Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4204 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4204  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13345/2022 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME, pec EMAIL;
– ricorrente –
contro
NOME  COGNOME,  rappresentato  e  difeso dall’avvocato NOME COGNOME, pec EMAIL;
– controricorrente –
e
NOME COGNOME;
– intimato –
avverso  la  sentenza  n.  249/2022  della  CORTE D’APPELLO DI ANCONA, depositata il 10/03/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa data 10/03/2022, la Corte d’appello di Ancona, in accoglimento degli appelli principale e incidentale rispettivamente proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, tra le restanti statuizioni, dopo aver escluso ogni responsabilità diretta del COGNOME nei confronti di NOME COGNOME (essendosi quest’ultima limitata a conferire al solo NOME COGNOME un incarico di progettista e direttore dei lavori, e non avendo la stessa espressamente esteso nei confronti del COGNOME la domanda di risarcimento dei danni da inadempimento proposta nei confronti del COGNOME), per quel che ancora rileva in questa sede, ha rideterminato (in diminuzione) l’importo della condanna al risarcimento dei danni pronunciata dal primo giudice in favore della RAGIONE_SOCIALE a carico del COGNOME in ragione dell’accertato inadempimento di quest’ultimo alle obbligazioni di progettista e direttore dei lavori assunte nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, a seguito della domanda di manleva proposta dal COGNOME (convenuto) nei confronti del COGNOME (terzo chiamato), la RAGIONE_SOCIALE avesse trascurato di estendere nei confronti di quest’ultimo la domanda risarcitoria originariamente proposta nei confronti del solo COGNOME, dovendo escludersi l’automaticità di detta estensione in considerazione della diversità del titolo della pretesa avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del COGNOME (risarcimento dei danni da inadempimento del contratto d’opera) rispetto al titolo posto dal COGNOME a fondamento della domanda di manleva avanzata nei confronti del COGNOME (risarcimento dei danni da inadempimento dell’incarico attribuito al COGNOME quale
ausiliario del COGNOME, ex art. 1228 c.c., rispetto alle obbligazioni da quest’ultimo assunto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE);
sotto altro profilo, la corte territoriale ha rideterminato l’importo risarcitorio dovuto dal COGNOME in favore della COGNOME, avendo il giudice di  primo  grado  erroneamente  incluso, nell’entità complessiva  del risarcimento liquidato, mere duplicazioni di costi o l’importo di  costi traenti  origine  da  conAVV_NOTAIOe  negligenti  della  stessa  COGNOME  o  comunque non provati;
avverso  la  sentenza d’appello, NOME  COGNOME  propone  ricorso  per cassazione sulla base di sei motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
NOME COGNOME non ha svolto difese in questa sede;
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 106 e 113 c.p.c., nonché per omesso e/o insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’estensione al terzo chiamato (COGNOME della domanda principale originariamente proposto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del COGNOME , avendo quest’ultimo, all’atto della costituzione in giudizio, espressamente indicato il COGNOME come il responsabile esclusivo del danno il cui risarcimento era stato originariamente rivendicato dall’attrice nei confronti del COGNOME;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza  di  legittimità,  qualora  il  convenuto  in  un  giudizio  di risarcimento  dei  danni,  chiami  in  causa  un  terzo  indicandolo  come soggetto  (cor)responsabile  della  pretesa  fatta  valere  dall’attore  e
chieda di essere manlevato in caso di accoglimento della pretesa attorea, senza porre in dubbio la propria legittimazione passiva, si versa in una ipotesi di chiamata in garanzia, nella quale non opera la regola della automatica estensione della domanda al terzo chiamato, atteso che la posizione assunta dal terzo nel giudizio non contrasta, ma anzi coesiste, con quella del convenuto rispetto all’azione risarcitoria, salvo che l’attore danneggiato proponga nei confronti del chiamato (quale co-obbligato solidale) una nuova autonoma domanda di condanna (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 30601 del 27/11/2018, Rv. 651852 -01; conf. Sez. 3, Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020, Rv. 658078 03);
in particolare, in tema di responsabilità civile, nell’ipotesi in cui la parte convenuta chiami in causa un terzo in qualità di corresponsabile dell’evento dannoso, la richiesta risarcitoria deve intendersi estesa al medesimo terzo anche in mancanza di un’espressa dichiarazione in tal senso dell’attore, poiché la diversità e pluralità delle conAVV_NOTAIOe produttive dell’evento dannoso non dà luogo a distinte obbligazioni risarcitorie, non mutando l’oggetto del giudizio; un’esplicita domanda dell’attore è, invece, necessaria quando la chiamata del terzo si fondi sulla deduzione di un rapporto sostanziale differente da quello invocato dall’attore nei confronti del convenuto (Sez. 3, Ordinanza n. 31066 del 28/11/2019, Rv. 656137 – 01);
in  alternativa,  qualora  il  convenuto,  nel  dedurre  il  difetto  della propria legittimazione passiva, chiami un terzo indicandolo come il vero legittimato, si verifica l’estensione automatica della domanda al terzo medesimo,  con  la  conseguenza  che  il  giudice  può  direttamente emettere  nei  suoi  confronti  una  pronuncia  di  condanna  anche  se l’attore  non  ne  abbia  fatto  richiesta,  senza  per  questo  incorrere  nel
vizio di extrapetizione (Sez. 2, Ordinanza n. 22050 del 11/09/2018, Rv. 650074 – 02);
in forza di tali premesse, è agevole riscontrare come il discrimine tra l’am missione o, al contrario, l’esclusione dell’estensione automatica della  domanda originariamente proposta dall’attore nei  confronti  del terzo  deve  individuarsi nell’eventuale identità o,  rispettivamente, nell’eventuale diversità del rapporto sostanziale deAVV_NOTAIOo in giudizio dal convenuto  nei  confronti  del  terzo  rispetto  al  rapporto  sostanziale invocato dall’attore nei confronti del convenuto;
nel caso di specie, la corte territoriale, interpretando gli atti processuali delle parti, ha ritenuto che il convenuto (COGNOME) avesse deAVV_NOTAIOo in giudizio un rapporto contrattuale con il COGNOME diverso da quello dallo stesso COGNOME intrattenuto con la RAGIONE_SOCIALE: mentre, infatti, quest’ultimo rapporto contrattuale era stato identificato nell’incarico di progettista e direttore dei lavori che la RAGIONE_SOCIALE aveva affidato in via esclusiva al COGNOME, il rapporto contrattuale deAVV_NOTAIOo dal COGNOME nei confronti del COGNOME era stato individuato unicamente nel l’accordo attraverso il quale il COGNOME si era assicurato la disponibilità del COGNOME a fungere da ausiliario nell’adempimento della prestazione che il COGNOME aveva promesso alla COGNOME;
ciò posto, la corte territoriale ha ritenuto deAVV_NOTAIOi dalle parti due differenti rapporti sostanziali (quello deAVV_NOTAIOo dalla COGNOME nei confronti del COGNOME e quello deAVV_NOTAIOo da quest’ultimo nei confronti del COGNOME), con la conseguente correttezza dell’affermazione secondo cui, in assenza di un’espressa domanda della COGNOME nei confronti del COGNOME, l’originaria domanda proposta dalla stessa attrice nei confronti del COGNOME non poteva ritenersi automaticamente estesa nei confronti del COGNOME;
fermo il valore di tali argomentazioni, osserva il Collegio come il dissenso e le doglianze in questa sede avanzate dalla COGNOME avverso la sentenza d’appello finiscano col risolversi nella sostanziale contestazione dell’interpretazione che  la  corte  territoriale  ha  inteso attribuire ai contenuti delle domande delle parti;
in tal caso, tuttavia, non avendo la ricorrente prospettato la questione sotto il profilo dell ‘eventuale violazione dei canoni legali di ermeneutica negoziale (pacificamente applicabili, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, anche all’interpretazione degli atti processuali delle parti: cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 25826 dell ‘ 1/09/2022, Rv. 665645 -01; Sez. 2, Sentenza n. 4205 del 21/02/2014, Rv. 629624 -01; Sez. L, Sentenza n. 17947 del l’ 8/08/2006, Rv. 591719 -01; Sez. L, Sentenza n. 2467 del 6/02/2006, Rv. 586752 – 01), la censura in esame si risolve nella prospettazione di una rivisitazione nel merito dei fatti di causa, secondo una prospettiva meramente soggettiva e, dunque, in forza di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 113 c.p.c., nonché omesso e/o insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., nella parte in cui la corte d’appello ha erroneamente escluso dal risarcimento del danno i costi sostenuti dalla RAGIONE_SOCIALE interventi eseguiti successivamente all’espletamento dell’accertamento tecnico preventivo da parte dell’ing. COGNOME, avendo il giudice a quo erroneamente ritenuto inefficaci tali interventi, oltre che realizzati senza il rispetto dei necessari adempimenti di progettazione, direzione lavori, deposito al genio civile e regimentazione delle acque,
senza  considerare l’esclusiva imputabilità  di  tali  costi  alla  conAVV_NOTAIOa inadempiente dei professionisti incaricati;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., violazione falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 113 c.p.c., nonché per omesso e/o insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5, nella parte in cui la corte territoriale ha erroneamente escluso dal risarcimento del danno le somme dovute ai lavori di prima costruzione dell’immobile demolito, senza considerare che detti lavori dovevano ritenersi direttamente collegati alle omissioni compiuti dai professionisti;
con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., violazione falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 113 c.p.c., nonché per omesso e/o insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5, nella parte in cui la corte territoriale ha escluso dal risarcimento del danno le somme relative alla costruzione della paratia indicata in sentenza, atteso che tale costruzione doveva ritenersi direttamente collegata, sul piano eziologico, ai danni direttamente provocati dalle controparti;
con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2727 e 2729 c.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., nonché per omesso e/o insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5, nella parte in cui la corte territoriale ha erroneamente escluso dal risarcimento del danno i costi per il trasloco
e  la  sistemazione  alternativa dell’attrice, non  avendo  considerato l’insieme degli  indici  istruttori  suscettibili  di  fornire  la  prova  di  tali conseguenze dannose effettivamente sofferte dall’odierna ricorrente;
il secondo, il terzo e il quarto motivo -congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione -sono inammissibili;
attraverso la proposizione delle tre censure in esame, la ricorrente si duole: 1) della circostanza che la corte d’appello abbia ritenuto che gli interventi eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE dopo l’espletamento dell’ATP fossero inefficaci (oltre che realizzati senza il rispetto delle prescrizioni di natura amministrativa specificamente richiamate in sentenza e nel ricorso in scrutinio), con la conseguente erroneità della ritenuta non risarcibilità dei costi di tali interventi per essere imputabili alla responsabilità della danneggiata; 2) della circostanza che la corte d’appello abbia erroneamente escluso dal risarcimento del danno le somme dovute ai lavori di prima costruzione dell’immobile demolito, senza considerare che detti lavori dovevano ritenersi direttamente collegati alle omissioni compiuti dai professionisti, con la conseguente erroneità della ritenuta non risarcibilità dei costi di tali lavori; 3) della circostanza che la corte d’appello abbia erroneamente escluso dal risarcimento del danno le somme relative alla costruzione della paratia indicata in sentenza, atteso che tale costruzione doveva ritenersi direttamente collegata, sul piano eziologico, ai danni direttamente provocati dalle controparti, con la conseguente erroneità della ritenuta non risarcibilità dei costi di tale costruzione; 4) della circostanza che la corte d’appello abbia erroneamente escluso dal risarcimento del danno i costi per il trasloco e la sistemazione alternativa dell’attrice, non avendo considerato l’insieme degli indici istruttori suscettibili di fornire la prova di tali conseguenze dannose effettivamente sofferte
dall’odierna ricorrente, con la conseguente erroneità della ritenuta non risarcibilità dei ridetti costi;
ciò posto -ferma l’assoluta improprietà dell’evocazione , in corrispondenza di ciascuna delle doglianze proposte, del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (trattandosi, con riguardo a ciascuna delle circostanze ivi deAVV_NOTAIOe, di fatti che la corte territoriale ha espressamente considerato, non omettendo affatto di sottoporli al proprio esame) -osserva il Collegio come, attraverso la proposizione delle censure in esame, la ricorrente -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate -si sia limitata ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis , Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo ;
nel  caso  di  specie,  al  di  là  del  formale  richiamo,  contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle  censure sollevate dall’odiern a ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del
contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza  diretta  a  censurare  una  (tipica)  erronea  ricognizione  della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta  a  denunciare  il  vizio  di  motivazione  in  cui  sarebbe  incorso  il provvedimento impugnato;
ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti (come già premesso) i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
con il sesto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., nonché per omesso e/o insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5, nella parte in cui la corte territoriale ha erroneamente condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle competenze professionali in favore dell’architetto COGNOME in ragione del difetto di contestazione specifica, senza considerare la genericità delle indicazioni contenute nella domanda di pagamento sul punto avanzata dal COGNOME;
il motivo è inammissibile;
la corte territoriale ha rilevato come la COGNOME non avesse provveduto a contestare in modo specifico la richiesta di pagamento formulata dal COGNOME  con  riguardo  alle  prestazioni  professionali  indicate  nella parcella  vistata  dal  competente  ordine  professionale  (e  dallo  stesso COGNOME ritenute come puntualmente eseguite);
osserva il Collegio come, al fine di contestare questa decisione del giudice d’appello, l’odierna ricorrente avrebbe dovuto allegare al ricorso gli atti processuali idonei a consentire la verifica dell ‘ eventuale erroneità di tale decisione, ossia allegare la domanda di pagamento formulata dal COGNOME (in ipotesi, riferita ad una parcella priva di adeguati riferimenti di fatto suscettibili di essere specificamente contestati) e il proprio atto di costituzione in giudizio (in ipotesi, munito di una specifica contestazione rispetto a riferimenti di fatto contenuti nella parcella allegata dalla controparte);
la mancata allegazione di tale documentazione impedisce al giudice di legittimità di verificare la fondatezza dell’odierna censura che deve, pertanto, ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c.;
a tale riguardo, varrà considerare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza della Corte di cassazione, il ricorrente che agendo in sede di legittimità denunci la violazione della legge processuale riscontrabile nell’avere il giudice a quo ritenuto, in modo pretesamente erroneo, che fossero rimaste prive di contestazione circostanze viceversa asseritamente poste a oggetto di puntuale confutazione, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma processuale di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);
siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte;
tali principi devono dunque ritenersi applicabili anche al caso in cui il ricorrente denunci la violazione della legge processuale riscontrabile nell’avere il  giudice a  quo ritenuto  fondate  talune  pretese  creditorie della controparte sul (sia pure implicito) presupposto che le stesse, in quanto  puntuali (e non  già generiche), siano rimaste prive di contestazione;
è appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum , attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti proAVV_NOTAIOo,
dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato proAVV_NOTAIOo nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 3/11/2011, Rv. 619317);
rimane in ogni caso pur sempre fermo che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 -non sia interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, non potendo tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (v. Sez. U, Ordinanza n. 8950 del 18/03/2022 (Rv. 664409 01);
con  particolare  riguardo all’ipotesi della  deduzione  di errores  in procedendo (tali  da  legittimare  l’esercizio,  ad  opera  del  giudice  di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito), varrà considerare come la stessa presupponga pur sempre l’ammissibilità  del  motivo  di  censura,  avuto  riguardo  al  principio  di
specificità di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 e n, 6, c.p.c., che deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri c/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Sez. L, Ordinanza n. 3612 del 4/02/2022, Rv. 663837 -01; Sez. 1, Ordinanza n. 24048 del 6/09/2021, Rv. 662388 – 01);
nella violazione di tali principi deve ritenersi incorsa la ricorrente con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che la stessa, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto generica la contestazione opposta alle richieste creditorie della controparte (sulla base dell’altrettanto erroneo presupposto che dette richieste creditorie fossero puntuali e specifiche), ha tuttavia omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione circa gli atti processuali e i documenti (e il relativo contenuto) comprovanti il ricorso effettivo di detti errori, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto;
sulla  base  di  tali  premesse,  rilevata  la  complessiva  infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono  la soccombenza  e  si liquidano  come  da dispositivo;
si  dà  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 10.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione