Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 990 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 990 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13108 – 2020 proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’ avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
TESTA NOME
– intimato – avverso la sentenza n. 291/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA , pubblicata il 14/12/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’11 /12/2024 dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 1/12/2006, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio dinnanzi al Tribunale di Avezzano NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo fosse dichiarato da loro usucapito il terreno sito in Avezzano descritto in catasto terreni alla partita 10736 foglio 54 particella 1096 di proprietà di COGNOME NOME.
Con sentenza numero 431 del 2012 il giudice adito accolse la domanda.
Soltanto NOME COGNOME propose appello, lamentando la nullità della sentenza di primo grado perché resa in difetto del contraddittorio con NOME COGNOME sua coniuge in regime di comunione legale e perciò comproprietaria del terreno in oggetto.
Il giudizio di appello fu interrotto per morte di NOME COGNOME come dichiarata dal suo difensore, e riassunto nei confronti dei soli eredi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e non degli altri eredi NOME COGNOME e NOME COGNOME.
e contro
2.1. Con sentenza 291 del 2020, la Corte d’Appello, preso atto che dal titolo di acquisto risultava il regime di comunione legale di NOME COGNOME con NOME COGNOME dichiarò la nullità della sentenza e rimise la causa al primo giudice per integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultima .
Avverso questa sentenza NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi, a cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso. NOME COGNOME non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in relazione al numero 3 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME hanno denunciato la violazione e falsa applicazione degli articoli 291, 393, 305, 307 e 154 cod. proc. civ., per non avere la Corte d’Appello dichiarato l’estinzione del giudizio di secondo grado in conseguenza della mancata notificazione dell’atto di riassunzione, nel termine perentorio ex art. 291 cod. proc. civ., fissato dal collegio con ordinanza del 13/3/2019, a NOME COGNOME e NOME COGNOME litisconsorti necessari in quanto coeredi di NOME COGNOME.
1.2. Con il secondo motivo, articolato in relazione al numero 4 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno eccepito la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli art. 112 e 113 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sull’eccezione di estinzione per mancata notifica del ricorso nel termine perentorio assegnato con ordinanza del 13/3/2019.
1.3. Con il terzo motivo, articolato in relazione al numero 5 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno infine prospettato la violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 comma
2 numero 4 cod. proc. civ., per l’omessa motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio.
I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono in parte inammissibili per loro prospettazione e in parte infondati.
Innanzitutto, quanto al secondo e al terzo motivo, deve qui ribadirsi che, per principio consolidato, il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non già nel caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito; pertanto, se il giudice omette di esaminare esplicitamente una questione di rito aven te carattere pregiudiziale, nella specie l’eccezione di estinzione, procedendo alla decisione della causa, non può in ogni caso ricorrere una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ma, eventualmente, una nullità della decisione, propria o derivata, se e in quanto sia errata la soluzione che egli ha implicitamente dato alla questione sollevata dalla parte, non considerandola rilevante (ex plurimis Cass. Sez. 1, n. 10073 del 25/06/2003; Sez. 3, n. 1701 del 23/01/2009; Sez. 1, n. 22083 del 26/09/2013; Sez. 2, n. 1876 del 25/01/2018).
In conseguenza, è necessario accertare se le questioni implicitamente definite – e con questo si viene propriamente all’oggetto del primo motivo – siano state o non decise secondo diritto.
2.1. Preliminarmente, deve allora prendersi atto che il presente giudizio è iniziato con citazione del 1/12/2006; conseguentemente, si applica alla fattispecie, ratione temporis, l’art. 307 cod. proc. civ. nella formulazione precedente le modifiche dispost e dall’art. 46, comma 15, lett. a), b) e c) della legge n. 69/2009: ai sensi dell’art. 58 comma 1 della stessa legge, infatti, le disposizioni che modificavano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di
procedura civile si applicavano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, cioè dopo il 4/7/2009; per «instaurato», infatti, si intende il giudizio «iniziato» dopo il 4/7/09, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (così, ex plurimis , Cass. Sez. 3, n. 5608 del 07/03/2017; Sez. 6 – 3, n. 37750 del 01/12/2021).
Ciò precisato, deve ancora puntualizzarsi che, come chiarito da questa Corte, verificatasi una causa d’interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata edictio actionis da quello della vocatio in ius , il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 cod. proc. civ. nella formulazione pure applicabile ratione temporis , è riferibile soltanto al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicché, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius .
Ne consegue che il vizio da cui sia colpita la notifica dell’atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice di ordinare, anche qualora sia già decorso il (diverso) termine di cui all’art. 305 cod.proc. civ., la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione dell’art. 291 cod. proc. civ., entro un ulteriore termine necessariamente perentorio, il cui mancato rispetto può determinare l’estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291, comma 3, e del successivo art. 307, comma 3, cod. proc. civ..
Nella fattispecie, allora, sarebbe stato effettivamente il mancato rispetto del termine perentorio assegnato ex art. 291 cod. proc. civ. che avrebbe potuto determinare l’estinzione ex art. 307 cod. comma III proc. civ..
Quel che tuttavia deve ancora considerarsi è che l’estinzione non era, nel presente giudizio, per le ragioni suesposte, rilevabile d’ufficio, per inapplicabilità ratione temporis del V comma dell’art. 307 cod. proc. civ. come riformato dall’art. 46 l. n. 69 del 2009; al contrario, secondo il comma IV dell’art. 307, nella formulazione applicabile ratione temporis, l’estinzione del processo per tardiva riassunzione poteva essere rilevata soltanto a seguito di un’eccezione di parte formulata «prima di ogni altra sua difesa», dovendosi intendere con quest’ultima espressione, in considerazione della lettera della norma oltre che della sua ratio, che l’eccezione di estinzione del processo dovesse precedere ogni diversa difesa, quale che fosse il momento della loro formulazione.
Secondo questa Corte, invero, il rinvio operato dal comma III dell’art. 291 cod. proc. civ. al comma III dell’art.307 cod. proc. civ. implicava comunque «la collocazione della fattispecie estintiva nell’ambito generale della disciplina dettata per l’estinzione per inattività delle parti sotto il profilo dinamico dall’art. 307 cod. proc. civ., comma IV», cioè la rilevabilità soltanto su eccezione. (Cass. Sez. 3, n. 10609 del 30/04/2010; Sez. 1, n. 22320 del 26/10/2011).
Ciò posto, in alcuno dei motivi la ricorrente ha indicato puntualmente se e quando abbia tempestivamente sollevato l’eccezione di intervenuta estinzione del giudizio, limitandosi a riportare che la questione era stata sollevata «con comparsa conclusionale del 13/10/2019, nota del 15/10/2019 e memoria in replica del 31/10/2019», laddove la prima udienza successiva all’ordinanza di integrazione del contraddittorio era stata fissata e celebrata in data 25/9/2019; in tal senso il motivo è inammissibile.
Diverso sarebbe stato l’esito, ove si fosse applicato l’art. 307 comma 4° c.p.c. attualmente vigente, giacché, in tal caso, il giudice di appello avrebbe dovuto limitarsi a prendere atto della consumazione del termine perentorio e statuire l’inammissibilità del gravame (Sez. 2, n. 7998 del 21 maggio 2012; Sez. 2, n. 31065 del 4 dicembre 2024).
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore di NOME COGNOME, liquidate in dispositivo in relazione al valore. Non vi è statuizione sulle spese di NOME COGNOME che non ha svolto difese.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del l’11 dicembre 2024.
Il Presidente
NOME COGNOME