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Estinzione del giudizio: quando va eccepita?

La Corte di Cassazione chiarisce i termini per sollevare l’eccezione di estinzione del giudizio. In un caso di usucapione, a seguito del decesso di una parte, la riassunzione del processo non era stata notificata a tutti gli eredi. La Corte ha stabilito che, per i giudizi iniziati prima della riforma del 2009, l’estinzione non è rilevabile d’ufficio ma va eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra difesa, cosa non avvenuta nel caso di specie. Il ricorso è stato quindi respinto.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Estinzione del giudizio: la Cassazione chiarisce i termini per l’eccezione

L’estinzione del giudizio per inattività delle parti è un’insidia sempre presente nei processi civili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire le regole procedurali che disciplinano questa materia, con particolare riferimento ai giudizi iniziati prima della riforma del 2009. La pronuncia sottolinea l’importanza della tempestività con cui le parti devono sollevare determinate eccezioni, pena la loro inammissibilità.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da una causa per usucapione di un terreno. I richiedenti ottengono una sentenza favorevole in primo grado. La controparte soccombente decide di appellare la decisione. Durante il giudizio d’appello, uno dei richiedenti originari decede, causando l’interruzione del processo.

Il processo viene successivamente riassunto dagli eredi, ma l’atto di riassunzione non viene notificato a tutti i coeredi, considerati litisconsorti necessari. La Corte d’Appello, rilevando un difetto di contraddittorio nei confronti della coniuge dell’appellante (in regime di comunione legale), annulla la sentenza di primo grado e rimette la causa al Tribunale.

Contro questa decisione, gli eredi propongono ricorso per Cassazione, lamentando che la Corte d’Appello avrebbe dovuto, prima di tutto, dichiarare l’estinzione del giudizio d’appello a causa della mancata notifica della riassunzione a tutti i coeredi entro il termine perentorio fissato dal giudice.

L’eccezione di estinzione del giudizio e la disciplina applicabile

Il nodo centrale della questione riguarda la disciplina applicabile all’estinzione del giudizio. I ricorrenti sostenevano che la mancata notifica dell’atto di riassunzione a tutti i litisconsorti necessari entro il termine perentorio avrebbe dovuto comportare l’automatica estinzione del processo, rilevabile anche d’ufficio dal giudice.

La Corte di Cassazione, tuttavia, opera una distinzione fondamentale basata sul principio ratione temporis. Poiché il giudizio era iniziato nel 2006, si applica l’art. 307 del codice di procedura civile nella sua formulazione antecedente alla riforma introdotta con la legge n. 69/2009.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito che, secondo la normativa all’epoca vigente, l’estinzione del processo per tardiva riassunzione o per mancata rinnovazione della notifica non era rilevabile d’ufficio. Poteva essere fatta valere solo tramite un’eccezione di parte, la quale doveva essere sollevata ‘prima di ogni altra sua difesa’.

Questa espressione, secondo la giurisprudenza consolidata, impone alla parte che intende far valere l’estinzione di farlo come primissimo atto difensivo, prima di entrare nel merito della questione. Nel caso specifico, i ricorrenti avevano sollevato l’eccezione solo nelle comparse conclusionali e nelle memorie di replica, ovvero dopo che si era già tenuta la prima udienza successiva all’ordinanza di integrazione del contraddittorio. Questa tardività ha reso l’eccezione inammissibile.

La Corte ha specificato che un esito diverso si sarebbe avuto se fosse stata applicabile la normativa attuale (post-riforma 2009), che in alcuni casi consente al giudice di rilevare d’ufficio l’estinzione. Ma, data la data di inizio del giudizio, le vecchie regole dovevano essere rispettate rigorosamente.

Le conclusioni

Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. La decisione ribadisce un principio procedurale cruciale: la ‘sanatoria’ dei vizi procedurali attraverso l’acquiescenza delle parti. Sollevando l’eccezione di estinzione in modo tardivo, i ricorrenti hanno implicitamente rinunciato a farla valere, consentendo al processo di proseguire. Questa ordinanza serve da monito sull’importanza di conoscere la normativa applicabile ratione temporis e sulla necessità di sollevare le eccezioni procedurali con la massima tempestività per non perdere il diritto di farle valere.

Nei giudizi iniziati prima della riforma del 2009, il giudice può dichiarare d’ufficio l’estinzione del processo per tardiva riassunzione?
No, secondo la formulazione dell’art. 307 c.p.c. applicabile a tali giudizi, l’estinzione per tardiva riassunzione poteva essere rilevata soltanto a seguito di un’eccezione sollevata dalla parte interessata.

Cosa significa che l’eccezione di estinzione deve essere sollevata ‘prima di ogni altra difesa’?
Significa che la parte deve presentare questa eccezione come suo primo atto difensivo nel momento in cui si costituisce o interviene nel processo riassunto, prima di formulare qualsiasi altra argomentazione di merito o procedurale. Nel caso esaminato, averla sollevata solo nelle comparse conclusionali è stato ritenuto tardivo.

Qual è la conseguenza se la notifica dell’atto di riassunzione è viziata ma l’eccezione di estinzione non viene sollevata tempestivamente?
Se l’eccezione non viene sollevata nei tempi e modi corretti (secondo le regole applicabili ratione temporis), il vizio si intende sanato e il processo prosegue. Il giudice non può dichiarare l’estinzione di sua iniziativa e deve procedere con l’esame del merito della causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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