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Espulsione straniero: quando il ricorso è respinto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24105/2024, ha rigettato il ricorso contro un provvedimento di espulsione straniero. La Corte ha chiarito che una domanda di protezione speciale successiva al decreto non lo invalida, ma ne sospende solo l’esecuzione. Inoltre, ha ribadito che il solo certificato di matrimonio non basta a provare una vita familiare effettiva, necessaria per invocare la tutela contro l’espulsione. La decisione si fonda sull’assenza di prova della convivenza e sul mancato rispetto dei termini per la dichiarazione di presenza sul territorio nazionale.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Espulsione straniero: la domanda di protezione postuma non annulla il decreto

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso complesso relativo all’espulsione straniero, delineando principi fondamentali sull’efficacia della domanda di protezione speciale presentata dopo l’emissione del decreto e sull’onere della prova della vita familiare. Questa decisione offre importanti chiarimenti per chi si occupa di diritto dell’immigrazione, ribadendo la distinzione tra l’esistenza formale di un vincolo, come il matrimonio, e la sua effettività ai fini della tutela legale.

Il caso in esame

Un cittadino straniero impugnava un decreto di espulsione emesso dal Prefetto e un conseguente provvedimento di allontanamento del Questore. Il ricorrente sosteneva di essere entrato in Italia per raggiungere la moglie, regolarmente soggiornante, e di aver successivamente presentato una domanda di protezione speciale. Il Giudice di Pace aveva rigettato il ricorso iniziale, ritenendo che il termine per dichiarare la propria presenza sul territorio fosse scaduto e che non vi fosse prova di un’effettiva convivenza familiare. Il caso è quindi giunto all’attenzione della Corte di Cassazione, che ha esaminato quattro distinti motivi di ricorso.

L’analisi della Corte sul decreto di espulsione straniero

La Corte Suprema ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la validità del provvedimento di espulsione. Le motivazioni della decisione si articolano su quattro punti chiave, corrispondenti ai motivi di doglianza del ricorrente.

1. Domanda di protezione speciale successiva all’espulsione

Il primo motivo riguardava l’errata valutazione della domanda di protezione speciale, presentata via PEC dopo l’emissione del decreto di espulsione. La Corte ha chiarito un principio cruciale: una domanda di protezione speciale presentata dopo l’adozione del decreto di espulsione non ne causa l’invalidità. Al massimo, ne sospende l’efficacia esecutiva fino alla decisione dell’autorità competente. Il decreto, essendo stato emesso in un momento in cui non sussisteva alcuna condizione di inespellibilità, rimane valido. Il Giudice di Pace ha comunque il dovere di valutare incidente tantum i presupposti per la protezione (legami familiari, salute), ma in questo caso li ha ritenuti insussistenti, con un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità.

2. Vita familiare e onere della prova

Il secondo motivo si concentrava sulla violazione del diritto alla vita privata e familiare, tutelato dall’art. 8 della CEDU. Il ricorrente sosteneva che il certificato di matrimonio fosse prova sufficiente dell’esistenza di un nucleo familiare da tutelare. La Cassazione ha respinto questa tesi, affermando che la tutela legale non protegge il matrimonio come atto formale, ma come rapporto effettivo e attuale. L’elemento essenziale è la convivenza o, quantomeno, un serio progetto di vita comune. Il certificato di matrimonio, da solo, non prova né la convivenza né l’effettività della relazione. L’onere di fornire tale prova ricade sullo straniero, e in assenza di essa, il giudice ha correttamente escluso la sussistenza di un legame familiare meritevole di tutela ai fini dell’annullamento dell’espulsione.

3. Le condizioni di salute

Il terzo motivo lamentava la mancata considerazione delle gravi condizioni di salute del ricorrente. La Corte ha ricordato che il diritto alla salute impedisce l’espulsione solo quando questa possa causare un pregiudizio irreparabile, richiedendo prestazioni sanitarie essenziali e non disponibili nel paese di origine. Nel caso specifico, il Giudice di Pace aveva motivatamente escluso che si trattasse di prestazioni salvavita e aveva ritenuto non necessari ulteriori controlli. Tale valutazione costituisce un giudizio di fatto, non rivedibile dalla Corte di Cassazione.

4. La dichiarazione di presenza e l’ingresso in Italia

Infine, il quarto motivo contestava il mancato rispetto del termine di otto giorni per la dichiarazione di presenza. Il ricorrente affermava di essere entrato in Italia in una data successiva a quella di ingresso nell’area Schengen, ma non ha fornito alcuna prova a sostegno di tale affermazione. La Corte ha stabilito che, in assenza di prove contrarie, il giudice ha correttamente fatto riferimento all’unica data certa, ovvero quella del timbro di ingresso nell’area Schengen (in Grecia). Di conseguenza, al momento dell’emissione del decreto di espulsione, il termine di otto giorni era già ampiamente scaduto.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione rigorosa della normativa e della giurisprudenza consolidata. La distinzione tra validità ed eseguibilità del decreto di espulsione in presenza di una domanda di protezione successiva è un punto centrale. Altrettanto importante è il principio secondo cui la tutela della vita familiare ex art. 8 CEDU non è automatica ma richiede la prova di un legame effettivo e concreto, che va oltre la mera formalità di un certificato di matrimonio. La Corte ha inoltre riaffermato i limiti del proprio sindacato, che non può estendersi a una rivalutazione dei fatti già accertati dal giudice di merito, come le condizioni di salute o la data di ingresso in Italia.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza diversi principi chiave in materia di espulsione straniero. In primo luogo, stabilisce che le domande di protezione presentate in modo strumentale o tardivo non possono sanare una condizione di irregolarità preesistente. In secondo luogo, sottolinea l’importanza dell’onere della prova a carico del cittadino straniero, sia per quanto riguarda l’effettività dei legami familiari sia per le circostanze del proprio ingresso e soggiorno sul territorio. La decisione conferma un approccio che bilancia la tutela dei diritti fondamentali con l’esigenza di un corretto governo dei flussi migratori, ancorando la protezione legale a presupposti concreti e dimostrabili piuttosto che a mere allegazioni formali.

Una domanda di protezione speciale presentata dopo il decreto di espulsione lo rende nullo?
No, la domanda di protezione speciale presentata dopo l’adozione del decreto di espulsione non lo rende nullo. Il decreto rimane valido, ma la sua esecuzione viene sospesa fino a quando non viene presa una decisione sulla domanda di protezione.

Il certificato di matrimonio è sufficiente per evitare l’espulsione e dimostrare il diritto alla vita familiare?
No, il solo certificato di matrimonio non è sufficiente. La legge tutela la vita familiare effettiva e attuale, non il vincolo formale. Lo straniero ha l’onere di provare la convivenza o un serio progetto di vita comune per poter invocare la tutela contro l’espulsione.

Quando decorre il termine di 8 giorni per dichiarare la propria presenza in Italia?
Il termine di otto giorni per la dichiarazione di presenza decorre dalla data di ingresso nel territorio dell’area Schengen, a meno che lo straniero non fornisca prova certa di una data di ingresso successiva in Italia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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