Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34601 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34601 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 513/2020 R.G. proposto da: COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 3221/2019 depositata il 15/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I ricorrenti come sopra individuati convenivano in giudizio l’Agenzia del demanio innanzi al Tribunale Civile di Roma, per accertare l ‘affrancazione o l ‘inesistenza del vincolo enfiteutico sugli immobili acquistati in proprietà, e l’usucapione degli stessi .
L’Agenzia del Demanio resisteva in giudizio sostenendo sostanzialmente che il canone enfiteutico nel 1928 era unico (essendo il terreno allora non frazionato) e che quindi nel momento in cui era entrata in vigore la legge n. 16/1974 la valutazione sull’entità del canone dovesse farsi con riferimento non ai terreni ormai da tempo frazionati, ma alla loro somma. Per il resto, circa l’eccezione di usucapione, non avendo richiesto nulla dagli anni ’50 al 2007, si limitava a sostenere che gli allora attori avrebbero dovuto dimostrare il possesso indisturbato dell’immobile
Il Tribunale di Roma rigettava la domanda dichiarando la carenza degli attori di un interesse a formulare l’ eccezione di prescrizione in mancanza di domanda giudiziale volta ad ottenere il pagamento del canone enfiteutico .
Gli originari attori interponevano appello avverso la suddetta sentenza.
Nel costituirsi in giudizio, a sua volta, l’Agenzia del Demanio deduceva l’infondatezza del gravame avversario, chiedendone così il rigetto.
La Corte d’Appello di Roma rigettava il gravame. In particolare, evidenziava che l’art. 1 della Legge n. 16/74, della quale era lamentata la violazione prevedeva l’estinzione dei rapporti perpetui reali e personali costituiti anteriormente alla data del 28 ottobre 1941 e in forza dei quali le amministrazioni e le aziende autonome dello Stato, inclusa dunque l’odierna appellata, traevano titolo per riscuotere canoni enfiteutici in misura inferiore a lire 1.000 annue.
Il vincolo enfiteutico oggetto del giudizio era stato costituito, a mezzo rogito del 14 gennaio 1928 e per un canone di lire 50.000, sull’intera area successivamente pervenuta agli odierni istanti a seguito di lottizzazione, l’ammontare del canone pattuito induceva a ritenere, in coerenza con quanto ritenuto dal Tribunale, che non trovasse applicazione la sopra richiamata disciplina di cui alla Legge 16/74.
Il concedente RAGIONE_SOCIALE non aveva mai assentito al frazionamento del diritto con gli odierni istanti. Sicché non aveva alcun pregio la tesi degli appellanti che tale volontà fosse stata espressa per facta concludentia , attraverso l’affrancazione accordata a ulteriori lottisti; indipendentemente dal rilievo che nulla emergeva in merito all’anteriorità di tali supposte affrancazioni rispetto all’anzidetta data del 28 ottobre 1941, a mente dell’art. 1350 c.c. tale assenso avrebbe comunque necessitato della forma scritta.
Peraltro, un siffatto comportamento, perché involgente la posizione di soggetti terzi, comunque non avrebbe consentito di ravvisare gli estremi di un’univoca manifestazione di volontà, nei confronti degli odierni appellanti.
Del pari priva di fondamento era la doglianza concernente il mancato accoglimento della domanda di usucapione. Avuto infatti riguardo alla stessa prospettazione della domanda, laddove g li odierni appellanti avevano dato atto di come la disponibilità degli immobili loro rispettivamente facente capo traesse origine dalla comune qualità di enfiteuti, a costoro competeva la veste di detentori, con la conseguente necessità della prova, che già il primo Giudice aveva rilevato non essere stata assolta, di un atto di interversione ex art. 1141, secondo comma, c.c.
Riguardo al restante motivo d’appello, afferente al mancato accoglimento della pretesa di far accertare la prescrizione delle rate del canone, invero non era condivisibile l’opinione del Tribunale in merito al difetto d’interesse sul punto.
Siffatto interesse si qualificava alla stregua del conseguimento di un’utilità, personale e concreta, non ottenibile se non con l’ intervento del giudice; quindi, già quanto asserito dagli istanti in merito alla pretesa di non corrispondere il canone loro richiesto bastava per ravvisare l’interesse in parola. Cionondimeno, il motivo non meritava comunque accoglimento, una volta preso atto di come l’art. 970 c.c. contemplasse l’estinzione per non uso del solo diritto parziario dell’enfiteuta, e non anche di quello del concedente, con la conclusione che il diritto di costui alla riscossione del canone doveva ritenersi imprescrittibile, come d’altronde sembrava lecito
evincersi anche dalla sua natura di facoltà costitutiva del diritto del proprietario, per l’appunto imprescrittibile
NOME COGNOME in qualità di erede di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, entrambi in qualità di attuali proprietari dell’immobile ed eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME in proprio e quale erede di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME AlbertoCOGNOME COGNOME NOME entrambi in qualità di attuali proprietari dell’immobile acquistato da NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
L’Agenzia del Demanio ha resistito con controricorso.
I ricorrenti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della Legge n. 16/1974, dell’art. 1 della Legge n. 607/1966, dell’art. 971 c.c., dell’art. 3 della Costituzione- Violazione dell’art.112 c.p.c. nella parte in cui la Corte d’Appello di Roma, non riconosce l’applicabilità della Legge n.16 del 1974 al caso di specie
Secondo la Corte d’Appello sarebbe d ecisivo in tal senso, il rilievo che il concedente Demanio non risulta aver mai assentito al frazionamento del diritto con gli odierni istanti. Neanche potrebbe
desumersi tale volontà per facta concludentia attraverso l’ affrancazione accordata a ulteriori lottisti.
Secondo i ricorrenti, invece, i parametri necessari previsti dagli artt. 1 e 2 della Legge n. 16/1974 affinché un diritto di enfiteusi sia dichiarato estinto automaticamente sono chiari: il vincolo enfiteutico deve essere antecedente al 1941 e il valore del canone enfiteutico al l’ epoca dell’entrata in vigore della norma, anno 1974, deve essere inferiore alle 1.000 lire.
Il vincolo enfiteutico è stato costituito con atto del 14 gennaio 1928 (quindi molto prima del 1941) e dalla CTU operata dall’Ing. NOME COGNOME in altro giudizio analogo si è chiaramente evidenziato come il frazionamento, a suo tempo operato, non fosse risultato abusivo.
Né rileva, ai fini dell’applicabilità della norma, il fatto che il suddetto frazionamento sia successivo al 1941 atteso che ciò che rileva è che l’unico e solo atto di costituzione dell’enfiteusi de qua risulta essere quello del 1928.
Se il vincolo nel 1928 era unico non può pensarsi che affrancando alcuni terreni non si sia frazionato il vincolo stesso (a prescindere dal frazionamento della proprietà dei terreni, pacificamente intervenuto, che pure determinava il frazionamento del vincolo ipso iure ).
La lottizzazione del fondo non fu abusiva e i frazionamenti succedutisi nel tempo furono pienamente conformi o in alcuni casi, comunque, sanati e che, fermo e assodato ciò, gli unici due paramenti previsti dalla normativa del 1974 erano rispettati: a) il vincolo risalente al 1928 (nessun altro atto successivo è stato
rinvenuto); b) il canone enfiteutico sui singoli lotti all’anno 1974 sicuramente inferiore alle 1.000 lire.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della Legge n.16/1974, dell’art. 1 della Legge n. 607/1966, dell’art. 971 c.c., dell’art. 3 della Costituzione- Violazione dell’art. 112 c.p.c.
In particolare, il doc. n. 10, in cui l’Ufficio Tecnico Erariale (ente da cui ha avuto causa l’attuale Agenzia del Demanio) in data 5.6.1985 confermava “con riferimento al l’ intendentizia sopra indicata, si comunica che il canone enfiteutico afferente la superficie di mq 870 acquistata dal Sig. COGNOME Bruno ecc. è di lire 115 (centoquindici) per cui ai sensi dell’art.1 della legge n. 16 del 20.01.1974 dovrebbe essere stato estinto”, è documento che pur, ritualmente depositato, non è stato in alcun modo considerato dalla Corte d’Appello: si trattava, invece, di vero atto ricognitivo di una situazione giuridica, inerente l’originario vincolo enfiteutico per cui è causa, proveniente dal dante causa dell’Agenzia del Demanio e come tale doveva essere considerato, con valore assolutamente tranciante per l’intera controversia.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 823, 1141, 1142, 1143, 1146, 1158, 1159, 1164 c.c. – Violazione dell’art.112 c.p.c.
Erroneità della statuizione della Corte d’Appello nella parte in cui si dice che gli odierni appellanti hanno dato atto di come la disponibilità degli immobili loro rispettivamente facenti capo traesse origine dalla comune qualità di enfiteuti, atteso che in nessuno degli atti di proprietà degli immobili degli istanti è fatta menzione del vincolo enfiteutico.
Alla luce di quanto sinora esposto, pertanto, è possibile affermare che, non essendo il vincolo menzionato nel rogito di acquisto di alcuno dei contratti degli odierni ricorrenti (difformemente da quanto falsamente statuito nella sentenza impugnata), senza dubbio, il possesso dell’immobile è avvenuto da parte di questi ultimi con la consapevolezza di essere ciascuno pieno proprietario e non enfiteuta, visto che l’acquisto è avvenuto in totale buona fede, presupposto di per se sufficiente affinché operasse l’usucapione, senza necessità di alcuna prova circa l’interversione del possesso (cfr. pacificamente Cass., 26-02-1986, n. 1209 e Cass., sez. II, 24-09-1994, n. 7846).
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2948 c.c. e 970 c.c.- Violazione dell’art.112 c.p.c.
In estremo subordine, si censura la parte della sentenza relativa alla prescrizione dei canoni enfiteutici degli anni 2001 e 2002 rispetto ai quali la Corte d’Appello ha ritenuto sussistere l’ imprescrittibilità.
La decisione violerebbe il citato articolo 970 c.c., confondendo il diritto al dominio che è imprescrittibile (salvo che il titolo del possesso dell’enfiteuta muti per causa proveniente da un terzo o per effetto di opposizione svolta contro il proprietario, come nel caso dell’usucapione) e il diritto alla riscossione dei singoli canoni enfiteutici annuali, al quale, dunque, non può che applicarsi il citato art. 2948 c.c., come del resto previsto per tutti i pagamenti periodici, i quali, come noto, si prescrivono i 5 anni.
All’esito della discussione nella camera di consiglio il Collegio – rilevato che la questione sollevata dai ricorrenti con i
primi due motivi attinente all’interpretazione della l. n. 16/1974 in relazione ai presupposti per l’estinzione dei canoni su i fondi concessi in enfiteusi in epoca antecedente al 28 ottobre 1941 ha rilievo nomofilattico e non vi sono precedenti specifici salvo la sua non applicabilità ai canoni delle amministrazioni diverse da quelle statali (Sez. 2, Sentenza n. 4201 del 21/02/2014, Rv. 629625 – 01) – rimette la decisione del ricorso alla pubblica udienza.
P.Q.M.
La Corte rinvia a nuovo ruolo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione