Estinzione del Processo per Rinuncia: Analisi di un Decreto della Cassazione
L’estinzione del processo è un esito non infrequente nei procedimenti giudiziari, che si verifica quando la causa si conclude senza una decisione sul merito. Una delle cause più comuni è la rinuncia al ricorso da parte di chi lo ha promosso. Un recente decreto della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, offre un chiaro esempio delle conseguenze di tale scelta, in particolare per quanto riguarda la condanna alle spese legali. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.
I Fatti di Causa: Dal Giudizio d’Appello alla Rinuncia in Cassazione
La vicenda trae origine da una controversia di lavoro. Una società operante nel settore dei trasporti ferroviari aveva impugnato, davanti alla Corte di Cassazione, una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano. La controparte era un suo ex dipendente. Tuttavia, nel corso del giudizio di legittimità, la società ricorrente ha cambiato strategia, decidendo di rinunciare al ricorso precedentemente presentato. La documentazione attestante tale rinuncia è stata regolarmente prodotta in giudizio e comunicata alla controparte, come previsto dalla normativa processuale.
La Decisione della Corte: L’Estinzione del Processo e la Condanna alle Spese
Preso atto della rinuncia, la Corte di Cassazione ha agito in conformità con quanto stabilito dal codice di procedura civile. La conseguenza diretta e inevitabile della rinuncia è stata la declaratoria di estinzione del processo. Questo significa che il giudizio si è concluso formalmente senza che la Corte entrasse nel merito delle questioni sollevate nel ricorso.
Contestualmente, la Corte ha provveduto a regolare le spese del giudizio di legittimità. La società ricorrente, in quanto parte che ha rinunciato all’azione, è stata condannata a rimborsare le spese legali sostenute dalla controparte. L’importo è stato liquidato in € 2.500,00 per compensi professionali e € 200,00 per esborsi, a cui si aggiungono le spese generali (nella misura del 15%) e gli altri accessori di legge. La Corte ha inoltre disposto la “distrazione” delle spese a favore del legale del controricorrente.
Le motivazioni
La decisione della Corte si fonda sull’applicazione diretta degli articoli 390 e 391 del codice di procedura civile. L’articolo 390 c.p.c. disciplina la rinuncia al ricorso, stabilendo che la parte può rinunciarvi finché non sia cominciata la relazione all’udienza o la discussione. L’articolo 391 c.p.c. regola le conseguenze della rinuncia, prevedendo che il giudice dichiari l’estinzione del processo e condanni la parte rinunciante al pagamento delle spese, salvo diverso accordo tra le parti. Nel caso di specie, la Corte ha semplicemente verificato la sussistenza dei presupposti formali – la rinuncia e la sua comunicazione – e ha applicato la disciplina legale sulle spese, liquidandole secondo i parametri vigenti.
Conclusioni
Questo decreto, pur nella sua apparente semplicità, ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: la scelta di intraprendere un’azione legale, così come quella di abbandonarla, comporta precise responsabilità, soprattutto di natura economica. La rinuncia al ricorso, sebbene sia un diritto della parte, determina l’automatica estinzione del processo e, di regola, la condanna al pagamento delle spese legali della controparte. Questa decisione serve da monito sull’importanza di ponderare attentamente ogni passo processuale, poiché le conseguenze economiche possono essere significative, anche quando si decide di non proseguire nel contenzioso.
Cosa succede se la parte che ha proposto un ricorso decide di rinunciarvi?
La Corte, una volta ricevuta la documentazione che attesta la rinuncia e verificata la sua comunicazione alla controparte, dichiara l’estinzione del processo, chiudendo così il procedimento senza una decisione nel merito.
Chi paga le spese legali in caso di estinzione del processo per rinuncia?
Salvo diverso accordo tra le parti, la parte che rinuncia al ricorso è condannata a pagare le spese legali del giudizio sostenute dalla controparte. Questo principio è stabilito dall’articolo 391 del codice di procedura civile.
Qual è l’importo che la parte ricorrente è stata condannata a pagare in questo caso?
La ricorrente è stata condannata a pagare un totale di € 2.700,00 (€ 2.500,00 per compensi professionali e € 200,00 per esborsi), oltre al 15% per spese generali e agli accessori di legge, con distrazione a favore dell’avvocato della controparte.
Testo del provvedimento
Decreto di Cassazione Civile Sez. L Num. 22075 Anno 2025
Civile Decr. Sez. L Num. 22075 Anno 2025
Presidente:
Relatore:
Data pubblicazione: 31/07/2025
nella causa vertente tra:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME domicilio digitale ; giusta procura in atti;
ricorrente
contro
COGNOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME domicilio digitale ; giusta procura in atti;
contro
ricorrente
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, n. 1110-2023, depositata il 27.12.2023, N.R.G. 856-2023;
Rilevato che dalla documentazione prodotta risulta rinuncia di parte ricorrente e che la stessa è stata comunicata alla controparte;
P.Q.M.
Visti gli articoli 390 e 391 c.p.c., dichiara estinto il processo. Condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 2500,00 per compensi professionali e in € 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione.
Dispone che del presente decreto sia data comunicazione ai difensori delle parti costituite e li avvisa che nel termine di dieci giorni dalla comunicazione possono chiedere che sia fissata l’udienza.
Roma, 29.7.2025