencati sono infondati, in quanto, premesso che non vi è alcuna norma che ponga come pregiudiziale la dichiarazione di estinzione del giudizio di rinvio rispetto all’estinzione del giudizio sospeso ai sensi dell’art. 129 bis disp. att. c.p.c., la Corte d’Appello di Lecce ha correttamente confermato la dichiarazione di estinzione ex art. 129 bis comma 2° disp. att. c.p.c. del solo procedimento del Tribunale di Lecce in cui era stata emessa la sentenza parziale immediatamente impugnata, perché sospeso e non riassunto entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza della Suprema Corte, che aveva cassato con rinvio la pronuncia di secondo grado, che aveva parzialmente riformato la sentenza parziale, e non ha invece dichiarato l’estinzione dell’intero giudizio per mancata tempestiva riassunzione del giudizio di rinvio ex art. 393 c.p.c. di competenza della Corte d’Appello di Bari. L’art. 129 bis disp. att. c.p.c. non prevede alcuna concatenazione con l’esito di rito, o di merito del giudizio di rinvio, né con l’inutile
decorrenza del distinto termine di riassunzione del giudizio di rinvio dopo la pronuncia della Corte di Cassazione, stabilendo senza possibilità di fraintendimenti, che il termine di sei mesi per la riassunzione del giudizio sospeso, decorre comunque dalla comunicazione (nel senso sopra precisato per le parti intimate) della sentenza della Corte di Cassazione, indipendentemente dal fatto che sia stato disposto il rinvio ad altro giudice, o che si sia trattato di una cassazione senza rinvio.
Del resto nell’unico risalente, ma insuperato precedente specifico, rinvenuto (Cass. 12.3.1984 n. 1700), si é affermato che ‘ qualora, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che abbia riformato una pronuncia non definitiva del primo giudice, il procedimento di primo grado sia stato sospeso a norma dell’art. 129-bis disp. att. c.p.c., la mancata riassunzione di tale procedimento di primo grado, nel prescritto termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza che accoglie il ricorso, non spiega effetti estintivi sul giudizio di rinvio, che sia stato tempestivamente instaurato a norma dell’art. 392 c.p.c .’.
A conferma poi della correttezza della decisione adottata, esclusi gli obiter dicta , va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale ‘ Il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della decisione di appello per motivi di merito costituisce una nuova ed autonoma fase del processo di natura rescissoria, destinata a concludersi con una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, statuisce per la prima volta sulle domande delle parti e non necessita di alcun impulso ulteriore da parte dell’originario appellante, la cui contumacia in quella sede, una volta riassunto il procedimento ad opera dell’interessato, non determina l’improseguibilità dell’appello, né il passaggio in giudicato delle sentenza di primo grado’ (Cass. 5.8.2022 n. 24372; Cass. 31.5.2021 n. 151143; Cass. 20.4.2017 n. 10009), per cui costituendo il giudizio di rinvio un’autonoma fase
del processo, non può ricollegarsi alla sua mancata riassunzione ex art. 393 c.p.c. la decorrenza dell’autonomo termine di riassunzione previsto dall’art. 129 bis comma 2° disp. att. c.p.c. per il giudizio di primo grado che sia rimasto sospeso dopo la pronuncia e l’impugnazione immediata della sentenza parziale riformata in secondo grado.
La soccombenza reciproca delle parti giustifica la compensazione tra loro delle spese processuali.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso principale ed il ricorso incidentale di COGNOME NOME, dichiara inammissibile il ricorso incidentale degli eredi COGNOME e compensa tra le parti le spese processuali.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n.115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 17.12.2024