Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4408 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4408 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27123/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente all ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Controricorrente –
COGNOME NOME, COGNOME NOME
–COGNOME – avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di NAPOLI n. 2927/2021 depositata il 26/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE:
Con atto notificato in data 9.10.08 la società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME esponeva quanto segue: (i) di avere intrattenuto dal 1998 rapporti finanziari con la convenuta RAGIONE_SOCIALE, usufruendo di finanziamenti su anticipi di fatture e cessione di crediti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, in quanto la società erogava prestazioni di emodialisi in regime di accreditamento; (ii) che le operazioni confluivano sul conto anticipi n. 10.0.1.18, garantito da COGNOME NOME; (iii) che, a decorrere dal secondo semestre del 2004, la società si accorgeva che l ‘ operato della controparte era continuamente soggetto ad ispezioni della Guardia di finanza locale nonché degli organi di vigilanza, al punto che tra la fine del 2004 e il primo semestre del 2005 la stessa era stata costretta, a seguito dei provvedimenti dell ‘ autorità, a cessare l ‘ attività ed era stata posta in liquidazione, dapprima volontaria, poi giudiziaria ed attualmente in concordato preventivo; (iv) che la società RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto gli estratti conto e le attestazioni ai fini tributari delle competenze pagate ma la documentazione ricevuta era incompleta e non ufficiale ed evidenziava l ‘ anomalo agire della convenuta; (v) che gli interessi addebitati eccedevano le soglie minime antiusura; (vi) che recentemente la società era stata convocata dalla ASL di RAGIONE_SOCIALE per avere dei chiarimenti su alcune cessioni di credito, richieste in modo subdolo e contrario alla trasparenza dei rapporti, ed era emerso che erano stati versati alla convenuta RAGIONE_SOCIALE nel periodo di riferimento (01/01/2004-31/12/2007) circa euro
1.100.000,00, su mandati di pagamento, e quest ‘ ultima aveva altresì escusso i pegni delle azioni e delle obbligazioni appartenenti al garante socio COGNOME NOME; (vii) che molti dei pagamenti eseguiti dalla ASL non erano stati riportati nella documentazione contabile; che risultava impossibile un saldo negativo di euro 194.020,96 al 31.12.05 poiché nel solo anno 2005 la ASL aveva corrisposto all ‘ RAGIONE_SOCIALE oltre euro 370.000,00 e in data 19/05/2005 l ‘ RAGIONE_SOCIALE aveva incamerato l ‘ importo di euro 537.500,00, pari al valore delle azioni acquistate dal socio e garante COGNOME NOME, senza che neppure venissero comunicati gli interessi maturati su tale ingente somma; (viii) che il conto vedeva regimi diversi di contabilizzazione degli interessi passivi ed attivi con la maturazione, a favore della convenuta, di un notevole ed ingiusto credito; che venivano illecitamente applicati l ‘ anatocismo e la commissione di massimo scoperto.
La parte attrice chiedeva, quindi, di accertarsi la nullità, illegittimità o l ‘ inefficacia delle clausole di pattuizione di interessi passivi non dovuti, dell ‘ anatocismo, della commissione massimo scoperto e delle altre poste passive indicate e calcolarsi conseguentemente l ‘ effettivo dare ed avere tra le parti; condannare la convenuta ad eliminare dal saldo le somme indebitamente percepite, con rideterminazione degli interessi al tasso legale, regolando annualmente il conto ed accertando se fosse stato superato il tasso usurario, e di condannare la convenuta al pagamento in proprio favore dell ‘ eventuale credito accertato, con gli interessi, la rivalutazione e il maggior danno; liberare il garante dalle poste passive illegittime.
Si costituì la RAGIONE_SOCIALE replicando: (i) che nel giugno 2004 il conto anticipazioni vedeva un credito della convenuta pari ad oltre un milione di euro, cui dovevano aggiungersi euro 200.000,00 quale debito residuo per un finanziamento concesso il 14/09/2000; (ii) che la controparte, sin dal 1997, aveva sistematicamente ceduto alla RAGIONE_SOCIALE i crediti verso la RAGIONE_SOCIALE e che COGNOME
NOME in data 23/01/2004 aveva concesso in pegno le proprie obbligazioni emesse dalla convenuta per euro 525.666,52; (iii) che la società nel bilancio al 31/03/2004 aveva riconosciuto un debito di un milione di euro e che successivamente erano stati richiesti ulteriori finanziamenti, concesse garanzie e ceduti i crediti verso la RAGIONE_SOCIALE, relativi al periodo 01/08/2004-31/12/2007; (iv) che la RAGIONE_SOCIALE era rimasta di creditrice per l ‘ importo di euro 220.704,97, oltre interessi convenzionali al 16%, maturati e maturandi dopo il 31/12/2005; (v) che gli interessi erano stati pattuiti per iscritto ed erano minori di quelli usurari e la capitalizzazione degli interessi passivi avrebbe comportato solo una decurtazione modesta del debito; (vi) che la società il 15/07/2004 aveva, inoltre, ottenuto un finanziamento di euro 600.000,00, restituito solo in parte, sicché residuava ancora un debito di euro 414.742,70, oltre interessi convenzionali all ‘ 11%, decorrenti dal 15/01/2006.
RAGIONE_SOCIALE chiese, pertanto, il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, la condanna dell ‘ RAGIONE_SOCIALE nonché di COGNOME NOME e di COGNOME NOME al pagamento in proprio favore della somma di euro 220.704,97, quale residuo dovuto per il conto anticipi, nonché della somma di euro 414.742,70 oltre agli interessi convenzionali dell ‘ 11%, con decorrenza dal 15 gennaio 2006, quale residuo dovuto per il contratto di finanziamento del 15 luglio 2004. In subordine, chiese che fosse rideterminato il saldo del conto anticipi e fossero condannate ugualmente le indicate controparti alla differenza ancora dovuta, determinando il saldo con capitalizzazione annuale e senza l ‘ addebito della commissione massimo scoperto; che, in accoglimento di altra domanda riconvenzionale, fosse condannata la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE di tutte le somme dovute alla società attrice dal 1° gennaio 1997 in poi, oggetto di cessione alla RAGIONE_SOCIALE ma non
pagate a quest ‘ ultima, e di tutte le somme maturate in favore della società attrice dal 1° agosto 2004 in poi, per un importo residuo di euro 390.864,36 (euro 516.456,90 meno la somma di euro 97.000.639,17 corrisposta con ordinativo di pagamento n. 7447 del 03/11/2005 e la somma di euro 57.953,37, corrisposta con un ordinativo di pagamento n. 1180 del 16 Febbraio 2006); che la società RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME e la RAGIONE_SOCIALE fossero condannati al pagamento delle spese di lite.
A seguito di chiamata in causa, si costituì COGNOME NOME che si riportava alle difese della società attrice e chiedeva la condanna dell ‘ RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla liberazione o riduzione della garanzia personale da essa prestata rispetto a tutte le poste passive illegittime che fossero emerse all ‘ esito del giudizio.
Si costituì altresì la RAGIONE_SOCIALE, deducendo di aver ottemperato alle cessioni di credito, le quali, comunque, erano state effettuate pro-solvendo , e chiedendo la chiamata in causa a garanzia delle compagnie assicurative, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, le quali, costituendosi, dedussero l ‘ insussistenza dei presupposti assicurativi e chiesero il rigetto della domanda avanzata nei loro confronti.
Con pronuncia di sentenza parziale il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE dichiarò inammissibile la domanda della RAGIONE_SOCIALE nei confronti delle compagnie RAGIONE_SOCIALE assicurazione chiamate in causa, disponendo il prosieguo del giudizio tra le altre parti.
All ‘ esito di CTU, la causa venne definitivamente decisa dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con sentenza n. 2285/16, che condannò l ‘ RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e COGNOME NOME, in solido, a pagare alla RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 687.443,70, tale al 1° gennaio 2009 oltre, sino a saldo, gli ulteriori interessi come convenzionalmente pattuiti, da
ricondurre, tempo per tempo entro il limite dell ‘ usura. Il Tribunale prescrisse che dal complessivo debito venissero detratte le somme ricavate attraverso la soddisfazione sui beni concessi in garanzia da COGNOME NOME (da non detrarre la somma di euro 537.500,00); condannò l ‘ RAGIONE_SOCIALE a pagare alla RAGIONE_SOCIALE, entro il limite del debito di cui ai capi precedenti del dispositivo, la somma di euro 1.541.420,58 oltre agli interessi.
Il Tribunale ritenne di far proprie le risultanze della CTU, che risolveva le questioni di natura contabile e chiariva quale fosse il residuo dare ed avere, nei limiti della documentazione esistente, e di quanto, secondo corretti criteri contabili, l ‘ ausiliario aveva potuto calcolare, ove possibile, per i periodi rispetto ai quali la documentazione era lacunosa.
Rilevato che l ‘ RAGIONE_SOCIALE era organismo diverso da una banca, il Tribunale considerò non applicabili le regole attinenti agli istituti bancari e ritenne che il saggio di interesse convenzionale applicato non potesse essere considerato usurario in quanto non superiore al tasso soglia per la categoria di riferimento, ma che la CMS dovesse essere esclusa, non essendo calcolabile in base ai patti conclusi.
Il Tribunale condivise, pertanto, i conteggi della CTU con la determinazione di un saldo totale in favore della RAGIONE_SOCIALE di euro 687.443,70 (di cui euro 122.538,75 quale saldo del conto anticipi alla data del 1.1.09, di costituzione in giudizio, ed euro 564.909,95 quale saldo, alla medesima data, del contratto di finanziamento del 15.7.2004).
Condannò, quindi, al pagamento del saldo l ‘ RAGIONE_SOCIALE e l ‘ accomandataria COGNOME NOME, in solido, mentre per COGNOME NOME ritenne non provata la pretesa qualità di fideiussore, ma solo quella di mallevadore della società mediante forme reali di garanzia (pegno
ed ipoteca), le quali non consentono la condanna al pagamento bensì solo la soddisfazione coattiva sui beni, oggetto della garanzia.
Il Tribunale precisò che, pur tenuto conto che l ‘ importo di euro 537.500,00, menzionato in citazione, era stato comunque già incluso nei conteggi del CTU, la creditrice RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto detrarre ogni somma ricavata attraverso la soddisfazione sui beni concessi in garanzia e gli importi che le fossero stati o le sarebbero stati versati dalla ASL, destinati anch ‘ essi, alla soddisfazione dei crediti, in particolare, di quello da finanziamento.
Sulla base della sola documentazione prodotta e tenuto conto dell ‘ onere probatorio gravante sulla RAGIONE_SOCIALE e non adeguatamente assolto, il Tribunale quantificò in euro 1.541.420,58 la somma che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto versare alla RAGIONE_SOCIALE in pagamento dei crediti ceduti dalla società attrice sulla base delle somme maturate dal 31.12.2004 al 31.3.2007 per le quali non risultava accertata l ‘ effettiva destinazione.
Tenuto tuttavia conto del fatto che le cessioni dei crediti risultavano comunque destinate solo ad assicurare alla RAGIONE_SOCIALE la soddisfazione dei crediti vantati dalla stessa verso la società RAGIONE_SOCIALE e dovendosi escludere che la RAGIONE_SOCIALE potesse trattenere la differenza, condannò la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE, solo entro i limiti del residuo debito accertato a carico della parte attrice.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello l ‘ RAGIONE_SOCIALE e si sono costituiti in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, subentrata all ‘ RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, nonché COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Con sentenza n. 2927/2021, depositata in data 26/07/2021, oggetto di ricorso, la Corte d ‘ Appello di Napoli ha rigettato l ‘ appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado.
Avverso la predetta sentenza l ‘ RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui la società RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE resistono con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis 1 c.p.c.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
In data 7 aprile 2023 veniva emessa dal Presidente di Sezione delegato dal Presidente Titolare proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. nel testo novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022 e di essa veniva data comunicazione alle parti costituite.
Con atto del 22 maggio 2023 la società RAGIONE_SOCIALE chiedeva, con il ministero dei suoi difensori, la decisione ai sensi del primo inciso del secondo comma di detta norma.
Veniva conseguentemente fissata la trattazione ai sensi dell’art. 380 -bis 1 c.p.c.
Entrambe le parti resistenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione dell ‘ art. 2697 c.c. e mancata prova della domanda ed omessa valutazione delle prove ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c.- Violazione dell ‘ art. 360 c.p.c. n. e 5 ‘ . Dopo aver riportato la motivazione della sentenza gravata, la ricorrente la censura affermando testualmente: ‘ Tale circostanza va cassata e stabilito che non è stato provato alcun inadempimento e c ‘ è stata anche violazione dell ‘ art. 2697 c.c. infatti alla RAGIONE_SOCIALE incombeva l ‘ onere della prova e ciò non è stato effettuato, in violazione dell ‘ art. 360 c.p.c. n. 5 ‘ . L ‘ esposizione del motivo prosegue con una generica critica alle risultanze della CTU.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione dell ‘ art. 112 c.p.c. Violazione dell ‘ art. 360 c.p.c. n., 3 ‘ . Oggetto di censura è la seguente porzione della motivazione della sentenza gravata: « Neppure è fondata la contestazione dell ‘ appellante (odierna ricorrente, n.d.r.) secondo cui solo in corso di causa la RAGIONE_SOCIALE avrebbe chiesto la condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento di tutte le somme dovute dal 1° gennaio 1997 in poi, mentre le richieste inoltrate precedentemente riguardavano soltanto ed esclusivamente il periodo dal 1° gennaio 2004 al 31.12.2005. Infatti, già nelle conclusioni di primo grado la RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la condanna dell ‘ RAGIONE_SOCIALE al pagamento di tutte le somme dovute alla società COGNOME dal 1° gennaio 1997 in poi, oggetto di cessione in favore della RAGIONE_SOCIALE ma non pagate a quest ‘ ultima, e di tutte le somme maturate a favore della soc. COGNOME dal 1° agosto 2014 in poi, per un importo residuo di € 390.864,36 (euro 516.456,90 meno la somma di euro 97.000.639,17 corrisposta con ordinativo di pagamento n. 7447 del 03/11/2005 e la somma di euro 57.953,37, corrisposta con un ordinativo di pagamento n. 1180 del 16 febbraio 2006). Perciò correttamente il Tribunale ha preso in considerazione l ‘ intero arco temporale delle cessioni di credito dal 1997 » . (così da p. 9, ultimo §, a p. 10, 2° §, della sentenza). La ricorrente deduce sostanzialmente un errore di calcolo commesso dalla sentenza gravata.
Nella proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c. , nel prospettare l’inammissibilità del ricorso come esito del suo esame, si è osservato quanto segue: « Considerato che i due motivi sui quali si fonda il ricorso -la cui illustrazione inizia a pag. 11 – sono inammissibili, in particolare rileva: che esso appare manifestamente inammissibile quanto alla deduzione, svolta nel primo motivo, in merito alla violazione e falsa applicazione dell’art. 115 e dell’art. 116 c.p.c., giacché l’argomenta del tutto al di fuori dei criteri di deduzione indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, inaugurati da Cass. n.
11892 del 2016, ribaditi, in motivazione non massimata, ma espressa, da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016 e, quindi, ex multis, da Cass. n. 20867 del 2020, sollecitando, invece, come emerge dalla premessa, una rivalutazione della quaestio facti prima ampiamente commentata; che analoga considerazione, sempre in merito al primo motivo, va fatta per la deduzione della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., che non è svolta secondo i criteri indicati, in motivazione espressa, sebbene non massimata, da Cass., Sez. Un., n. 16598 del 2016, già citata, e ribaditi, ex multis, da Cass. (ord.) n. 26769 del 2018; che in merito al secondo motivo si palesa: a) da un lato, l’inosservanza dell’art. 366 n. 6 c.p.c., là dove si riferisce del motivo di appello in relazione al quale sarebbe stata commessa la violazione dell’art. 112 c.p.c. in modo del tutto generico e senza riprodurne il contenuto né direttamente né indirettamente (in questo secondo caso precisando la parte dell’atto corrispondente), nonché con analoga carenza quanto agli atti cui si fa riferimento; b) dall’altro, l’assoluta genericità della complessiva prospettazione che si muove, peraltro secondo una logica che parrebbe evocare un’ultrapetizione, quando invece si sarebbe dovuto in coerenza con quanto si afferma – argomentare un rigetto del non meglio identificato motivo di appello, sicché la censura, oltre ad essere del tutto generica, per quel poco che sfugge a tale genericità (con conseguente inammissibilità alla stregua del principio di diritto consolidato di cui a Cass. n. 4741 del 2005, ribadito, in motivazione espressa, sebbene non massimata da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017), non ha nemmeno dignità di motivo di ricorso per cassazione. » . Sulla base di tali ragioni la proposta di definizione indicava come sorte del ricorso quella della sua inammissibilità.
Il Collegio rileva che l’istanza di definizione del giudizio è stata proposta da una parte non legittimata alla stregua dell’art. 380 -bis, secondo comma c.p.c., in quanto non ricorrente. Ne consegue che si deve dichiarare in conseguenza che, essendovi stata rinuncia tacita
della parte legittimata, cioè della parte ricorrente, ravvisabile nella mancanza di richiesta di definizione del giudizio, il giudizio dev’essere definito con pronuncia di estinzione, cioè come lo sarebbe stato a seguito della constatazione della mancata proposizione dell’istanza dalla parte legittimata.
La fissazione dell’adunanza collegiale si è resa necessaria in quanto compete al Collegio decidere sull’istanza di prosecuzione pur irrituale quanto al soggetto proponente, dato che la Corte è giudice collegiale e la legge all’art. 380 -bis prevede la definizione del giudizio con decreto di estinzione da adottarsi dal presidente a norma dell’art. 391 c.p.c. solo nel caso di mancanza di istanza di prosecuzione e dunque non nel caso di istanza esistente, sebbene proveniente da parte non legittimata.
Vanno liquidate le spese ai sensi dell’art. 391 c.p.c. a favore di COGNOME ed a favore di COGNOME, mentre, attesa la rinuncia tacita di parte ricorrente, non v’è il presupposto per applicare il terzo ed il quarto comma dell’art. 380 -bis , giacché, se non vi fosse stata la richiesta di definizione del giudizio in sede collegiale della parte non legittimata, si sarebbe dovuto provvedere sulle spese a norma del secondo comma dell’art. 391 c.p.c. con decreto di estinzione. Peraltro, ritiene il Collegio di compensare la metà delle spese giudiziali nel rapporto fra ricorrente ed NOME, atteso lo spreco di attività processuale che essa ha provocato formulando inammissibilmente l’istanza di decisione . In proposito, si osserva che, come s’è detto, in sede di pronuncia del decreto di estinzione detta parte bene avrebbe potuto ottenere la liquidazione delle spese ai sensi del citato secondo comma dell’art. 391 c.p.c. La disposta compensazione, essendosi in questa sede fatto luogo ad una decisione di estinzione del giudizio che sarebbe potuta conseguire ai sensi dell’art. 391 c.p.c., con conseguente soggezione del potere di liquidazione delle spese al secondo comma di detta norma, trovando giustificazione in essa esorbita dai limiti di cui all’art. 92 c.p.c., atteso
che il suddetto secondo comma, come fa manifesto il verbo ‘può’, lascia alla Corte ampia discrezionalità nel decidere se e come liquidare le spese, derogando ai presupposti di detta norma.
Ai sensi dell’art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si deve dare atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. La ragione è che la decisione è di estinzione del giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara estinto il giudizio. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 9.110,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15% e accessori di legge, in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE, e -previa compensazione della metà del loro complessivo ammontare – in euro 4.555,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15% e accessori di legge, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell ‘ art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 04/10/2023, nella camera di consiglio della