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Estinzione del giudizio: silenzio dopo la proposta

La Corte di Cassazione dichiara l’estinzione del giudizio promosso da una Cassa di Previdenza contro un professionista. La decisione si fonda sulla mancata richiesta di trattazione da parte della ricorrente entro 40 giorni dalla comunicazione della proposta di definizione, un silenzio che la legge interpreta come rinuncia. Non si provvede sulle spese a causa del tardivo deposito del controricorso.

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Pubblicato il 1 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Estinzione del Giudizio: Quando il Silenzio in Cassazione Equivale a una Rinuncia

Nel complesso mondo della procedura civile, esistono meccanismi volti a snellire i processi, specialmente nell’ultimo grado di giudizio. Uno di questi è la proposta di definizione del relatore in Cassazione, disciplinata dall’art. 380-bis del codice di procedura civile. Un recente decreto della Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’inerzia della parte ricorrente di fronte a tale proposta porta all’estinzione del giudizio. Analizziamo insieme questo caso per capire le dinamiche e le conseguenze pratiche di questa regola.

I Fatti del Caso: dalla Corte d’Appello alla Cassazione

Una Cassa di Previdenza professionale aveva impugnato davanti alla Corte di Cassazione una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano, a lei sfavorevole, in una causa contro un proprio iscritto. Una volta avviato il procedimento in Cassazione, il consigliere relatore, esaminati gli atti, ha formulato una proposta per una rapida definizione del giudizio, comunicandola ai difensori di entrambe le parti.

La legge, in questi casi, prevede un passaggio cruciale: la parte ricorrente, se intende proseguire e ottenere una decisione nel merito, deve presentare un’istanza di decisione entro quaranta giorni dalla comunicazione. In questo specifico caso, la Cassa di Previdenza non ha compiuto alcun atto, lasciando decorrere il termine.

La Procedura dell’Art. 380-bis e l’Estinzione del Giudizio

L’articolo 380-bis del codice di procedura civile è stato introdotto per deflazionare il carico di lavoro della Corte di Cassazione. Prevede che, quando un ricorso appare inammissibile, improcedibile o manifestamente infondato (o fondato), il relatore possa formulare una proposta motivata. Le parti hanno quindi la facoltà di chiedere la discussione in udienza.

La norma stabilisce chiaramente che, se il ricorrente non deposita l’istanza di decisione entro il termine perentorio di quaranta giorni, il suo ricorso si intende rinunciato. Questa presunzione di rinuncia non ammette prova contraria e determina automaticamente una conseguenza drastica: l’estinzione del giudizio.

La Decisione della Suprema Corte

La Rinuncia Tacita al Ricorso

Prendendo atto del silenzio della Cassa di Previdenza, la Corte di Cassazione ha applicato alla lettera la disposizione normativa. Ha considerato il ricorso come rinunciato e, di conseguenza, ha emesso un decreto con cui ha dichiarato l’estinzione dell’intero procedimento. Questo significa che il processo si è chiuso definitivamente senza che la Corte entrasse nel merito delle questioni sollevate nel ricorso.

La Gestione delle Spese Legali

Un aspetto interessante del decreto riguarda la decisione sulle spese legali. Di norma, la parte che soccombe o il cui ricorso viene dichiarato estinto è condannata a rimborsare le spese legali alla controparte. In questo caso, però, la Corte non ha provveduto in tal senso. La ragione risiede in un errore procedurale della parte resistente (il professionista).

Il suo controricorso, infatti, era stato depositato tardivamente, ben oltre il termine di quaranta giorni dalla notifica del ricorso principale, come previsto dall’art. 370 c.p.c. Poiché il controricorso era inammissibile per tardività, la Corte ha ritenuto che non vi fosse luogo a provvedere sulle spese, lasciando di fatto a carico di ciascuna parte le proprie.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte sono puramente procedurali e si basano su una logica di efficienza processuale. Il legislatore, attraverso l’art. 380-bis c.p.c., ha inteso creare una ‘finestra’ in cui il ricorrente, di fronte a una proposta che prefigura un esito a lui sfavorevole, può valutare se sia opportuno insistere. Il suo silenzio viene interpretato come una presa d’atto delle scarse probabilità di successo e, quindi, come una rinuncia implicita a proseguire. La finalità è quella di evitare udienze e decisioni superflue per ricorsi palesemente destinati al rigetto. La declaratoria di estinzione è, pertanto, l’effetto automatico e necessitato previsto dall’art. 391 c.p.c. in caso di rinuncia.

Le Conclusioni

Questo decreto offre due importanti lezioni pratiche. La prima è che nel giudizio di Cassazione i termini procedurali sono perentori e l’inattività può avere conseguenze definitive come l’estinzione del giudizio. Il silenzio non è mai neutro. La seconda è che anche la parte resistente deve prestare la massima attenzione ai termini: un controricorso tardivo, sebbene non impedisca la partecipazione alla discussione, preclude la possibilità di ottenere la condanna della controparte al pagamento delle spese legali, anche in caso di esito favorevole.

Cosa accade se la parte ricorrente in Cassazione non risponde alla proposta di definizione del giudizio entro i termini?
La legge interpreta il suo silenzio come una rinuncia tacita al ricorso. Di conseguenza, il processo si chiude con un decreto che dichiara l’estinzione del giudizio, senza una decisione sul merito della questione.

Perché, in questo caso, non c’è stata una condanna al pagamento delle spese legali a carico della parte ricorrente?
Non vi è stata condanna alle spese perché la parte controricorrente aveva depositato il proprio atto difensivo (il controricorso) in ritardo rispetto al termine di quaranta giorni previsto dalla legge. La tardività del controricorso ha impedito alla Corte di provvedere sulla liquidazione delle spese.

Qual è l’effetto principale dell’estinzione del giudizio dichiarata in questo decreto?
L’effetto principale è che il processo di Cassazione si conclude definitivamente. Questo comporta che la sentenza impugnata, emessa dalla Corte d’Appello, diventa definitiva e non più modificabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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