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Estinzione del processo: rinuncia e accordo transattivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’estinzione del processo a seguito di un accordo transattivo tra le parti. La società ricorrente ha rinunciato al ricorso, e la controparte ha accettato. La Corte ha stabilito che, in caso di estinzione del processo per rinuncia, la parte che ha impugnato non è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, poiché la declaratoria di estinzione non equivale a una soccombenza.

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Estinzione del processo: quando un accordo chiude la causa senza costi aggiuntivi

L’estinzione del processo è un esito non infrequente nel contenzioso civile, specialmente quando le parti trovano un’intesa al di fuori delle aule di tribunale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un importante aspetto economico legato a questa eventualità: la non applicabilità del raddoppio del contributo unificato in caso di rinuncia al ricorso a seguito di un accordo transattivo. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne la portata pratica.

Il caso: dalla richiesta di risoluzione del concordato all’accordo in Cassazione

La vicenda trae origine da una controversia in materia fallimentare. Una società (la ricorrente) aveva richiesto la risoluzione di un concordato preventivo di un’altra azienda (la controricorrente). La sua domanda era stata rigettata sia in primo grado dal Tribunale sia in secondo grado dalla Corte d’Appello.

Non soddisfatta delle decisioni dei giudici di merito, la società aveva deciso di proseguire la propria battaglia legale presentando un ricorso per Cassazione, basato su presunte violazioni di legge. La società controricorrente si era costituita in giudizio per difendere le proprie ragioni.

Tuttavia, prima che la Suprema Corte potesse esaminare il caso nel merito, è intervenuto un fatto nuovo e decisivo: le due società hanno raggiunto un accordo transattivo per porre fine alla disputa. Conseguentemente, la società ricorrente ha depositato un atto di rinuncia al ricorso, che è stato prontamente accettato dalla controparte.

Le motivazioni dell’estinzione del processo

Di fronte alla rinuncia e alla sua accettazione, la Corte di Cassazione non ha potuto far altro che prendere atto della volontà delle parti di terminare il contenzioso. La Corte ha applicato l’articolo 391, primo comma, del codice di procedura civile, che disciplina proprio l’estinzione del processo in caso di rinuncia. La decisione si fonda su due pilastri fondamentali.

La volontà delle parti e l’accordo transattivo

Il primo punto è la formalizzazione dell’intesa. L’accordo transattivo, sottoscritto dai legali muniti di apposita procura, ha rimosso la materia del contendere. La rinuncia al ricorso è stata la naturale conseguenza processuale di tale accordo, e l’accettazione della controparte ha completato il quadro, rendendo l’estinzione inevitabile e corretta dal punto di vista procedurale. In questi casi, il processo si chiude senza che il giudice entri nel merito delle questioni sollevate.

Le conseguenze economiche: nessun raddoppio del contributo unificato

Il secondo e più significativo aspetto chiarito dall’ordinanza riguarda le spese. La Corte ha escluso l’applicazione dell’articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115/2002. Questa norma prevede che la parte che ha proposto un’impugnazione poi respinta, dichiarata inammissibile o improcedibile, debba versare un ulteriore importo pari a quello del contributo unificato già pagato. È il cosiddetto “raddoppio del contributo”.

La Cassazione, richiamando un suo precedente orientamento (sentenza n. 25485 del 2018), ha ribadito un principio cruciale: la declaratoria di estinzione del processo non equivale a una soccombenza. La parte che rinuncia non è una parte “non vittoriosa” nel senso inteso dalla norma. L’estinzione è un esito neutro che deriva dalla volontà congiunta delle parti di non proseguire il giudizio, non da una valutazione negativa del ricorso da parte del giudice. Pertanto, l’obbligo di versare la somma aggiuntiva non sorge.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che la via della transazione è sempre percorribile, anche nel corso del giudizio di Cassazione, e rappresenta uno strumento efficace per chiudere definitivamente una lite. In secondo luogo, e soprattutto, chiarisce che la scelta di un accordo, seguita da una rinuncia formale al ricorso, ha un vantaggio economico non trascurabile: evita alla parte ricorrente il rischio di dover pagare il raddoppio del contributo unificato. Si tratta di un incentivo implicito alla risoluzione concordata delle controversie, che permette alle parti di terminare il contenzioso in modo certo e con costi prevedibili, senza attendere una decisione dall’esito incerto e potenzialmente più oneroso.

Cosa succede a un processo in Cassazione se le parti raggiungono un accordo?
Se le parti raggiungono un accordo transattivo, la parte che ha fatto ricorso può presentare un atto di rinuncia. Se la controparte accetta la rinuncia, la Corte di Cassazione dichiara l’estinzione del processo, chiudendolo definitivamente senza una decisione nel merito.

Se rinuncio al mio ricorso in Cassazione dopo un accordo, devo pagare il raddoppio del contributo unificato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la declaratoria di estinzione del giudizio per rinuncia accettata esclude l’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002. La rinuncia non viene considerata una soccombenza, quindi non scatta l’obbligo di pagare l’ulteriore importo.

Quali sono i requisiti formali per l’estinzione del processo per rinuncia in Cassazione?
È necessario che la parte ricorrente depositi un atto formale di rinuncia e che tale rinuncia sia accettata dalla controparte costituitasi in giudizio. Entrambi gli atti devono essere compiuti da difensori muniti dei poteri necessari, come una procura speciale che li autorizzi a compiere tali atti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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