Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1232 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 1232  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 3543/2019 r.g. proposto da:
NOME e NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, da cui sono rappresentati e difesi per procura in calce al ricorso
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  già  RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO.
– controricorrente-
e
Prefettura di Reggio Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore, e RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimate-
avverso  la  sentenza  della  Corte  di  appello  di  Reggio  Calabria  n. 411/2018 depositata in data 25/6/2018;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 8/1/2025 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME era proprietario delle particelle, di cui al foglio 12, numeri 281 (ex n. 72 di mq 150),238 (ex 73 di mq 7427), 279 (ex 24, di mq 5633), 246 (ex 25 di mq 480), 242 (ex 26 di mq 104), 240  (ex  77,  di  mq  1501),  244  (ex  91  di  mq  3578),  158,  di  mq 200,159, di mq 280,160, di mq 30,161 di mq 1400,179 di mq 240.
NOME COGNOME era proprietario della particella n. 248 (ex 20) di mq 1774.
Tali  terreni  venivano  coinvolti  nell’espropriazione  relativa  alla variante tecnica per l’ammodernamento dell’autostrada SA-RG.
L’espropriazione riguardava alcune particelle facenti parte di un più vasto complesso fondiario «riconducibile all’RAGIONE_SOCIALE [] costituita da tre corpi immobiliari, il primo posto a nord ed  in  adiacenza  alla  carreggiata  autostradale  direzione  SalernoReggio Calabria; il secondo, più grande, posto a sud ed adiacente alla  carreggiata  autostradale  Reggio  Calabria-Salerno;  il  terzo,
costituito dalla particella n. 26 del foglio di mappa 13, posto a sud rispetto alla strada provinciale che da Rosarno conduce a Laureana di Borrello, strada dalla quale si accede all’RAGIONE_SOCIALE».
L’RAGIONE_SOCIALE con delibera n. 365 del 24/12/1999 dichiarava l’opera di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza.
Con decreto n. 364 del 6/6/2000 la Prefettura di Reggio Calabria autorizzava  l’occupazione  temporanea  ed  urgente  delle  particelle sopra  indicate  fino  al  23/12/2004,  con  la  successiva  proroga apportata dal decreto n. 28709 del 9/12/2004, fino al 22/11/2005.
In data 28/5/2004 la società RAGIONE_SOCIALE, in nome e per conto dell’RAGIONE_SOCIALE, comunicava la determinazione dell’indennità provvisoria pari ad euro 3,10 al metro quadrato, per la somma di euro  68.128,70,  oltre  all’indennità  di  occupazione  pari  a  1/12  ed oltre all’indennità per fabbricati, soprassuolo e danni.
Veniva offerta l’indennità provvisoria, al fine di giungere ad un accordo bonario, di euro 364.490,67, di cui euro 68.128,70 per il valore dell’area espropriata, per mq 21.977 X euro 3,10 al metro quadrato;  euro  136.257,40  per  la  maggiorazione  spettante  al proprietario  coltivatore  diretto;  euro  68.128,70  per  l’occupazione temporanea  dell’area  agricola;  euro  91.975,87  per  indennità  per soprassuolo.
L’offerta veniva respinta dagli attori.
La  società  RAGIONE_SOCIALE  depositava  la  somma  di  euro 68.128,70 presso la Cassa depositi e prestiti.
In  data  22/11/2005  il  AVV_NOTAIO  di  Reggio  Calabria  adottava  il decreto di esproprio, su autorizzazione dell’RAGIONE_SOCIALE con provvedimento n. 40143 del 7/11/2005.
La società RAGIONE_SOCIALE notificava il decreto di esproprio ai proprietari il 19/5/2006.
A seguito di opposizione alla stima, la corte d’appello, dopo l’espletamento della CTU, determinava in complessivi euro 113.459,12  la  somma  totale  dovuta  a  NOME  COGNOME  e  in complessivi  euro  10.156,76  la  somma  totale  dovuta  a  NOME COGNOME,  a  titolo  di  indennità  di  espropriazione  ed  indennità  di occupazione legittima dei fondi.
2.1. Per quel che ancora qui rileva la Corte territoriale rilevava il difetto  di  legittimazione  passiva  della  società  italiana  RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva agito non in nome proprio, ma in nome e per conto della società appaltante, e quindi dell’RAGIONE_SOCIALE, «unica protagonista della vicenda».
2.2. Quanto all’intimazione nei confronti del AVV_NOTAIO, si rilevava che tale adempimento assolveva ad una mera esigenza di informazione,  senza  porre  detta  autorità  nella  qualifica  di  parte formale, né sostanziale. Ne discendeva che la notifica alla Prefettura era stata effettuata da parte attrice a soli fini informativi ai sensi dell’art.  51  della  legge  n.  2359  del  1865,  non  essendo  dunque necessario dichiarare il difetto di legittimazione della Prefettura.
2.3. Chiariva poi la Corte d’appello che, poiché la dichiarazione di  pubblica  utilità  era  avvenuta  il  24/12/1999  con  la  delibera dell’RAGIONE_SOCIALE n. 365, il regime normativo applicabile era quello dettato dalla legge n. 2359 del 1865.
2.4.  Venivano  escluse  le  domande  di  indennizzo  relative  alle particelle  nn.  158,159,160,161  e  179,  del  foglio  di  mappa  12,  in quanto le stesse «non erano in proprietà di COGNOME NOME all’epoca dell’occupazione  di  urgenza  per  cui  è  causa  (1999/2000),  né all’epoca del decreto di espropriazione (2005), nonostante le diverse indicazioni  testuali  contenute  nell’elenco  delle  ditte  allegato  al decreto di occupazione».
Per quel che ancora qui rileva, la Corte territoriale escludeva la sussistenza di un’ipotesi di espropriazione parziale.
Invero, secondo l’assunto dei ricorrenti occorreva tener conto «nella determinazione delle indennità di espropriazione, oltre che della parte materialmente ablata, anche del deprezzamento subito dalla porzione di fondo rimasta in […] proprietà, quale conseguenza diretta del distacco della prima dalla seconda, sostenendo in particolare che i lavori autostradali avrebbero sezionato l’esteso appezzamento di proprietà NOME, creando zone di interclusione o difficilmente raggiungibili, e determinando così una sicura diminuzione di valore della parte residua, non espropriata».
Per gli attori, infatti, «i terreni residui e quelli espropriati facevano parte dello stesso fondo, essendo tra loro contigui, e soprattutto erano utilizzati nella stessa RAGIONE_SOCIALE agricola, sussistendo tra loro un vincolo strutturale, funzionale ed economico; la diminuzione di valore della parte rimanente di RAGIONE_SOCIALE agricola sarebbe stata, nella specie, concreta ed obiettiva, e, pur tuttavia, non era stata presa in considerazione dall’ente espropriante al momento della quantificazione della relativa indennità».
Tale assunto – a giudizio della Corte di merito – non era fondato, in ragione della peculiarità del caso concreto.
3.1. La Corte territoriale muoveva dall’assunto per cui il CTU aveva spiegato «che le porzioni di terreno espropriate, nonostante la loro marginale ubicazione e la loro ridotta dimensione rispetto all’intero compendio RAGIONE_SOCIALEle avevano esplicato, sino al momento della occupazione e contestuale immissione in possesso, un ruolo funzionale importante per l’attività produttiva tutta, poiché su di esse, secondo la descrizione contenuta nel ‘verbale di accertamento dello stato di consistenza di immissione in possesso’ del 18/8/2000, ricadeva la gran parte delle strutture costituenti l’impianto e la rete
di distribuzione idrica a servizio di tutta l’RAGIONE_SOCIALE, divenute sostanzialmente inutilizzabili a seguito della procedura ablatoria di che trattasi».
Ed infatti, l’RAGIONE_SOCIALE era inizialmente dotata di n. 5 pozzi, di cui 2 ubicati sulla particella n. 73 (oggetto di esproprio per mq 7427), ora n. 238, immessi nel possesso dall’espropriante, unitamente alla cabina elettrica con quadri elettrici di comando, uno ubicato sulla particella 91, ora n. 244, di mq 3578, anch’esso immesso nel possesso dalla società espropriante, e 2 ubicati sulla particella n. 24, ora 279, per mq 56, posti in adiacenza ad una vasca di accumulo e dei quali solo uno era stato immesso nel possesso dall’espropriante.
Chiariva la Corte di merito che i pozzi «avevano rappresentato, sino all’immissione in possesso, la fonte essenziale di approvvigionamento di acqua per l’irrigazione di tutta l’area e, al momento dell’occupazione, si trovavano in condizioni di regolare emungimento, tale che il relativo apporto idrico, attraverso un sistema di irrigazione strutturato su uno schema ad anello (è costituito da vasche di raccolta di varie dimensioni, una condotta irrigua principale automatizzata, un impianto di irrigazione a baffo e condotta principale, delle strade interpoderali che giungevano sino al centro RAGIONE_SOCIALEle, dei fossi di scolo ed una cabina elettrica di comando per accensione automatica degli impianti), partendo dai pozzi situati a nord dell’RAGIONE_SOCIALE, si diramava per tutta l’RAGIONE_SOCIALE in modo circolare e serviva così tutte le piantagioni, in massima parte di natura irrigua (agrumeti, frutteti, non ceti, uliveti)».
Si  evidenziava  anche  che,  ad  avviso  del  CTU,  «sarebbe  da ritenere esistente, in punto di fatto, un intimo collegamento tra la più vasta parte residua del fondo agricolo (rimasta in proprietà dei COGNOME) e la parte espropriata, essendo esse risultate unite tra loro da  un  vincolo  strumentale  ed  obiettivo  (tale,  cioè,  da  conferire
all’intero immobile unità economica e funzionale), proprio per il dato costituito dalla presenza, nella parte espropriata, della maggior parte delle strutture costituenti l’impianto idrico a servizio dell’intera RAGIONE_SOCIALE, ed in particolare dei pozzi immessi in possesso dall’RAGIONE_SOCIALE, l’impossibilità di usare i quali dopo l’occupazione finalizzata all’espropriazione ha determinato la trasformazione del complesso RAGIONE_SOCIALEle da irriguo ad asciutto, compromettendo alquanto la capacità produttiva della restante estesa proprietà a causa proprio della carenza di irrigazione, fertilizzazione e potatura delle piante, in un contesto di estesa piantagione di agrumi, oltre che di susineti e pescheti, richiedenti tutti costante innaffiamento per la loro crescita e produzione».
Tuttavia, la Corte d’appello escludeva la sussistenza dell’espropriazione parziale, in quanto «nel caso concreto i pozzi che sono stati immessi in possesso dall’RAGIONE_SOCIALE espropriante non ricadevano all’interno dell’area espropriata, bensì, stando alle risultanze della sovrapposizione dell’esproprio sui luoghi di causa, si trovavano all’esterno rispetto al confine determinato dall’espropriazione, e dunque al di fuori delle porzioni delle rispettive particelle 73, di ubicazione dei pozzi numeri 1 e 2, con la cabina elettrica ed i quadri di comando), 92 (di ubicazione del pozzo n. 5) e 24 (di ubicazione dei pozzi numeri 3 e 4, di cui uno solo è stato immesso in possesso come si è detto sopra) oggetto di esproprio».
Ciò emergeva dal giudizio per risarcimento dei danni instaurato da NOME COGNOME dinanzi al tribunale di Reggio Calabria nel 2003, «riguardante  i  pretesi  danni  subiti  dall’RAGIONE_SOCIALE  agricola  a  seguito dell’occupazione di una parte di essa a fini di espropriazione».
Per  tale  ragione,  l’ente  espropriante  si  era  impossessato  «del cuore dell’impianto idrico costituito dai pozzi suddetti», senza «un titolo  giuridico,  essendo  la  dichiarazione  di  pubblica  utilità  non
riferibile  (anche) a quelle porzioni di particelle in cui si trovava la maggior parte dei pozzi occupati e poi acquisiti dall’ente espropriante, con la conseguenza che, riguardo ad essi, la acclarata trasformazione  del  terreno  non  può  che  ritenersi  di  mero  fatto, tutelabile, se del caso, in via risarcitoria, ma non certo valutabile ai fini della determinazione delle indennità di espropriazione».
Ai fini della configurazione dell’espropriazione parziale mancherebbe un presupposto essenziale, ossia «la regolare espropriazione  dei  siti  in  cui  si  trovavano  i  pozzi  stessi,  elementi essenziali dell’impianto idrico, la cui impossibilità di utilizzo avrebbe […]  inciso  in  maniera  negativamente  pregnante  sulla  capacità produttiva dell’RAGIONE_SOCIALE tutta».
Quanto poi all’ulteriore aspetto relativo al cambiamento della viabilità  all’interno  dell’RAGIONE_SOCIALE,  la  Corte  d’appello  rilevava  che  su parti del fondo immesso nel possesso erano presenti delle stradine interpoderali che mettevano in comunicazione il relato sud con il lato nord dell’RAGIONE_SOCIALE, in particolare con le attuali particelle 280 (ex 24) e 282 (ex 72).
A seguito dell’espropriazione, invece, «per potervi accedere si è reso necessario attraversare, oltre agli scatolari con funzione idraulica e/o sottopassaggi autostradali, alcune strade in terra battuta di proprietà RAGIONE_SOCIALE»; sicché, «se in precedenza era necessario percorrere i sottopassi autostradali per raggiungere le aree poste a nord dell’RAGIONE_SOCIALE, a seguito dell’espropriazione, oltre ai sottopassi, il proprietario è obbligato a percorrere delle stradine divenute ora di proprietà del predetto RAGIONE_SOCIALE per raggiungere, dalla parte sud, le particelle ubicate a nord del compendio RAGIONE_SOCIALEle».
Ciononostante, per la Corte di merito, «il parziale mutamento nelle  caratteristiche  di  collegamento  viario  verificatosi  a  seguito dell’esproprio, l’esiguità della porzione di proprietà residua rimasta
interclusa porta a ritenere che non si possono configurare, in relazione ad essa, i presupposti dell’espropriazione ‘parziale’, sotto il profilo sia dell’intimo collegamento tra le parti non espropriate e quelle espropriate attraverso un vincolo strumentale ed obiettivo, che dell’influenza negativa del distacco di una parte del fondo dal resto, tenuto conto anche che, in via di fatto, è risultato comunque tollerato l’attraversamento da parte del NOME delle stradine (ora) in proprietà RAGIONE_SOCIALE onde raggiungere le particelle 280 e 282».
La Corte d’appello, poi, respingeva la richiesta dell’indennità aggiuntiva  fondata  sulla  circostanza  della  lavorazione  diretta  del suolo da parte degli attori e sul fatto di trarre il loro reddito proprio dall’RAGIONE_SOCIALE agricola menomata dall’espropriazione.
Non  risultava  provato,  infatti,  l’elemento  fattuale  relativo  alla lavorazione diretta del suolo. Anzi, dagli elementi raccolti emergeva, «anche  in  considerazione  della  vastità  dell’RAGIONE_SOCIALE»,  che  i  NOME erano «’imprenditori agricoli’ […] quali soggetti […] che esercitano la  coltivazione  e  produzione  agricola  con  prevalenza  del  fattore capitale  sul  lavoro  e  con  impegno  prevalente  di  manodopera subordinata», non  aventi quindi diritto alla pretesa indennità aggiuntiva.
Nelle more, peraltro, interveniva la pronuncia del Consiglio di Stato n. 978 del 2012 che accoglieva in parte l’appello proposto da NOME COGNOME NOME COGNOME, reputando l’illegittimità del decreto di proroga n. 28709 del 9/12/2004 nella parte in cui aveva autorizzato l’occupazione eccedente il quinquennio scadente il 18/8/2005, in quanto «considerato che la proroga ha operato sino al 22 novembre 2005, il decreto non vale ad attribuire idoneo titolo per i 3 mesi successivi, periodo durante il quale l’occupazione è da ritenersi illecita e produttiva di danno».
Di  qui  la  quantificazione  «in  via  equitativa  nella  misura  degli interessi  legali  sulla  somma  pari  al  valore  venale  degli  immobili, considerando come congruo e ragionevole il prezzo di euro 6,00 per metro quadrato (somma dichiarata dall’appellante non contestata) per un risultato finale di euro 867,04 a favore di COGNOME NOME di euro 70,00 a favore di COGNOME NOME».
Inoltre, nelle more veniva pronunciata sentenza da parte del tribunale di Reggio Calabria n. 806/2014 depositata il 13/5/2014.
Avverso la sentenza della Corte d’appello hanno presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE).
Sono rimaste intimate la prefettura di Reggio Calabria e la RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione ricorrenti deducono la «violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione dell’art. 40 legge 2359/1865 in relazione al mancato riconoscimento della  maggiore  indennità  di  esproprio  della  parte  residua  della proprietà  non  espropriata  per  violazione  dei  principi  in  ordine  al criterio di unitarietà e con particolare riferimento all’art. 1027 e 1031 c.c., in materia di costituzione della servitù di passaggio».
In particolare, ai fini dell’individuazione dell’esplorazione parziale non  poteva  non  farsi  riferimento  al  «frazionamento  di  un’RAGIONE_SOCIALE agricola».
Ad  avviso  dei  ricorrenti,  il  CTU  aveva  dato  atto  dell’esistenza dell’unitarietà  RAGIONE_SOCIALEle,  evidenziando  che  «l’espropriazione  ha comportato, di fatto, una serie di problematiche che hanno influito negativamente sulla produttività dell’intera RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE residua,
conducendo,  inevitabilmente  e  repentinamente  alla  diminuzione totale del suo valore di mercato».
Il CTU ha indicato – a giudizio del ricorrente – due criteri oggettivi per  dimostrare  l’esistenza  dell’unitarietà  RAGIONE_SOCIALEle  e  la  perdita  di valore della parte residua causa dell’esproprio. Essi erano identificabili,  da  un  lato,  nella  impossibilità  di  utilizzare  i  pozzi  e dall’altra nelle strade interpoderali.
Per la Corte d’appello, invece, tali criteri, pur se oggettivamente individuati per dimostrare la preesistente unitarietà RAGIONE_SOCIALEle ed il successivo danneggiamento della parte residua, erano inidonei «a determinare  l’unitarietà  e  il  diritto  all’indennizzo  del  COGNOME,  per inesistenza dell’unitarietà RAGIONE_SOCIALEle».
Si sarebbe dunque in presenza di «un’erronea applicazione delle norme di diritto in materia di valutazione dell’indennizzo, servitù ed interclusione».
La Corte di merito ha dichiarato che le particelle n. 280 e n. 282 non  espropriate  e  rimaste  intercluse,  lo  sarebbero  solo  in  via  di diritto, dovendo gli attori per raggiungere loro proprietà «obbligatoriamente attraversare la proprietà RAGIONE_SOCIALE, rimanendo [tali aree] di fatto interclusione».
E  tuttavia,  gli  attori  potrebbero  comunque  di  fatto  passare attraverso  i  terreni  di  proprietà  dell’RAGIONE_SOCIALE,  per  raggiungere  una porzione esigua di terreno.
Sul  punto,  gli  attori  evidenziano  che  «detta  interclusione  era inesistente  prima  dell’esproprio  e  riguarda  un’estensione  di  mq 32.000,00».
Non rileva in alcun modo quanto affermato dalla Corte territoriale per cui la «mera interclusione» sarebbe ininfluente in quanto «l’RAGIONE_SOCIALE (espropriante) di fatto tollera il passaggio e la superficie è esigua».
Infatti,  per  i  ricorrenti  «l’interclusione  di  un  fondo  può  essere vinta  solo  con  la  costituzione  di  una  servitù  a  carico  del  fondo servente, diversamente, il fondo interclusione è privo di un accesso costituito per titolo».
Insomma, per i ricorrenti «l’unitarietà  del  bene  originario  non può  essere  esclusa  utilizzando  un  principio  contro  diritto,  cioè  la negazione della necessità di una servitù costituita per titolo»; sicché «i fondi interclusi […] non possono  essere raggiunti con la ‘tolleranza’ dell’RAGIONE_SOCIALE atteso che la tolleranza può cessare in qualsiasi momento».
Tra  l’altro,  non  può  dimenticarsi  che  «all’interno  dei  fondi interclusi,  come  evidenziato  anche  dalla  Corte  d’appello  insistono due  pozzi  per  l’emungimento  dell’acqua  di  irrigazione,  detti  pozzi sono rimasti in proprietà NOME, ma a causa dell’interclusione sono inutilizzabili, perché irraggiungibili».
Di  qui  l’evidenza  della  «unitarietà  RAGIONE_SOCIALEle  ante  esproprio» come  pure  del  «deprezzamento  della  proprietà  residua  a  seguito della perdita di unitarietà, quale conseguenza dell’esproprio».
Del resto, il tribunale di Reggio Calabria, con sentenza n. 806 del 2014, ha affermato che «l’interclusione delle due particelle non dipende dalle attività materiali di esecuzione lavori, ma dall’esproprio parziale delle particelle del NOME […] In definitiva i profili irreversibili di danno subiti dalla parte residua della proprietà a seguito dell’interclusione della medesima dopo l’espropriazione, non possono che trovare riconoscimento nei concetti di occupazione e di espropriazione parziale e danno diritto ad un’unica indennità».
Nella zona di interclusione insistono due pozzi per l’emungimento delle  acque  da  destinare  all’irrogazione  dell’RAGIONE_SOCIALE.  Si  tratta  dei pozzi  numeri  3  e  4,  insistente  sulla  particella  280,  ex  24.  Tale interclusione non consente l’accesso dei pozzi.
Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per violazione dell’art. 40 legge 2359/1865 in relazione al mancato riconoscimento della  maggiore  indennità  di  esproprio  della  parte  residua  della proprietà  non  espropriata  per  violazione  dei  principi  in  ordine  al criterio di unitarietà con  riferimento all’esistenza dell’impianto irriguo».
La Corte d’appello ha escluso l’esistenza dell’unitarietà dell’RAGIONE_SOCIALE agricola in quanto «nel caso concreto i pozzi che sono stati  immessi  nel  possesso  dell’ente  espropriante  non  ricadevano all’interno  dell’area  espropriata,  bensì,  […]  all’esterno  rispetto  al confine determinato dall’espropriazione».
In  realtà,  però,  l’oggettiva  unitarietà  dell’RAGIONE_SOCIALE  agricola  è l’elemento che determina il diritto alla percezione dell’indennizzo di esproprio ex art. 40 della legge n. 2359 del 1865.
Ad avviso dei ricorrenti, allora, «la Corte d’appello stravolge il concetto di unitarietà, laddove ritiene che l’ubicazione dei pozzi di emungimento  sia  elemento  idoneo  a  determinare  la  suddetta unitarietà».
In realtà, «l’unitarietà non è data dal pozzo, che può rappresentare un elemento, ma non il criterio, ma l’unitarietà deve essere valutata in maniera oggettiva per verificare quanto e come prima  dell’esproprio  l’RAGIONE_SOCIALE  rappresentasse  un  tutt’uno  e  dopo l’esproprio l’ablazione di una superficie ha determinato un deprezzamento ed una diminuzione di valore del residuo, rispetto al suo valore ante esproprio».
Ciò  che  deve  rilevare,  ai  fini  della  sussistenza  dell’unitarietà RAGIONE_SOCIALEle, è costituito «dalla preesistenza di un impianto idrico ad anello che interessava l’intero compendio RAGIONE_SOCIALEle, il pozzo è un elemento  dell’impianto,  non  è  l’unico,  è  il  sistema  di  irrigazione
diffuso  su  tutta  RAGIONE_SOCIALE  in  maniera  inscindibile  che  determina l’unitarietà».
Esisteva dunque un impianto di irrigazione unitario che, a seguito dell’esproprio, non era più funzionante.
Ciò  che  rileva  –  proseguono  i  ricorrenti  –  «è  la  complessità dell’impianto  ai  fini  della  sua  ramificazione  all’interno  dell’intera RAGIONE_SOCIALE, per conferire alla stessa unitarietà».
Va considerato che «l’impianto senza tubazione non può funzionare» mentre «sono state divelte e mai ripristinate tutte le tubazioni che ricadevano in tutta la zona di esproprio».
Senza dimenticare l’esproprio dell’impianto viario, in quanto le tubazioni  principali  dell’impianto  idrico  non  si  snodano  in  zone coltivate, «ma sempre in corrispondenza delle strade interpoderali per facilitare le opere di manutenzione». È stato dunque eliminato l’impianto idrico sottostante al sistema viario.
I motivi primo e secondo, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati.
3.1. La Corte d’appello, nel reputare l’assenza dell’unità funzionale dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ha violato il costante orientamento giurisprudenziale in tema di espropriazione parziale, non avendo tenuto conto, da un lato, dell’ormai avvenuta totale interclusione della parte residua dei fondi degli attori, e quindi delle particelle n. 280, ex 24, sulla quale peraltro erano insediati i pozzi numeri 3 e 4, nonché della particella n. 282, ex 72, entrambe posizionate al nord, dall’altra parte dell’autostrada, e dall’altro, ha omesso di considerare che l’impianto di irrigazione era uno soltanto, unitario, coinvolgente l’intera RAGIONE_SOCIALE agricola, e pur muovendo dai 5 pozzi di emungimento delle acque (collocati appunto nella parte Nord), si dipanava ad anello per irrogare tutte le piante che si trovavano nel territorio RAGIONE_SOCIALEle, sia nella parte centrale che a Sud dell’RAGIONE_SOCIALE.
4. Per questa Corte, infatti, in tema di espropriazione per pubblica utilità, quella parziale per la quale l’indennità va determinata sulla base della differenza fra il valore dell’unico bene prima dell’espropriazione ed il valore della porzione residua secondo l’art.40 della l. n. 2359 del 1865 (oggi art. 33 del d.P.R. n. 227 del 2001), si verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica, implicando per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa (Cass., sez. 1, 15 luglio 2020, n. 15040; Cass., sez. 1, 2/7/2020, n. 13598; Cass., sez. 1, 11 ottobre 2021, n. 27555). L’indennizzo non può riguardare soltanto la porzione espropriata, ma anche la compromissione o l’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione del bene rimasta nella disponibilità del proprietario, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l’esecuzione dell’opera pubblica influiscano negativamente sulla parte residua (Cass., sez. 1, 15/6/2017, n. 14891).
Pertanto, è necessario, da un lato, che ai fini della configurazione dell’espropriazione parziale, che la parte residua del fondo sia intimamente collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale ed obiettivo, tale da conferire all’intero immobile il carattere di unità economica e funzionale (Cass., 10/7/1998, n. 6722) e, dall’altro, che il distacco di una parte di esso abbia influito, oggettivamente (con esclusione, dunque, di ogni valutazione soggettiva), in modo negativo sulla parte residua (Cass. n. 14891
del 2017; Cass., sez. 1, 3/7/2013, n. 16616; Cass., 4/11/2005, n. 21401).
La ratio di tale disciplina – che muove dai principi di cui all’art. 40 della legge n. 2359 del 1865, qui applicabile ratione temporis – è quella di tenere conto della circostanza che quando, come spesso accade, l’esproprio ha ad oggetto soltanto una parte della proprietà, la porzione residua, pur non interessata, può però subire un significativo deprezzamento; per la dottrina, dunque, l’indennità per la parte espropriata deve tenere conto, oltre che del valore della stessa in sé, anche della diminuzione di valore che l’ablazione della porzione proietta sul bene residuo.
Pertanto,  il  pregiudizio  provocato  al  proprietario  di  un  fondo unitario dall’espropriazione parziale viene compensato con il riconoscimento, in sede di quantificazione dell’indennizzo, dell’effettivo diminuito valore del bene complessivamente considerato, avendo a riferimento ogni alterazione della potenzialità di utilizzo della porzione residua.
La previsione dell’art. 33 del d.p.r. n. 327 del 2001 (art. 40 della legge n. 2359 del 1865), dunque, è in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale ed europea, i quali esigono non solo che l’indennizzo sia commisurato al valore venale del bene espropriato, ma anche che esso, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l’esecuzione dell’opera pubblica influiscano negativamente sulla parte residua, sia calcolato tenendo conto della compromissione o alterazione delle possibilità di utilizzazione di quest’ultima, in modo da compensare il pregiudizio ad essa arrecato dall’ablazione.
Ai fini della determinazione dell’indennizzo deve farsi riferimento non  solo  all’esistenza  di  una  connessione  funzionale  tra  la  parte oggetto dell’espropriazione e quella non interessata, sicché le due
parti – appartenenti allo stesso proprietario  – siano considerate come un’ unicum sotto  il  profilo  funzionale  di  economico  (Cass.,  sez.  1, 23/11/2004, n. 2210; Cass., sez.1, 9/4/1997, n. 561), ma anche l’effettivo  ‘degrado’  della  parte  non  espropriata,  non  essendo sufficiente la mera esecuzione di un’opera integrale tale requisito.
Nella specie, emerge dalla stessa motivazione della sentenza della Corte d’appello che la porzione residua di proprietà in capo ai NOME, costituita dalle particelle n. 280, ex 24, e n. 282, extra 72, è rimasta del tutto interclusa, a seguito dei lavori effettuati dall’RAGIONE_SOCIALE per l’ammodernamento dell’autostrada Salerno Reggio Calabria.
Tali terreni, che si trovano a nord dell’apprezzamento complessivo, erano prima collegati attraverso sottopassaggi autostradali, mentre ora, pur essendo ancora disponibili tali sottopassaggi,  tuttavia  i  terreni  siti  a  nord  ed  a  sud  di  tale sottopassaggi  sono  divenuti  di  proprietà  esclusiva  dell’RAGIONE_SOCIALE;  ne consegue la assoluta interclusione di tali appezzamenti di terreno, ove  sono  situati  due  pozzi  di  emungimento,  con  riferimento  alla particella n. 280, ex 24.
Deve anche precisarsi che, attraverso l’espropriazione, solo uno dei due pozzi è stato immesso nel possesso, mentre l’altro pozzo è rimasto nella disponibilità dei proprietari, ma, essendo stata distrutta l’intera rete di distribuzione idrica, che si trovava al di sotto dei terreni espropriati, anche tale pozzo è risultato inservibile, con la conseguente perdita di produttività dell’intero compendio espropriato e anche della parte non espropriata (per un’ipotesi di espropriazione parziale di un’RAGIONE_SOCIALE agricola cfr. Cass., sez. 1, 14/9/1995, n. 9586, in cui la diminuzione dell’RAGIONE_SOCIALE agricola era avvenuta per il frazionamento dei terreni e la maggiore onerosità della gestione; si è ritenuto sussistere, poi, un’espropriazione parziale di immobili a destinazione industriale, in relazione al
deprezzamento dei beni mobili facenti parte dell’attrezzatura industriale,  in  relazione  ai  costi  legati  alla  rimozione  e  reimpianto ovvero per il fatto di non essere altrimenti utilizzabili; vedi Cass., Sez. U., 8/6/1998, n. 5609).
Neppure  può  essere  condivisa  l’affermazione  della  Corte  di merito per cui i fondi siti a nord, e precisamente quelli sopra indicati di  cui  ai  numeri  280  e  282,  sarebbero  comunque  raggiungibili,  di fatto, in virtù della mera tolleranza dell’RAGIONE_SOCIALE.
Come  ricordato  dai  ricorrenti,  infatti,  tale  tolleranza  potrebbe venir meno in ogni momento, con la definitiva interruzione di ogni possibile attività intrapresa per lo sfruttamento agricolo dei fondi.
6. Con riferimento alla mancanza di interclusione, dunque, risulta erronea l’affermazione contenuta nella motivazione della sentenza della Corte d’appello per cui «il parziale mutamento nelle caratteristiche di collegamento viario verificatosi a seguito dell’esproprio, l’esiguità della porzione di proprietà residua rimasta interclusa porta a ritenere che non si possano configurare, in relazione ad essa, i presupposti dell’espropriazione ‘parziale’, sotto il profilo sia dell’intimo collegamento tra le parti non espropriate e quelle espropriate attraverso un vincolo strumentale d’obiettivo, che dell’influenza negativa del distacco di una parte del fondo dal resto, tenuto conto anche che, in via di fatto, è risultato comunque tollerato l’attraversamento da parte dei NOME delle stradine (ora) in proprietà RAGIONE_SOCIALE onde raggiungere le particelle 280 e 282».
È sufficiente, con riguardo all’interclusione sicuramente avvenuta dei fondi di cui alle particelle n. 280 e 282, poste al nord rispetto all’appezzamento di terreno espropriato ed all’autostrada, osservare, da  un  lato,  che  si  è  in  presenza  di  un’unica  RAGIONE_SOCIALE  agricola  che concerneva tutti i terreni di proprietà dei COGNOME, anche e soprattutto attraverso un sistema di distribuzione idrico particolarmente
raffinato, con la presenza di ben 5 pozzi di emungimento delle acque, e, dall’altro, che i due terreni posti a nord sono divenuti irraggiungibili, con una interclusione totale degli stessi, non superabile  certo  con  la  mera  tolleranza  da  parte  dell’RAGIONE_SOCIALE  del passaggio dei ricorrenti per accedere ai terreni di loro proprietà.
7. Sempre nella motivazione della sentenza della Corte d’appello si rinviene la sussistenza di un’unica RAGIONE_SOCIALE agricola. Ed infatti, è lo stesso giudice di merito ad affermare con granitica evidenza che i pozzi e le adduzioni idriche «avevano rappresentato, sino all’immissione in possesso, la fonte essenziale di approvvigionamento di acqua per l’irrigazione di tutta l’area e, al momento dell’occupazione, si trovano in condizioni di regolare emungimento, tale che il relativo apporto idrico, attraverso un sistema di irrigazione strutturato su uno schema d’anello (e costituito da vasche di raccolta di varie dimensioni, una condotta irrigua principale automatizzata, un impianto di irrigazione a baffo e condotta principale, delle strade interpoderali che giungevano sino al centro RAGIONE_SOCIALEle, dei fossi di scolo ed una cabina elettrica di comando per accensione automatica degli impianti), partendo dai pozzi situati a nord dell’RAGIONE_SOCIALE, si diramava per tutta l’RAGIONE_SOCIALE in modo circolare serviva così tutte le piantagioni, in passi ma parte di natura irrigua (agrumeti, frutteti, noceti, uliveti)».
Prosegue la Corte d’appello nel riferire che, sulla scorta del giudizio del CTU, «sarebbe da ritenere, in punto di fatto, un intimo collegamento tra la più vasta parte residua del fondo agricolo (rimasta in proprietà dei COGNOME) e la parte espropriata, essendo esse risultati unite tra loro da un vincolo strumentale d’obiettivo (tale, cioè, da conferire all’intero immobile unità economica e funzionale), proprio per il dato costituito dalla presenza, nella parte espropriata, della maggior parte delle strutture costituenti l’impianto idrico a
servizio dell’intera RAGIONE_SOCIALE, e in particolare dei pozzi immessi in possesso dall’ente, l’impossibilità di usare i quali dopo l’occupazione finalizzata all’espropriazione ha determinato la trasformazione del compendio RAGIONE_SOCIALEle da irrigua da asciutto, compromettendo alquanto la capacità produttiva della restante estesa proprietà causa proprio della carenza di irrigazione, fertilizzazione e potatura delle piante, in un contesto di estesa piantagioni di agrumi, oltre che di susineti e pescheti, richiedenti tutti costante annaffia mento per la loro crescita e produzione».
La perfetta ricostruzione in fatto delle circostanze relative all’espropriazione ed alle caratteristiche essenziali del fondo utilizzato dall’impresa agricola non può poi essere messa in disparte semplicemente con l’affermazione per cui «i pozzi che sono stati immessi in possesso dall’ente espropriante non ricadevano all’interno dell’area espropriata, bensì, stando alle risultanze della sovrapposizione dell’esproprio sui luoghi di causa, si trovavano all’esterno rispetto al confine determinato dall’espropriazione, e dunque al di fuori delle porzioni delle rispettive particelle 73 (di ubicazione dei pozzi numeri 1 e 2, con la cabina elettrica dei quadri di comando), 91 (di ubicazione del pozzo n. 5) e 24 (di ubicazione dei pozzi numeri 3 e 4, di cui uno solo è stato immesso in possesso come si è detto sopra) oggetto di esproprio».
La presenza di un unitaria RAGIONE_SOCIALE agricola, perfettamente funzionante, poi sostanzialmente completamente distrutta a seguito dell’esproprio, non può perdere i caratteri della unitarietà esclusivamente perché i pozzi di emungimento si trovavano all’interno di particelle che non risultavano espropriate, in quanto ciò che rileva è proprio la sussistenza di un impianto idrico unitario, costituito non solo dai pozzi, ma anche dalle condotte irrigue, sia da quella principale automatizzata, sia dall’impianto di irrigazione a
baffo, sia dalla condotta principale, sia dalle strade interpoderali, sia dei fossi di scolo, sia dalla cabina elettrica di comando.
Sul punto, va considerato proprio quanto riportato dal CTU, e trascritto ritualmente nel motivo di ricorso per cassazione (a pagina 9), ove si chiarisce perfettamente che «sebbene l’ubicazione dei terreni oggetto di esproprio sia marginale, ovvero sebbene dette particelle siano collocate tutte nella zona dell’RAGIONE_SOCIALE posta più a nord, lungo un tratto della già esistente autostrada, l’espropriazione ha comportato di fatto, una serie di problematiche che hanno influito negativamente sulla produttività dell’intera RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE residua, conducendo inevitabilmente repentinamente alla diminuzione totale del suo valore di mercato» (cfr. pagina 120 della CTU).
A  pagina  15  del  ricorso  per  cassazione  si  richiama  quanto riportato dal CTU a pagina 121 e, dunque, che «l’RAGIONE_SOCIALE, che basava la  sua  redditività  su  colture  che  necessita  obbligatoriamente  di interventi irrigui per poter crescere fruttificare, e che quindi proprio per  questo  era  dotata  di  pozzi  ed  impianti  irrigui,  si  è  trovata repentinamente  in  una  condizione  di  siccità,  non  potendo  più  i proprietari utilizzare l’acqua proveniente dai pozzi».
Allo stesso modo, a chiarire l’esistenza dell’unitarietà RAGIONE_SOCIALEle, nel motivo di ricorso, a pagina 15, si riporta quanto affermato dal CTU a pagina 125, e quindi che «in seguito, poi, all’inizio dei lavori […] sono intervenuti problemi con alcuni tubi di adduzione che sono stati tranciati. Sono state riscontrate otturazioni degli impianti di irrigazione. Insomma, nei fatti l’RAGIONE_SOCIALE non ha più potuto essere irrigata. Il sistema di irrigazione dell’intera RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era costituito e basato su di uno schema ad anello che si dipartiva dai pozzi diramandosi in tutta l’RAGIONE_SOCIALE in modo circolare».
Sempre ad evidenziare l’unitarietà RAGIONE_SOCIALEle nel motivo di ricorso per cassazione, a pagina 15, si riportano anche ulteriori affermazioni
del CTU, indicate nelle pagine 103,100 e 105, ove si chiarisce in modo inoppugnabile che «sull’area insistono le seguenti costruzioni cabina elettrica con quadri elettrici di comando […] Sull’intera RAGIONE_SOCIALE agricola […] esiste un sistema di filtraggio delle acque […] l’RAGIONE_SOCIALE è titolare di quattro contratti RAGIONE_SOCIALE per uso irriguo […] Vasca di raccolta acqua […] In funzione di tutto questo, l’importanza dei terreni in oggetto per tutta l’RAGIONE_SOCIALE agricola diventa fondamentale, poiché essi di fatto, ricoprivano un ruolo primario e finalizzato alla gestione economico produttiva e quindi all’esercizio di tutta l’RAGIONE_SOCIALE».
Sempre nel motivo di ricorso per cassazione, a pagina 16 ed a pagina 17 del ricorso, si riportano stralci della CTU (pag. 136), da dove emerge continuamente il richiamo all’unitarietà RAGIONE_SOCIALEle, con la precisazione per cui «per la determinazione del valore di mercato della proprietà rimasta in ditta, in seguito all’esproprio, occorre premettere che […] d) il sistema irriguo dell’intera RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che si ripartiva dai pozzi ubicati nella zona posta a nord dell’RAGIONE_SOCIALE, e che con uno schema ad anello andava a raggiungere e quindi ad irrigare tutta la vegetazione arborea presente nell’RAGIONE_SOCIALE, a causa dell’immissione in possesso dei predetti pozzi da parte dell’ente espropriante, conducendo quindi l’intera RAGIONE_SOCIALE nell’impossibilità di essere produttiva e quindi compromettendo nella sua redditività; e) le particelle facenti parte dell’RAGIONE_SOCIALE residua, sulle quali insistevano agrumeti e frutteti produttivi, dovranno essere in massima parte espiantati e reimpiantati», con la precisazione per cui l’espropriazione ha comportato «un’interclusione di alcune particelle rimaste in proprietà attorea. Più precisamente, le particelle che risultano ubicate a nord del tracciato autostradale. Detta interclusione, viene così configurata: gli attori, per poter giungere alla particella 280 (ex particella 24) ed alla particella n. 282 (ex
particella 72), devono obbligatoriamente percorrere le superfici che sono state oggetto di esproprio che sono in ditta RAGIONE_SOCIALE e che si trovano nel lato nord e nel lato sud del tracciato autostradale»
Per il CTU, dunque, la diminuzione di valore di dette particelle coincide esattamente con la totale perdita di valore di mercato, non potendo  le  stesse  essere  apprezzare  dal  mercato  in  mancanza assoluta di domanda delle stesse nelle condizioni attuali.
Senza che si possa dimenticare anche quanto affermato dal tribunale di Reggio Calabria nel procedimento n. 2955 del 2003, con la sentenza n. 806 del 2014, per cui l’interclusione delle due particelle non dipende dall’attività materiale di esecuzione dei lavori ma dall’esproprio parziale delle particelle del NOME. Pertanto «i profili irreversibili di danno subiti dalla parte residua della proprietà a seguito dell’interclusione della medesima dopo l’espropriazione, non possono che trovare riconoscimento nei concetti di occupazione e di espropriazione parziale ed hanno diritto ad un’unica indennità».
Neppure è condivisibile l’affermazione dell’RAGIONE_SOCIALE per cui sarebbe ancora possibile provvedere alla sistemazione dell’impianto irriguo, sicché  non  vi  sarebbe  una  perdita  di  valore  definitiva  dell’area rimasta in proprietà degli attori.
Infatti, sul punto è sufficiente osservare che due pozzi, fondamentali per l’emungimento delle acque e per la distribuzione idrica a tutta la porzione residua, sono in realtà su due fondi del tutto interclusi ed irragiungibili; sicché anche provvedendo al rifacimento complessivo  dell’impianto  idrico  ad  anello,  mancherebbe  l’acqua derivante dai pozzi ubicati sui fondi integralmente interclusi.
Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «violazione a 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 40 del d.p.r.  n.  327  del  2001,  in  relazione  all’applicazione  della maggiorazione dell’indennità ai ricorrenti quali imprenditori agricoli».
La  Corte  d’appello  ha  escluso  la  sussistenza  dei  requisiti  per riconoscere agli attori il compenso aggiuntivo relativo alla coltivazione dei terreni in forma diretta. Ciò ha fatto, sia in assenza della prova della qualifica di coltivatore diretto in capo a NOME COGNOME e da NOME COGNOME, sia perché l’attività non è esercitata con «il lavoro diretto prevalente».
Per i ricorrenti, invece, che  sono  imprenditori  agricoli, la maggiorazione sarebbe comunque dovuta, proprio in relazione a tale qualifica.
Dovrebbe cioè trovare applicazione l’art. 40 del d.P.R. n. 327 del 2001 che ha abrogato le norme precedenti.
Trattasi di una norma che disciplina le modalità di liquidazione dell’indennità  di  esproprio  e,  dunque,  deve  essere  applicata  ai procedimenti in corso.
Del  resto,  tale  norma  era  vigente  al  momento  in  cui  è  stato emesso il decreto di determinazione della stima provvisoria.
8.1. Il motivo è infondato.
Trova  applicazione,  infatti,  nella  fattispecie  in  esame  l’art.  17 della legge n. 865 del 22/10/1971, vigente ratione temporis .
L’art.  17  della  legge  22/10/1971,  n.  865,  stabilisce,  al  primo comma, che «nel  caso  che  l’area  da  espropriare  sia  coltivata  dal proprietario diretto coltivatore, nell’ipotesi di cessione volontaria ai sensi dell’art. 12, primo comma, il prezzo di cessione è determinato in misura tripla rispetto all’indennità provvisoria, esclusa la maggiorazione prevista dal suddetto articolo».
Pertanto,  al  proprietario  coltivatore  diretto  non  spetta  una indennità  aggiuntiva,  ma  la  disposizione  si  limita,  nell’ipotesi  di cessione volontaria, ad aumentare il prezzo di cessione in misura tripla [fino al 29/17/1977 era doppia] rispetto all’indennità provvisoria.
Successivamente,  la  giurisprudenza  di  legittimità  ha  esteso l’aumento del prezzo anche alle ipotesi di perdita del terreno in virtù di decreto di esproprio o di occupazione espropriativa, non limitandolo  più  esclusivamente  all’ipotesi  della  cessione  volontaria del cespite (di recente Cass., sez. 1, 3/10/2024, n. 25972).
 Questa  Corte  ha  chiarito,  con  varie  pronunce,  la  natura  di coltivatore diretto, che consente la liquidazione dell’indennità aggiuntiva  in  favore  dei  soggetti  non  proprietari,  operando  una distinzione  rispetto  alla  qualifica  di  imprenditore  agricolo,  cui  non spetta tale indennità (Cass., n. 25972 del 2024).
9.1. Si è, infatti, escluso dal novero dei soggetti aventi diritto all’indennizzo aggiuntivo di cui all’art. 17 della legge n. 865 del 1971, l’imprenditore agricolo, il quale esercita la coltivazione e produzione agricola con prevalenza del fattore capitale sul lavoro e con impegno prevalente di manodopera subordinata, senza che tale esclusione possa ritenersi in contrasto con il principio di uguaglianza, avuto riguardo alla differenza esistente tra il predetto ed i soggetti menzionati dall’art. 17 della legge n. 865 del 1971 (Cass., sez. 1, 31/7/2019, n. 20658: che richiama Cass. n. 3706 del 24/2/2015; Cass., n. 12306 del 15/5/2008; Cass. n. 2477 del 19/2/2003).
Nella  giurisprudenza  più  datata,  la  nozione  di  imprenditore agricolo viene rinvenuta nel combinato disposto degli articoli 2083, 2135  e  2751bis c.c.,  trascurando  altre  definizioni  ad  efficacia settoriale.
L’elemento qualificante della coltivazione diretta sussiste, invece, in tutte quelle ipotesi in cui la coltivazione del fondo da parte del titolare  avviene  con la prevalenza del lavoro proprio e di persone della sua famiglia, in presenza di uno dei rapporti agrari tipici previsti dalla norma, con onere della prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., a capo
del  soggetto  che  intende  trarre  conseguenze  favorevoli  (Cass.,  n. 11013 del 2013; anche Cass., sez. 1, 12/12/2002, n. 17714).
Resta  escluso  dal  novero  degli  aventi  diritto  l’imprenditore agricolo,  ossia  colui  che  eserciti  la  coltivazione  e  la  produzione agricola professionalmente mediante coordinamento dei fattori della produzione ex art. 2082 c.c., e non svolga dunque attività di diretta utilizzazione RAGIONE_SOCIALE del terreno (Cass., sez. 1, 19/2/2003, n. 2477).
Si è inoltre chiarito che tale ragionamento,  se vale per l’imprenditore individuale, a maggior ragione deve valere quando il soggetto sia costituito in forma di società commerciale.
Nessun dubbio con riferimento alle società di capitali, munite di personalità giuridica e costituenti, perciò, enti del tutto distinti dalle persone dei soci, ma ad analoghe conclusioni deve giungersi per le società commerciali costituite in forma di società di persone, perché anche tali  organismi,  ancorché  privi  di  personalità  giuridica,  sono soggetti  di  diritto  distinte  le  persone  dei  soci,  (Cass.,  sez.  1, 19/2/2003, n. 2477).
La qualità di imprenditore agricolo deve, invece, essere provata dal  convenuto  che  la  invochi  in  via  di  eccezione  (Cass.,  sez.  1, 15/5/2008, n. 12306).
10. Solo con l’art. 40, comma 4, del d.P.R. n. 327 del 2001 si è previsto  che  «al  proprietario  coltivatore  diretto  o  imprenditore agricolo a titolo principale spettano indennità aggiuntiva, determinata in misura pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di colture effettivamente praticate».
Tale  norma,  però,  non  può  essere  utilizzata  per  fattispecie ricadenti nel regime normativo anteriore al d.p.r. n. 327 del 2001. Infatti,  in  tema  di  espropriazione  per  pubblica  utilità,  ai  fini  della individuazione della disciplina applicabile si applica alle controversie il  regime giuridico previgente al d.lgs. n. 327 del 2001, in caso di
dichiarazione di pubblica utilità intervenuta prima del 30 giugno 2003 (Cass., Sez.U., 12/1/2023, n. 651).
Ed infatti, nei giudizi aventi ad oggetto la determinazione dell’indennità di espropriazione, relativi a procedimenti in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata emessa prima del 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del d.P.R. n.327 del 2001, opera la disciplina transitoria prevista dall’art. 57 dello stesso d.P.R., secondo cui le disposizioni del testo unico non si applicano ai progetti edilizi per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, cui continuano invece ad applicarsi tutte le normative vigenti a quella data (Cass., sez. 1, 6/9/2019, n. 22373).
Nella specie, la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei lavori è stata effettuata dall’RAGIONE_SOCIALE con delibera n. 365 del 24/12/1999, mentre la Prefettura di Reggio Calabria con decreto n. 364 del 6/6/2000 ha autorizzato l’occupazione temporanea.
11. Con il quarto motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art.  324  c.p.c.  in  materia  di  giudicato,  con  conseguente  errata indicazione del prezzo di esproprio, nonché  in relazione alla violazione  dell’art.  40  della  legge  2359/1865  e  40  d.P.R.  327  del 2001  sempre  in relazione alla determinazione del prezzo di esproprio».
La  Corte  d’appello  ha  fatto  proprie  le  risultanze  della  CTU, evidenziando  che  era  eccessivo  «oltre  che  non  adeguatamente riscontrata con dati oggettivi […] il maggior valore di euro 6,00/mq specificamente  invocato  da  parte  attrice  in  sede  di  comparsa conclusionale».
Tale  affermazione  sarebbe  erronea  in  quanto  la  sentenza  del Consiglio di Stato n. 978 del 2012, affermato che « […] valore venale
degli immobili, considerando come congruo e ragionevole il prezzo di euro 6,00 per metro quadrato (somma dichiarata dall’appellante non contestata) […]».
Per la Corte d’appello tale statuizione non sarebbe utilizzabile in quanto  tale  decisione  sarebbe  stata  emessa,  incidentalmente,  in altro giudizio.
Per il ricorrente, invece, tale decisione sarebbe stata emessa nel giudizio di opposizione all’esproprio, svoltosi tra le stesse parti, con l’autorità decidente che ha accolto, parzialmente, il ricorso proprio in relazione ad una statuizione relativa alla determinazione del valore del terreno, fini dell’esproprio.
Si tratterebbe di decisione assunta dal giudice amministrativo, «vincolante nel presente giudizio, in quanto è suscettibile di formare cosa giudicata, in tutte le sue componenti essenziali ed opponibili, cosicché  la  determinazione  del  valore  del  terreno,  costituisce  un elemento essenziale, coperta dal giudicato che deve essere applicato».
Il motivo è infondato, ma va corretta la motivazione, tenendo conto dei limiti oggettivi del giudicato effettivamente formatosi.
12.1. A prescindere dalla circostanza che i ricorrenti neppure hanno trascritto la motivazione della sentenza del Consiglio di Stato citata, tuttavia il giudice amministrativo ha dichiarato l’illegittima del provvedimento di proroga del termine di occupazione, di cui al decreto n. 28709 del 9/12/2004. Il termine quinquennale scadeva il 18/8/2005, mentre con tale provvedimento il termine è stato prorogato sino al 22/11/2005, con un’occupazione illecita e produttiva di danno esclusivamente per i tre mesi successivi al 18/8/2005.
Per  tale  ragione,  il  Consiglio  di  Stato  ha  quantificato  «in  via equitativa» nella misura degli interessi legali su una somma pari al
valore venale degli  immobili,  «considerando  come  congruo  e ragionevole  il  prezzo  di  euro  6,00  per  mq.  (Somma  dichiarata dall’appellante non contestata) per un risultato finale di euro 867,04 a  favore  di  COGNOME  NOME  di  euro  70,00  a  favore  di  COGNOME NOME».
L’odierno giudizio, però, non ricade nei limiti oggettivi del quel giudicato; mentre il presente giudizio è relativo alla determinazione del controvalore per un atto lecito della PA, l’accertamento del giudicato amministrativo è relativo ad un fatto illecito, al quale non può estendersi la problematica del giudicato esterno, che presuppone la distinzione (propria dell’ambito negoziale) fra un rapporto fondamentale e la singola coppia diritto/obbligo, perché nel fatto illecito i relativi elementi (causalità, requisito soggettivo, danno) sono allineati sullo stesso piano e dunque concernono solo la fattispecie oggetto di giudizio.
13. La sentenza impugnata deve, dunque, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione,  che  provvederà  anche  sulle  spese  del  giudizio  di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i motivi primo e secondo di ricorso; rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in ordine motivi accolti, con rinvio alla Corte  d’appello  di  Reggio  Calabria,  in  diversa  composizione,  cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Il Presidente NOME COGNOME