Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16550 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16550 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 26803/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Torino, alla INDIRIZZO.
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Bergamo, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO .
–
contro
ricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE, con sede in San Severo (FG), alla INDIRIZZO.
-intimata –
avverso la sentenza, n. cron. 346/2020, del TRIBUNALE DI TORINO, pubblicata il giorno 24/01/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
07/06/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il 25 luglio 2005, NOME COGNOME stipulò con RAGIONE_SOCIALE (quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE) un contratto di finanziamento di durata decennale con piano di rimborso per rate mensili di € 169,00 ciascuna. Il capitale lordo mutuato era stato pari ad € 20.280,00 ed interessi e spese erano stati trattenuti, in unica soluzione, all’erogazione del finanziamento. Il netto ricavo era stato di € 12.336,67.
1.1. Il prestito fu estinto anticipatamente, dopo il pagamento di ventuno delle rate previste nel piano di ammortamento. RAGIONE_SOCIALE predispose, alla data di riferimento del 30 giugno 2007, un conteggio estintivo che esponeva l’importo dovuto dalla mutuataria pari ad € 14.712,73, da cui sarebbero stati decurtati € 2,217,27 a titolo di interessi non maturati dalla data suddetta alla scadenza originaria del finanziamento stesso.
1.1.1. Con lettera del 4 maggio 2015 la COGNOME chiese a RAGIONE_SOCIALE il rimborso delle commissioni finanziarie, accessorie ed assicurative, ricevendone un rifiuto. Pertanto, avendo avuto esito negativo anche l’espletata procedura di mediazione, citò RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE innanzi al Giudice di Pace di Torino chiedendone la condanna alla restituzione delle commissioni finanziarie e di intermediazione non maturate, nonché dei costi assicurativi non goduti, a seguito della estinzione anticipata del menzionato finanziamento.
1.1.2. Rimasta contumace la compagnia assicuratrice, e costituitesi le altre convenute, che contestarono le avverse pretese, l’adito Giudice di Pace, con sentenza del 3 aprile 2018, così decise: ‘ accertata l’intervenuta prescrizione dell’azione di ripetizione ex art. 2935 e 2946 c.c. e, per gli
interessi , ex art. 2948, comma 1, n. 4, c.c., per l’effetto, rigetta le domande attoree in quanto infondate o comunque non provate; ‘.
Pronunciando sul gravame promosso dalla COGNOME contro tale decisione, l’adito Tribunale di Torino, con sentenza del 23/24 gennaio 2020, n. 346, pronunciata nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e nella contumacia di RAGIONE_SOCIALE, così dispose: ‘ Dato atto dell’intervenuto accordo transattivo tra parte appellante e RAGIONE_SOCIALE e delle rinuncia di parte appellante alle domande formulate nei confronti di parte appellata; Condanna COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , a pagare a COGNOME NOME la somma di euro 2.492,92, oltre interessi secondo la legge dal 14.10.15 al saldo ; ‘.
2.1. In particolare, quel tribunale , disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello ed accolta l’impugnazione in punto di inconfigurabilità della prescrizione dichiarata dal primo giudice: a ) considerò, relativamente alla lamentata usurarietà del tasso di interesse, che, « Per quanto riguarda il Teg (conteggiato includendo le commissioni dell’intermediario, le spese fisse e le spese assicurative), il c.t.u. ha escluso il superamento del tasso soglia al momento della stipulazione del contratto di finanziamento. Il tasso soglia risulta invece superato ove si consideri il Teg in relazione alla estinzione anticipata del contratto, ma tale dato risulta ininfluente in quanto: i) la valutazione dell’usura deve essere fatta ex ante , nel momento genetico della formazione del contratto; ii) l’estinzione anticipata del finanziamento costituisce un evento meramente eventuale rispetto al momento in cui il Teg viene calcolato; iii) per di più, l’estinzione anticipata è un evento rimesso alla volontà del soggetto finanziato e, pertanto, anche sul piano logico, si deve escludere che calcolo del Teg/superamento soglia possano dipendere da una scelta libera e del tutto eventuale del soggetto finanziato »; b ) circa il motivo di gravame riguardante la questione delle commissioni e spese corrisposte da parte attrice, descrisse la normativa ritenuta applicabile ed affermò che « La clausola del contratto di finanziamento oggetto di causa -che nega al mutuatario il rimborso di taluni costi in sede di prematura estinzione del
finanziamento -pur sottoscritta ex artt. 1341 e 1342 c.c. è dunque palesemente inefficace per contrasto con l’art. 125 Tub ». Richiamò, poi, « quanto alla individuazione della quota di costi oggetto di rimborso », la « nota » distinzione « tra costi up front (temporalmente collocabili nella fase delle trattative e della formazione del contratto) e costi recurring (riconducibili ad attività e servizi che si sviluppano e maturano nella fase esecutiva del rapporto) » ed osservò essere « corretto considerare tra le voci recurring anche le commissioni della mandataria e ciò in quanto -come correttamente osservato dal c.t.u. -‘anche se alcune di tali attività incluse in tali voci di costo si sono esaurite alla stipula del contratto ma non sono inserite in voci di costo che comprendono anche attività che ineriscono alla durata complessiva del rapporto, come, ad esempio, la gestione delle rate di rimborso. E il contratto non consente di quantificare quanto parte di tali voci di costo sia imputabile a spese meramente up front. Nell’ambito di tali voci di costo, non è quindi possibile rinvenire un criterio oggettivo di quantificazione della relativa componente up front . Semmai si potrebbe considerare che si tratta di un coacervo di attività che rilevano per la durata del contratto e sin dalla relativa stipula’. Dall’importo indicato dal c.t.u. (pag. 18) nella relazione, occorre poi sottrarre l’importo indicato per ‘oneri assicurativi’ (che pure rientrano a pieno titolo tra i costi rimborsabili atteso il collegamento funzionale tra il contratto di finanziamento e il contratto di assicurazione a copertura del rischio del verificarsi di eventi idonei ad impedire il pagamento delle rate dovute) atteso che, come già esposto, in corso di causa è intervenuto un accordo transattivo tra RAGIONE_SOCIALE e parte appellante »; c ) concluse che « L’importo che deve essere restituito a parte attrice appellante ammonta, dunque, ad euro 2.492,92, somma che COGNOME deve essere condannata a pagare a COGNOME NOME, oltre interessi secondo la legge dal 14.10.15 al saldo. Conformemente alla giurisprudenza della sezione Prima Civile del Tribunale deve infatti ritenersi che l’unico soggetto legittimato nei confronti del mutuatario sia il Finanziatore, dominus di tutta l’operazione, e non già la sua mandataria RAGIONE_SOCIALE (cfr. art. 1388 c.c.) ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso NOME COGNOME, affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Ha resistito, con controricorso, corredato da analoga memoria, RAGIONE_SOCIALE È rimasta solo intimata RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla controricorrente anche per asserito difetto di sua autosufficienza. Invero, nello stesso ricorso è presente l’esposizione sommaria dei fatti della causa, mediante gli essenziali riferimenti ai precedenti gradi di giudizio (pagine da 3 a 7); è indicata la decisione impugnata (art. 366, comma 1, n. 2, cod. proc. civ.), non essendo affatto prescritta dal medesimo art. 366 cod. proc. civ. la trascrizione integrale della stessa; non sussiste, in ragione di quanto appresso si dirà, la condizione di inammissibilità di cui all’art. 360bis n. 1, cod. proc. civ., (invocabile solo quando il provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto in conformità alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente offra elementi idonei a provocare un superamento dell’orientamento contestato) prospettata con riferimento al primo motivo di impugnazione; la decisione sul ricorso non suppone, infine, l’esame di documenti su cui esso sia fondato, per cui non hanno rilievo le prescrizioni dettate dagli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. ( cfr . anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20721 del 2018; Cass. n. 12417 del 2017).
Tanto premesso, i formulati motivi di impugnazione denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell’art. 644 c.p. -La promessa e la dazione di interessi usurari -Nullità della clausola -Applicazione dell’art. 1815 c.c. ». Si contestano le argomentazioni con cui il tribunale ha ritenuto irrilevante l’accertato superamento del tasso soglia in relazione al TEG (conteggiato includendo le commissioni dell’intermediario, le spese fisse e le spese assicurative) considerato non al momento della stipulazione del contratto di finanziamento, bensì in rap porto all’avvenuta
estinzione anticipata di quest’ultimo. Si assume, tra l’altro, che « Per fare in modo che il TEG effettivamente applicato sia eguale, non superiore, a quello pattuito, l’istituto mutuante deve provvedere, in caso di riduzione del fattore tempo, ad una corretta ed equa riduzione del fattore costi, nel caso in cui gli stessi siano versati in via anticipata a premio unico: ossia allorquando il mutuatario proceda alla chiusura anticipata di un prestito (qualsiasi sia il motivo, estinzione volontaria compresa). . La mancata riduzione del costo totale del credito comporta un incremento del suo costo complessivo, innalzando TEG e TAEG, nonostante il finanziamento sia stato pattuito con tasti e costi fissi. In altre parole, il fatto che il contratto tra mutuante e mutuatario preveda la mancata riduzione del costo totale del credito in caso di estinzione anticipata, reca con sé l’inevitabile conseguenza che il TEG realmente applicato sia ben superiore a quello risultante dal contratto (pattuito). . In altre parole, l’istituto finanziatore, in virtù di una clausola contrattuale (quella prevista alla lettera g] del contratto), non procedeva al rimborso delle commissioni maturate, conseguentemente, il TEG effettivamente applicato risultava ben superiore rispetto a quello contrattualmente previsto, e non solo: risultava addirittura di ben 12 punto percentuali superiore rispetto al tasso soglia usurario , ex lege previsto. . Seppur vero che la valutazione dell’usura deve essere fatta ex ante, il problema è come tale valutazione viene fatta: al fine di valutare il TEG promesso, bisogna tenere presente tutte le condizioni contrattualmente pattuite, art. g] incluso (che nega il rimborso delle commissioni). , la banca ha pattuito ( rectius , imposto) una clausola contrattuale (quella di cui alla lettera g]) che espressamente prevede la mancata restituzione dei costi, delle spese e degli oneri del finanziamento. Evidentemente tale previsione contrattuale -che caratterizza il momento genetico del contratto -porta in sé, come conseguenza, il superamento del tasso soglia in caso di estinzione anticipata del finanziamento. Solo ed esclusivamente se l’istituto finanziario avesse previsto il rimborso delle commissioni, remunerazioni e delle spese collegate alla erogazione del cr edito, non vi sarebbe stato l’innalzamento del TEG oltre la soglia di usura in casi di anticipata estinzione del rapporto. Non
si può che pervenire alla conclusione che il TEG applicato è usurario in forza di una clausola contrattuale (quella di cui alla lettera g]) che espressamente preveda ex ante la mancata restituzione dei costi, delle spese e degli oneri del finanziamento »;
II) « Violazione ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell’art. 125 TUB -Nullità della clausola G) del contratto -Riduzione del costo complessivo del credito -Restituzione della quota non maturata delle commissioni mandante ». Invocandosi, tra l’altro, i principi desumibili dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’11 settembre 2019, si contesta al tribunale di « aver previsto la restituzione del costo solo di alcune commissioni non maturate (i costi considerati recurring ), escludendo il rimborso delle commissioni ‘mandante, anche se come riconosciuto dal Giudicante -la legge fa riferimento alla ‘riduzione del costo complessivo del credito’ »;
III) « Violazione, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell’art. 644 c.p. e dell’art. 2055 codice civile Concorso nel reato di usura della mandataria RAGIONE_SOCIALE -Responsabilità solidale, ex art. 2055 c.c., della mandataria RAGIONE_SOCIALE ». Si chiede che « la sentenza impugnata sia annullata, avendo il Giudice del Tribunale erroneamente ritenuto unico soggetto passivamente legittimato la mandante RAGIONE_SOCIALE, quando invece, a norma dell’art. 644 c.p. e dell’art. 2055 c.c., avrebbe dovuto ritenere responsabile, in solido, anche la mandataria RAGIONE_SOCIALE, per essersi fatta promettere e dare dalla signora COGNOME interessi usurari in favore della propria rappresentata RAGIONE_SOCIALE, con ciò avendo concorso a causare l’evento d annoso ».
2 . I primi due motivi possono trattarsi congiuntamente perché logicamente connessi, come del resto chiaramente rimarcato anche dalla ricorrente nella sua memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., laddove sostiene che « I due motivi sono entrambi legati al meccanismo creato dal creditore al fine di incrementare i propri utili: l’obbligo di pagamento anticipato delle commissioni incluse nel Costo Complessivo del Credito, quindi a maturazione nel tempo, e il diniego del rimborso della quota non maturata in caso di chiusura anticipata del prestito, previsto all’art. g) del contratto.
Tale incremento, per il caso analizzato, è stato certificato dal CTU, che, confermando i calcoli presentati dal Consulente di Parte Attrice, ha certificato che, a seguito delle condizioni pattuite appena citate, il TEG APPLICATO (detto anche TIR tasso interno di rendimento) è cresciuto e risulta pari a 29,05% oltre la soglia di riferimento ».
2.1. Assume la COGNOME che, nella specie, ci si trova al cospetto di una situazione di usura pattuita (e non sopravvenuta ), atteso che il contratto tra mutuante e mutuatario aveva previsto la mancata riduzione del costo totale del credito in caso di estinzione anticipata, così provocando l’inevitabile conseguenza che il TEG realmente applicato fosse ben superiore (e pari a circa il 29,05%) a quello risultante dal contratto (11,42%pattuito). In altre parole, l’istituto finanziatore, in virtù di una clausola contrattuale (quella prevista alla lettera g] del contratto), poteva non procedere al rimborso delle commissioni maturate, sicché il TEG effettivamente applicato risultava ben superiore rispetto a quello contrattualmente indicato. La ricorrente riconosce che la valutazione dell’usura deve essere fatta ex ante , ma sostiene che il problema è come tale valutazione viene fatta: a suo dire, al fine di valutare il TEG promesso, bisogna tenere presente tutte le condizioni contrattualmente pattuite, dunque anche la clausola di cui alla lett. g] del suo contratto che nega il rimborso delle commissioni. Tale clausola -che caratterizza, secondo lei, il momento genetico del contratto -provoca il superamento del tasso soglia in caso di estinzione anticipata del finanziamento. Solo ed esclusivamente se l’istituto finanziario avesse previsto il rimborso delle commissioni, remunerazioni e delle spese collegate alla erogazione del credito, non vi sarebbe stato l’innalzamento del TEG oltre la sogli a di usura in casi di anticipata estinzione del rapporto.
2.2. Questa ricostruzione, tuttavia, non può trovare seguito per un duplice ordine di ragioni.
2.2.1. Da un lato, infatti, occorre rimarcare che, al momento della sottoscrizione del contratto, la sua anticipata estinzione rappresenta un fatto estraneo alla ordinata e fisiologica ‘vita’ del contratto stesso, dal momento che il mutuante, all’atto della sottoscrizione, non può essere a conoscenza
dell’effettivo verificarsi dell’anticipata estinzione , né del momento in cui la stessa, eventualmente, si verificherà e, pertanto, il calcolo del TEG indicato in contratto non può che prendere come riferimento unicamente la durata naturale del contratto come indicato dalle parti.
2.2.2. Dall’altro, ed in via assolutamente dirimente, deve sottolinearsi che la clausola contrattuale che avrebbe precluso alla COGNOME di ottenere il rimborso delle commissioni predette è stata espressamente ritenuta dal tribunale ‘ palesemente inefficace per contrasto con l’art. 125 T.U.B ‘, cos ì già scongiurandosi, praticamente, quell’effetto negativo ipotizzato dalla ricorrente.
2.2.3. Alteris verbis , tutto il ragionamento della COGNOME poggia sul presupposto che, a suo dire, ‘ la mancata riduzione del costo totale del credito comporta un incremento del suo costo complessivo, innalzando il TEG ‘. Tuttavia, non si può non considerare il fatto che la ricorrente ha già ottenuto, proprio per effetto della descritta declaratoria di inefficacia della clausola contrattuale suddetta, la riduzione complessiva del credito – richiesta nei precedenti gradi di giudizio – in forza della medesima sentenza oggi impugnata, la quale ha condannato NOME alla restituzione della somma pari ad € 2.492,92. Appare evidente, pertanto, che il presupposto che la COGNOME ha posto a fondamento della doglianza di cui al primo motivo si rivela fallace.
2.2.4. Né risulta ragionevolmente sostenibile la sua pretesa di non dover corrispondere interessi di alcun tipo fino al momento dell’avvenuta estinzione del mutuo (quelli che sarebbero maturati successivamente sono stati già detratti dal conteggio delle somme da lei dovute all’atto della estinzione del finanziamento) perché il TEG, secondo il suo ragionamento, sarebbe diventato usurario in conseguenza della sua scelta (benché legittima) di estinguere anticipatamente il finanziamento. Si è già detto, infatti, che la valutazi one circa l’usurarietà, o non, della pattuizione di interessi non può certamente fondarsi su circostanze fattuali del tutto eventuali, oltre che rimesse alla volontà del mutuatario, quale deve chiaramente considerarsi la scelta di quest’ultimo di procedere all’estinzione anticipata del mutuo.
2.3. Alla stregua di queste argomentazioni, dunque, il primo motivo deve essere respinto, mentre il secondo si rivela fondato, nei limiti di cui appresso, giusta i principi tutti già rinvenibili nelle recenti pronunce rese (su fattispecie sostanzialmente analoghe a quella odierna) da Cass. n. 14836 del 2024 e Cass. n 25977 del 2023, che il Collegio, condividendoli, intende ribadire.
2.3.1. Giova premettere che il Tribunale di Torino, con riguardo alla doglianza della COGNOME, ivi formulata, riguardante la questione delle commissioni e spese corrisposte da lei corrisposte, dopo aver descritto la normativa ritenuta applicabile ed aver affermato che « La clausola del contratto di finanziamento oggetto di causa -che nega al mutuatario il rimborso di taluni costi in sede di prematura estinzione del finanziamento -pur sottoscritta ex artt. 1341 e 1342 c.c. è dunque palesemente inefficace pe r contrasto con l’art. 125 Tub », ha richiamato, poi, « quanto alla individuazione della quota di costi oggetto di rimborso », la « nota » distinzione « tra costi up front (temporalmente collocabili nella fase delle trattative e della formazione del contratto) e costi recurring (riconducibili ad attività e servizi che si sviluppano e maturano nella fase esecutiva del rapporto) ». Ha osservato, in particolare, essere « corretto considerare tra le voci recurring anche le commissioni della mandataria e ciò in quanto -come correttamente osservato dal c.t.u. -‘anche se alcune di tal i attività incluse in tali voci di costo si sono esaurite alla stipula del contratto ma non sono inserite in voci di costo che comprendono anche attività che ineriscono alla durata complessiva del rapporto, come, ad esempio, la gestione delle rate di rimborso. E il contratto non consente di quantificare quanto parte di tali voci di costo sia imputabile a spese meramente up front. Nell’ambito di tali voci di costo, non è quindi possibile rinvenire un criterio oggettivo di quantificazione della relativa componente up front . Semmai si potrebbe considerare che si tratta di un coacervo di attività che rilevano per la durata del contratto e sin dalla relativa stipula’. . L’importo che deve essere restituito a parte attrice appellante ammonta, dunque, ad euro 2.492,92, somma che NOME deve
essere condannata a pagare a COGNOME NOME, oltre interessi secondo la legge dal 14.10.15 al saldo ».
2.3.2. Le menzionate pronunce rese da Cass. n. 14836 del 2024 e Cass. n 25977 del 2023 hanno ritenuto, tra l’altro, per quanto di specifico interesse in questa sede, che:
i ) « L’art. 8 della direttiva n. 87/102/CEE, che contiene norme di ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, all’art. 8 prevede che ‘ il consumatore deve avere la facoltà di adempiere in via anticipata gli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, in conformità alle disposizioni degli Stati membri, egli deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito ‘. La direttiva 90/88/CEE ha modificato la direttiva 87/102/CEE in relazione al metodo di calcolo del tasso annuo effettivo globale, ‘al fine di promuovere l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno e garantire ai consumatori un elevato grado di tutela’. In particolar e, l’art. 1 della direttiva 90/88/CEE ha introdotto il concetto di “costo totale del credito al consumatore”, nel quale sono ricompresi tutti i costi del credito, compresi gli interessi e le altre spese che il consumatore deve pagare per il finanziamento. L’art. 18 della Legge n. 142 del 1992, ratione temporis applicabile, ha recepito le direttive del Consiglio 87/102/CEE e 90/88/CEE. La norma definisce credito al consumo la concessione nell’esercizio di una attività commerciale o professionale di credito sotto forma di dilazione di pagamento o di prestito o di analoga facilitazione finanziaria (finanziamento) a favore di una persona fisica (consumatore) che agisce, in tale rispetto, per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. L’art. 125 del TUB, nel testo vigente al momento della stipula del contratto di finanziamento, prevede che se il consumatore esercita la facoltà di adempimento anticipato ha diritto ad un’equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR »;
ii ) « il diritto alla riduzione del costo totale del credito è previsto dalla normativa interna e dalle direttive europee », invocandosi, « l’orientamento giurisprudenziale volto a fornire ampia tutela al consumatore nell’ambito del
credito al consumo, non solo nella fase di formazione del rapporto e della sua attuazione ma anche nell’ipotesi di adempimento anticipato del contratto. Tale finalità è evidente nella disposizione dell’art. 125 del TUB, attuativo delle direttive 87/102/CEE e 90/88/CE, che prevedono il diritto del consumatore ad ‘un’equa riduzione del costo complessivo del credito’, concetto che ricomprende ‘tutti i costi del credito, compresi gli interessi e le altre spese che il consumatore deve pagare per il credito’ »;
iii ) « I successivi interventi normativi hanno disciplinato in modo organico la disciplina del credito al consumo, al fine di favorire l’armonizzazione all’interno dei Paesi dell’Unione, specificando le varie forme di credito al consumo, le ipotesi di esclusione e la natura dei costi sostenuti per il finanziamento a cui il consumatore ha diritto in caso di adempimento anticipato. In particolare, la direttiva 2008/48/CE, che ha abrogato la direttiva 87/102/CEE, adotta una tecnica di armonizzazione piena, finalizzata a garantire ‘a tutti i consumatori della Comunità di fruire di un livello elevato ed equivalente dei loro interessi e che crei un vero mercato interno’ (considerando n. 9). Fra le disposizioni armonizzate si rinviene l’art. 16, paragrafo 1, secondo cui: ‘l consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto’. Il diritto alla riduzione viene, dunque, rapportato al paradigma del ‘costo totale del credito’. Questo è definito all’art. 3, paragrafo 1, lettera g), con riguardo a ‘tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili; sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un contratto avente ad oggetto un servizio è obbligatoria per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte’. A fronte di tale disciplina, posta a tutela del consumatore, i successivi paragrafi dell’art. 16 prevedono, a favore di chi ha concesso il credito, il
‘diritto ad un indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito, sempre che il rimborso anticipato abbia luogo in un periodo per il quale il tasso debitore è fisso »;
iv ) « Quanto ai limiti – stabiliti sempre dal paragrafo 2 – per tale indennizzo, il paragrafo 4, lettera b), consente agli Stati membri di derogare alla disciplina uniforme, disponendo che il creditore possa ‘eccezionalmente pretendere un indennizzo maggiore se è in grado di dimostrare che la perdita subita a causa del rimborso anticipato supera l’importo determinato ai sensi del paragrafo 2 . . Dall’esame della legislazione europea e del diritto interno si ricava che il diritto del consumatore al rimborso dei costi in caso di adempimento anticipato, nell’ambito del credito al consumo, non è estraneo alla disciplina antecedente all’art. 125 -sexies del TUB »: disposizione, quest’ultima, che il tribunale torinese ha ritenuto irrilevante ratione temporis , risalendo la vicenda in esame ad un periodo (2007) anteriore alla sua entrata in vigore;
v ) « Come affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor dell’11.3.2019, nella causa C -383/18, le direttive relative al credito al consumo vanno interpretate non soltanto sulla base del loro tenore letterale, ma anche alla luce del suo contesto nonché degli obiettivi perseguiti dalla normativa di settore (v., in tal senso, sentenza del 10 luglio 2019, Bundesverband der Verbraucherzentralen und Verbraucherverbände, C649/17, EU:C:2019:576, punto 37). La Corte di Giustizia ha rilevato, in motivazione, che l’articolo 8 della direttiva 87/102, che è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/48, già stabiliva che il consumatore, ‘in conformità alle disposizioni degli Stati membri, (…) deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito’. Di conseguenza, afferma la Corte di Lussemburgo, ‘l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 ha concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di ‘equa riduzione’ quella, più precisa, di ‘riduzione del costo totale del credito’ e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare ‘gli interessi e i costi’.
Questo sistema di protezione è fondato sull’idea secondo cui il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere di negoziazione che il livello di informazione (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2016, COGNOME e COGNOME, C-377/14, EU:C:2016:283, punto 63). Afferma la Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor che l’effettività del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto, dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca; inoltre, limitare la possibilità di riduzione del costo totale del credito ai soli costi espressamente correlati alla durata del contratto comporterebbe il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati al momento della conclusione del contratto di credito ».
2.3.3. Da quanto fin detto emerge, allora, che la soluzione offerta dal giudice di merito , nella misura in cui ha limitato l’importo da restituirsi alla COGNOME avvalendosi della distinzione tra costi up front e costi recurring si pone in contrasto con l’art. 125 del TUB, ratione temporis applicabile e con la consolidata elaborazione giurisprudenziale in tema di diritti del consumatore, privandolo di una tutela piena, in caso di adempimento anticipato.
2.3.3 .1. Né, in contrario, potrebbe assumere rilievo l’inesistenza di una norma secondaria, la deliberazione del CICR, avente carattere integrativo di una norma primaria. Invero, come ancora opportunamente chiarito da Cass. n. 14836 del 2024 e Cass. n. 25977 del 2023, « anche in assenza di una norma attuativa del CICR, il consumatore non può essere privato del suo diritto al rimborso dei costi sostenuti, come previsto dalla norma primaria e dalle direttive citate. Se è vero, infatti, che le direttive hanno una efficacia diretta soltanto verticale e che le stesse non possono essere invocate nelle controversie fra privati, è pur vero, in senso opposto, che, in ogni caso, il Giudice di merito è tenuto ad interpretare la normativa interna di recepimento in modo conforme al diritto europeo. Sul punto si richiama quella giurisprudenza europea che ha condivisibilmente osservato che
‘nell’applicare il diritto nazionale, e in particolare la legge nazionale espressamente adottata per l’attuazione della direttiva …, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato’ (così ex multis CGUE 10.4.1984, causa 14/83, COGNOME e COGNOME) ».
2.3.3 .2. Nemmeno rileverebbe, infine, l’intervento del CICR nel determinare le modalità di rimborso, demandandolo all’autonomia contrattuale (art. 1 Delibera CICR 9.2.2000 pubblicata in GU), posto che -come, del resto opinato anche dal tribunale torinese (sicché non è necessario dilungarsi oltre su questo specifico punto, nemmeno fatto oggetto di specifica censura, in via incidentale condizionata, dalla controricorrente) -una clausola contrattuale che escluda il rimborso dei costi sostenuti, in caso di estinzione anticipata del contratto di finanziamento, è nulla perché determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 206/2005 ( cfr . la già citata Cass. n. 25977 del 2023).
2.4 . Sull’effettività della tutela del consumatore nell’ambito del credito al consumo, merita di essere segnalata, poi, la sentenza della Corte Costituzionale n. 263 del 2022, la quale, benché riferita alla dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 11 -octies , comma 2, del d.l. 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, ha il pregio di ricostruire la normativa interna ed eurounitaria relativa al credito al consumo, ribadendo importanti principi in tema di norme integrative secondarie e di efficacia nell’ordinamento interno delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia.
2.4.1. In particolare, in relazione alle norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia, regolatrici dei rimborsi al consumatore in caso di estinzione anticipata del finanziamento, la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo la disposizione suddetta, nella parte in cui limita ad alcune tipologie di costi il diritto alla riduzione spettante al consumatore, per violazione degli art. 11 e 117, comma 1, della Costituzione.
2.4.2. La Corte Costituzionale ha espressamente affermato che il concetto di « riduzione del costo totale del credito », contenuto nella direttiva n. 2008/49 CE, ha sostituito il precedente richiamo alla « nozione generica di “equa riduzione” » presente nell’art. 8 della direttiva 87/102/CEE (sentenza Lexitor, punto 28). La Consulta richiama il canone dell’interpretazione teleologica, ispirata all’esigenza di garantire « un’elevata protezione del consumatore » (sentenza Lexitor, punto 29), per rilevare che « limitare la possibilità di riduzione del costo totale del credito ai soli costi espressamente correlati alla durata del contratto comporterebbe il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati al momento della conclusione del contratto di credito, poiché il soggetto concedente il credito potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto » (sentenza Lexitor, punto 32).
2.4 .3. In definitiva, l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor all’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE, partendo da un dato sicuramente testuale, ossia il riferimento alla riduzione del costo totale del credito, addiviene ad un’interpretazione orientata ad una elevata tutela del consumatore -che previene il rischio di abusi, a beneficio anche della concorrenza -, in presenza di contrappesi ritenuti adeguati a favore dei creditori.
2.4.4. Secondo il giudice delle leggi, « l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 ha concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di ‘equa riduzione’ quella, più precisa, di ‘riduzione del costo totale del credito’ e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare ‘gli interessi e i costi’ ».
2.5 . Afferma la Corte di Giustizia nella sentenza Lexitor che l’effettività del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto, dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca; inoltre, limitare la
possibilità di riduzione del costo totale del credito ai soli costi espressamente correlati alla durata del contratto comporterebbe il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati al momento della conclusione del contratto di credito.
2.5.1. Detta interpretazione è certamente estensibile alla direttiva 87/102/CEE, che richiama il concetto più ampio di ‘ equa riduzione del costo complessivo del credito ‘, ma soprattutto alla direttiva 90/88/CE, che introduce il concetto del costo totale del credito, comprendendovi ‘ tutti i costi del credito, compresi gli interessi e le altre spese che il consumatore deve pagare per il finanziamento ‘.
2.6. Nella misura in cui il Tribunale di Torino non si è uniformato ai suddetti principi di diritto, costantemente affermati dalla giurisprudenza interna ed eurounitaria, negando parzialmente alla COGNOME, che aveva estinto anticipatamente il finanziamento, il diritto alla riduzione del costo complessivo del credito sul presupposto della impossibilità di distinguere concretamente, con riguardo alla richiesta di restituzione di alcune somme, se esse rientravano tra le spese up front o tra quelle che recurring , la sentenza impugnata non può essere confermata.
Il terzo motivo di ricorso, invece, si rivela insuscettibile di accoglimento per un duplice ordine di ragioni.
3.1. In primis , per novità della questione ivi posta, che non risulta, in questi specifici termini, trattata nella sentenza impugnata, né la ricorrente ha precisato quando e come, appunto in questi specifici termini, l’aveva proposta.
3.1.1. Orbene, per giurisprudenza pacifica di questa Corte ( cfr. ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 25909 del 2021, Cass. nn. 5131 e 9434 del 2023; Cass. nn. 2607 e 5038 del 2024), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio
di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio ( cfr . Cass. nn. 32804 e 2038 del 2019; Cass. nn. 20694 e 15430 del 2018; Cass. n. 23675del 2013). In quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere -nella specie rimasto assolutamente inadempiuto -di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado ( cfr . Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito ( cfr. Cass. n. 19164 del 2007; Cass. n. 17041 del 2013; Cass. n. 25319 del 2017; Cass. n. 20712 del 2018).
3.2. A tanto deve aggiungersi che la motivazione del tribunale, sul punto, può essere condivisa, posto che, in relazione alla domanda di restituzione dei costi non maturati relativi ad un prestito estinto anticipatamente, la fonte del credito restitutorio del cliente non è il contratto di finanziamento, bensì il pagamento delle somme richieste al momento dell’e stinzione del finanziamento. Fonte del credito del cliente è l’indebito che sorge quando, per estinguere il finanziamento, gli venga chiesto -in base al conteggio estintivo -il versamento di un importo non decurtato degli oneri non maturati, in violazione degli artt. 125 o 125sexies T.U.B. (considerato quanto si è sancito in Cass. n. 14836 del 2024, ed a seconda di quale sia applicabile ratione temporis) È dunque il pagamento di un importo più elevato, comprensivo di tali costi, che determina il diritto alla pretesa restitutoria del cliente. Ne consegue che, nel caso di specie, legittimata passiva rispetto alla restituzione invocata dalla COGNOME è solo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, tenuto conto della previsione di cui all’art. 1388 cod. civ. e della circostanza, rimasta incontroversa, che RAGIONE_SOCIALE ha agito esclusivamente quale
rappresentante di quest’ultima, la quale, dunque, ha incassato il corrispondente importo versato dalla ricorrente.
4 . In definitiva, quindi, l’odierno ricorso della COGNOME deve essere accolto limitatamente al suo secondo motivo, rigettandosene il primo ed il terzo. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione al motivo accolto, rinviandosi la causa al Tribunale di Torino, in persona di diverso magistrato, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie l’odierno ricorso della COGNOME limitatamente al suo secondo motivo, rigettandone il primo ed il terzo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Torino, in persona di diverso magistrato, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile