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Espulsione amministrativa: i limiti del Giudice

Un cittadino straniero, entrato in Italia nel 1992, è stato espulso per non aver rispettato una legge del 2007. Il Giudice di Pace ha confermato l’espulsione per un motivo diverso (pericolosità sociale). La Corte di Cassazione ha annullato tutto, stabilendo un principio fondamentale: il giudice deve valutare la legittimità dell’espulsione amministrativa solo sulla base delle motivazioni indicate nel provvedimento originale, senza poterne aggiungere o sostituire altre.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Espulsione amministrativa: il giudice non può cambiare le carte in tavola

L’espulsione amministrativa di un cittadino straniero è un atto di grande rilevanza che deve fondarsi su motivazioni chiare, precise e legittime. Ma cosa succede se il giudice, chiamato a valutarne la correttezza, ritiene che la motivazione del Prefetto sia sbagliata ma ne trova un’altra, a suo avviso, valida? Con l’ordinanza n. 5654/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale: il controllo del giudice deve limitarsi strettamente alle ragioni esposte nel provvedimento amministrativo, senza possibilità di sostituirle o integrarle.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un cittadino di nazionalità serba, entrato in Italia nel lontano 1992. Dopo un periodo di detenzione, al momento della scarcerazione, il Prefetto di Rieti emette nei suoi confronti un decreto di espulsione. La motivazione addotta è una sola: la mancata presentazione della dichiarazione di presenza entro otto giorni dall’ingresso nel territorio nazionale, come previsto da una legge del 2007 (L. 68/2007).

L’uomo si oppone davanti al Giudice di Pace, sostenendo un’argomentazione tanto semplice quanto logica: l’obbligo di dichiarazione di presenza non esisteva nel 1992, anno del suo ingresso, essendo stato introdotto ben quindici anni dopo. Pertanto, non gli si poteva imputare la violazione di una norma inesistente all’epoca dei fatti.

Sorprendentemente, il Giudice di Pace di Rieti rigetta l’opposizione. Pur riconoscendo implicitamente l’errore del Prefetto, basa la sua decisione su un motivo completamente diverso: la presunta pericolosità sociale del soggetto. In pratica, il giudice sostituisce la motivazione del provvedimento amministrativo con una propria, ritenendola sufficiente a giustificare l’allontanamento.

La Decisione della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso del cittadino straniero e annulla la decisione del Giudice di Pace. La Suprema Corte chiarisce che il giudice che valuta un’opposizione a un decreto di espulsione ha un compito ben preciso: verificare se la motivazione posta a base di quel specifico atto amministrativo sia legittima. Non può, in alcun modo, ‘salvare’ un provvedimento viziato sostituendo la motivazione errata con una diversa e non contemplata dall’autorità che ha emesso l’atto.

Le motivazioni dell’espulsione amministrativa e i limiti del Giudice

La sentenza ribadisce un principio fondamentale dello stato di diritto e della separazione dei poteri. L’espulsione amministrativa è un atto di competenza dell’autorità esecutiva (il Prefetto). Il potere giudiziario ha il compito di controllarne la legittimità, non di esercitarlo. Se il Prefetto basa l’espulsione sulla violazione della L. 68/2007, il giudice deve limitarsi a verificare se quella violazione sussista o meno.

Nel caso specifico, la motivazione era palesemente illegittima, poiché applicava retroattivamente una legge a un fatto avvenuto 15 anni prima della sua entrata in vigore. Il Giudice di Pace, anziché annullare l’atto per questo vizio radicale, ha introdotto una nuova motivazione (la pericolosità sociale), che peraltro è una causa di espulsione prevista da un’altra norma (art. 13, comma 2, lett. c, D.lgs. 286/98). In questo modo, ha invaso la sfera di competenza dell’amministrazione e violato il diritto di difesa del cittadino, che si era difeso rispetto a una specifica accusa, non a un’altra emersa solo in corso di causa.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione, cassando il provvedimento senza rinvio, mette un punto fermo sulla questione. Un provvedimento amministrativo deve reggersi sulle sue gambe, ovvero sulle ragioni che l’amministrazione ha esplicitamente indicato. Se queste ragioni sono infondate o illegittime, l’atto deve essere annullato. Il giudice non ha il potere di correggere gli errori dell’amministrazione trovando nuove giustificazioni, perché ciò significherebbe trasformare il controllo di legittimità in un’attività amministrativa sostitutiva, minando le garanzie fondamentali del cittadino nei confronti del potere pubblico.

Un giudice può confermare un’espulsione per motivi diversi da quelli indicati nel decreto del Prefetto?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice deve esaminare il decreto di espulsione basandosi esclusivamente sulla motivazione fornita dall’autorità amministrativa. Non può sostituire quella motivazione con una diversa, anche se potenzialmente valida.

Perché il motivo originale dell’espulsione non era valido in questo caso?
Il motivo era l’omessa dichiarazione di presenza entro otto giorni dall’ingresso in Italia, secondo una legge del 2007. Tuttavia, il cittadino era entrato in Italia nel 1992, ben quindici anni prima che tale obbligo esistesse. La legge non poteva essere applicata retroattivamente.

Cosa significa “cassare senza rinvio”?
Significa che la Corte di Cassazione ha annullato la decisione precedente in modo definitivo, senza la necessità di celebrare un nuovo processo sulla questione. L’espulsione basata su quel decreto è quindi definitivamente annullata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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