Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21260 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21260 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 18076 del ruolo generale dell’anno 2019 , proposto da
Comune di Villaputzu , (C.F. 80003170927), in persona del Sindaco pro-tempore/legale rappresentante, Dr. NOME COGNOME elettivamente domiciliato al seguente indirizzo di posta elettronica, ai sensi dell’art. 366, comma 2°, cpc: EMAIL nonché, per quanto occorrer possa, in Roma, INDIRIZZO, presso il Prof. Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE), che lo rappresenta e difende in giudizio, per procura speciale in calce al ricorso.
Ricorrente
contro
COGNOME NOME , nato a Villaputzu il 24 giugno 1937, ivi residente alla INDIRIZZO c.f. PRC GNN 37H24 L998K, COGNOME NOME , nato n Villaputzu il 18 marzo 1940, ivi residente alla INDIRIZZO c.f. PRC GPP 40C18 L998N, COGNOME NOME , nata a Villaputzu il 4 febbraio 1943, ivi residente alla INDIRIZZO c.f. PRC NMR 43B44 L998C, COGNOME NOME , nata a Villaputzu il 27 dicembre 1945, residente in Arbatax alla INDIRIZZO,f. PRC LNE 45T67 L998P, COGNOME NOME , nato a Villaputzu il 10
novembre 1948, ivi residente alla INDIRIZZO c.f. PRC PNG CODICE_FISCALE, COGNOME NOME , nato a Villaputzu il 27 gennaio 1951, residente in Elmes, INDIRIZZO c.f, MRN NTN CODICE_FISCALE, fratelli germani, tutti rappresentati e difesi, in virtù di delega in calce al ricorso allegata su foglio separato, dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Cagliari, c.f. CQS CODICE_FISCALE, ed elettivamente domiciliati, ai fini de1la presente procedura, in Roma, INDIRIZZO presso lo Studio legale e la persona dell’avv. NOME COGNOME (per notifiche e comunicazioni fax NUMERO_TELEFONO p.e.c. EMAIL).
Controricorrenti
avverso la sentenza non definitiva n° 715 depositata il 13 novembre 2015 e avverso la sentenza definitiva n° 271 depositata il 25 marzo 2019, entrambe della Corte d’appello di Cagliari.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- NOME COGNOME con citazione notificata il 15 novembre 1986 conveniva davanti al tribunale di Cagliari il Comune di Villaputzu e -premesso di essere proprietario per la metà di un fondo allibrato al catasto foglio n° 54, mappali n° 52 e n° 79, occupato d’urgenza dall’Ente locale con ordinanza del luglio 1981, sul quale la PA aveva realizzato un edificio scolastico e tre capannoni, senza mai procedere all’espropriazione per pubblica utilità -tutto ciò premesso, ne chiedeva la condanna al pagamento di lire 86,9 milioni per la perdita della sua quota parte di suolo irreversibilmente trasformato e di un’ulteriore somma a titolo di indennità di occupazione legittima per cinque anni, ossia dal 12 agosto 1981 al 12 agosto 1986, pari al saggio del 5% sul valore del terreno.
Nel contraddittorio col Comune, che contestava variamente le pretese, il giudizio veniva proseguito dagli eredi del COGNOME deceduto nel corso del primo grado.
All’esito dell’istruttoria il tribunale di Cagliari dichiarava la propria incompetenza a conoscere della domanda di indennità da occupazione legittima, essendo competente la Corte d’appello, e respingeva la domanda risarcitoria per la perdita della proprietà dei fondi, non avendo parte attrice offerto la prova di essere proprietaria dei suoli.
2 .- Su impugnazione degli eredi -che si dolevano dell’omessa assegnazione di un termine, da parte del tribunale, per la riassunzione della causa avente ad oggetto l’indennità da occupazione davanti alla Corte d’appello e della reiezione della domanda risarcitoria, perché i suoli sarebbero stati usucapiti e, comunque, perché sussistevano plurimi riscontri della loro proprietà -la Corte d’appello di Cagliari con sentenza non definitiva n° 715/2015 respingeva il primo motivo concernente la mancata fissazione di un termine (precisando che per gli appellanti sarebbe stato sempre possibile istaurare una nuova ed autonoma causa per la determinazione dell’indennità), ma accoglieva il secondo, vertente sulla prova della proprietà dei fondi.
Osservava la Corte che essa ben avrebbe potuto procedere ad esaminare la domanda di liquidazione dell’indennità da occupazione legittima, ma gli appellanti avevano impugnato sul punto la prima decisione dolendosi unicamente della mancata fissazione, da parte del tribunale, del termine per riassumere: doglianza infondata, in quanto, pur mancando tale statuizione, essi avrebbero dovuto considerare il termine previsto dall’art. 50 del cod. proc. civ.
Quanto al secondo motivo, la Corte osservava che, ai fini del risarcimento del danno da espropriazione illecita, l’interessato doveva fornire la dimostrazione di essere proprietario mediante qualunque elemento e che negli stessi atti espropriativi emessi dal
Comune, che il tribunale aveva erroneamente ritenuto privi di natura confessoria, era indicato il COGNOME come proprietario dei suoli.
3 .- Dovendosi, dunque, procedere alla stima dei fondi, la Corte rimetteva la causa sul ruolo onde esperire c.t.u.
Tuttavia, dopo il deposito dell’elaborato peritale, essa riteneva di dover rinnovare la consulenza (in quanto il perito aveva erroneamente individuato il valore dei terreni alla data di espletamento delle indagini), chiedendo al nuovo Ausiliare di indicare il valore dei suoli alla data di cessazione dell’occupazione legittima, il cui termine finale era stato, peraltro, più volte prorogato ex lege .
4 .- Sulla scorta di questa seconda c.t.u., la Corte territoriale decideva la causa con la sentenza definitiva n° 271/2019, con la quale -premesso che il consulente aveva attribuito il valore di euro 18,04 al mq al mappale 79 di mq 2.990 (per complessivi euro 53.940,00) e di euro 17,29 al mq al mappale 52 di mq 1.355 (per complessivi euro 23.428,00) -riduceva alla metà gli importi predetti, ossia ad euro 38.683,00, in ragione della quota di proprietà spettante al de cuius NOME COGNOME; riconosceva sulla somma così liquidata la rivalutazione e gli interessi sulla scorta dei principi enunciati da Cass., sez. un., n° 1712/1995; condannava il Comune a pagare agli eredi complessivi euro 159.676,59, oltre interessi dalla data della decisione.
5 .-Avverso le due sentenze, non definitiva e definitiva, ha proposto ricorso per cassazione il Comune, affidando il gravame a sei motivi.
Resiste la parte privata, che conclude per l’inammissibilità di tutti i motivi e, comunque, per la loro reiezione.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Solo i resistenti hanno depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6 .- Col primo motivo il ricorrente deduce la ‘ Violazione e falsa applicazione degli articoli: 133, 30 comma 1, 7, commi 1 e 5, DLT 02.07.2010 n. 104 (cpa); 34, D.LGS. 31.03.1998, n. 8; 2043 cc; 53, DPR 08.06.2001, n. 327; 360 e 374 cpc; 130, comma 1, Costituzione; in relazione all’art. 360, comma 1, n. 1, cpc ‘.
Secondo il Comune, la domanda risarcitoria connessa alla perdurante occupazione del suolo, dopo la scadenza dei termini di avvio ed ultimazione della procedura acquisitiva ed in funzione dell’idoneità del tardivo decreto espropriativo a produrre l’effetto ablativo, apparterrebbe alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.
7 .- Il mezzo è inammissibile.
È, infatti, fin troppo noto (per tutte: Cass., sez. un., 18 dicembre 2008, n° 29523) che l’art. 37 del cod. proc. civ. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte con d.lgs. 10 ottobre 2022 n° 149, applicabile ratione temporis ) -secondo il quale ‘ il difetto di giurisdizione è rilevato anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo ‘ -deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo.
Ne deriva, tra l’altro, che le sentenze d’appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito nelle precedenti fasi processuali, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità.
Ora, dalla sentenza impugnata (paragrafo lettera E, pagina 5) si ricava che la decisione del primo grado venne impugnata dalle parti private e che il Comune si costituì in appello contestando (a) l’inammissibilità indennitaria per l’occupazione legittima in ragione della sua rinuncia da parte degli aventi diritto, (b) la novità della domanda di usucapione formulata dai COGNOME–COGNOME e (c) predicando, anche in via di appello incidentale, la natura agricola dei suoli.
Come è dato notare, nessuna critica venne svolta alla sentenza di primo grado in punto di giurisdizione, con la conseguenza che la relativa questione deve ormai ritenersi coperta dal giudicato.
8 .-Col secondo motivo -intitolato ‘ Violazione e falsa applicazione degli articoli; 54, D.P.R. 08.06.2001, n. 327; 29, comma 3, D.Lgs. 01.09.2011, n. 150; 50 cpc; in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc ‘ -il ricorrente lamenta che la Corte d’appello, nella sentenza non definitiva n° 715/2015, nel rigettare il primo motivo di impugnazione proposto dai COGNOME (concernente la mancata fissazione, da parte del tribunale, del termine per riassumere) abbia anche aggiunto che per gli attori sarebbe sempre stato possibile instaurare di fronte alla Corte una nuova ed autonoma causa per la determinazione dell’indennità di occupazione.
9 .- Il mezzo è inammissibile, in quanto il ricorrente non ha alcun interesse (art. 100 cod. proc. civ.) a censurare il punto.
Esso, infatti, ha ad oggetto un obiter dictum , ossia un passaggio motivazionale manifestamente privo di decisività e che comunque non ha in alcun modo influenzato l’esito dell’ulteriore giudizio avviato dai Porcu-Marini con citazione notificata il 3 marzo 2017, conclusosi (come esposto dallo stesso Comune: ricorso pagina 10) con una decisione di rigetto emessa dalla Corte d’appello di Cagliari (ordinanza n° 1093/2019) con la quale la domanda degli attori è stata respinta per prescrizione del diritto all’indennità da occupazione legittima.
10 .- Col terzo mezzo -rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione degli articoli: 54, D.P.R. 08.06.2001, n. 327; 29, comma 4, D. Lgs. 09.09.2011, n. 150; in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc ‘ -il Comune lamenta che la Corte abbia erroneamente ritenuto provata la proprietà dei fondi in capo all’originario attore, NOME COGNOME in base ad una presunzione, ossia al fatto che l’occupazione
d’urgenza fosse stata iniziata dal Comune nei confronti dello stesso.
Al contrario, il Comune aveva segnalato alla Corte di essere incorso in un errore nell’individuazione del proprietario, come emergeva dalla c.t.u. di primo grado, nella quale era stato accertato che il mappale 52, sul quale insistevano due delle tre costruzioni, era intestato a soggetto diverso e non ai Porcu-Marini e che il mappale 79, sul quale insisteva la terza costruzione, apparteneva loro solo in parte.
Inoltre, la stessa Corte cagliaritana con la citata ordinanza n° 1093/2019 (resa nell’ulteriore giudizio iniziato dai COGNOME –COGNOME, avente ad oggetto l’indennizzo da occupazione legittima) aveva deciso in modo diverso la questione della titolarità dei beni, accertando che il mappale 79 era pervenuto per il 50% in eredità a NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME, la quale lo aveva poi lasciato in eredità al marito ed ai figli NOME, NOME, NOME, NOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME.
NOME COGNOME dante causa degli odierni resistenti, era solo un usufruttuario parziale del mappale 79 per 4/48 e l’usufrutto si era estinto alla sua morte.
Quanto al mappale 52, esso era sempre stato posseduto ed utilizzato, per un mezzo, prima da NOME COGNOME e poi dai suoi figli ed eredi.
Pertanto, dato che i COGNOME avevano proseguito il processo non in proprio, ma nella qualità di eredi, subentrando nella posizione del de cuius , che era un mero usufruttuario parziale, del tutto illegittimamente la Corte avrebbe attribuito a costoro il diritto ad ottenere il risarcimento del danno per la perdita del dominio.
10 .- Il mezzo è inammissibile per più ragioni.
La Corte, infatti, ha osservato che il procedimento ablatorio era stato iniziato dal Comune nei confronti dello stesso NOME COGNOME ed ha quindi ritenuto ‘ non (…) condivisibile l’argomentazione del
Tribunale basata sulla negazione della natura confessoria della indicazione, dell’attore come proprietario del bene contenuta negli atti della procedura ablatoria ‘, non essendovi rivendiche del bene da parte di terzi e dovendosi riconoscere proprietario in via presuntiva chi sia indicato come tale negli atti del procedimento ablatorio, fino a quando non emerga un errore al riguardo.
Ora, invece di aggredire mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme (implicitamente) applicate dalla Corte, il ricorrente contrappone la sua tesi, negando che la proprietà del bene potesse essere basata sul « solo argomento della “presunzione”, desunto semplicemente dal fatto che la procedura abbia avuto inizio nei confronti dell’originario attore ».
La carenza argomentativa rende il mezzo inammissibile (secondo quanto stabilito, ex multis , da Cass., sez. I, 25 luglio 2024 n° 20708).
Secondariamente, col mezzo in esame il ricorrente deduce la ‘ particolare, significativa rilevanza ‘ del fatto che la titolarità dei beni era stata diversamente accertata nell’ordinanza n° 1093/2019 della stessa Corte d’appello (sopra già citata), emessa nel giudizio iniziato dai COGNOME successivamente a quello definito con le due sentenze qui gravate, senza tuttavia spiegare perché tale posteriore accertamento debba prevalere rispetto a quello della sentenza gravata.
Più in generale (e per la rimanente parte), il mezzo, pur denunciando una violazione di legge, demanda a questa Corte un riesame del materiale istruttorio, che è invece totalmente rimesso al giudice del merito.
Il Comune, infatti, non si duole di una motivazione mancante o apparente, ma della violazione degli artt. 54 del d.P.R. n°
327/2001 e 29 del d.lgs. n° 150/2011, senza considerare che l’applicazione delle predette norme giuridiche (anche a tacere della loro inapplicabilità ratione temporis , dato che i fatti di causa si collocano tra il 1981 ed il 1988) è, nella sostanza, fondata sulla base di circostanze fattuali diversamente interpretate dalla ricorrente.
Questa operazione non ha nulla a che vedere con la violazione di legge, ma con l’applicazione di una norma ad una fattispecie che la ricorrente ritiene essere diversa da come accertata dal giudice di merito.
In altri termini il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa ( ex multis : Cass., sez. I, 11 novembre 2024, n° 29038), che qui, per contro, non viene affatto posto.
11 .- Col quarto motivo il Comune lamenta la ‘ Violazione e falsa applicazione degli articoli: 3, comma 65, L. 23.12.1996, n. 66, come integrato dal comma 7 bis dell’art. 5 bis del D.L. 11.07.1992, n. 333, convertito nella L. 08.08.1992, n. 359; 15 e 16, L. 22.10.1971, n. 865; 32 e 37 DPR 08.06.2001, n. 327; in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cpc ‘.
Il Comune deduce, in sostanza, che la Corte avrebbe determinato il quantum del danno facendo riferimento per il mappale 79 alla data della sua definitiva trasformazione (16 giugno 1988) e per il mappale 52 alla scadenza dell’occupazione legittima (12 agosto 1987), mentre avrebbe dovuto considerare il valore del fondo al momento della rinuncia abdicativa.
Inoltre, avrebbe dovuto liquidare il danno in base alla destinazione agricola del suolo.
12 .- Il mezzo è in parte infondato e in altra parte inammissibile.
La Corte, infatti, si è attenuta all’orientamento giurisprudenziale di legittimità (per tutte: Cass., sez. I, 6 giugno 2022, n° 18142; più recentemente Cass., sez. I, 17 luglio 2024, n° 19784), secondo il quale l’occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte della P.A., allorché il decreto di esproprio non sia stato emesso o sia stato annullato, integra un illecito di natura permanente che dà luogo ad una pretesa risarcitoria, fermo restando che il momento di determinazione del valore del bene perduto va individuato al momento della perdita della proprietà, da identificare con l’irreversibile trasformazione del cespite o, nel caso in cui ad un’occupazione legittima sia seguita un’occupazione senza titolo, dalla data di cessazione dell’occupazione autorizzata (sul che: Cass., sez. I, 10 ottobre 2014, n° 21489).
Tanto premesso, la Corte territoriale ha osservato che la citazione venne notificata il 14 novembre 1986, dunque in data anteriore sia alla irreversibile trasformazione del mappale 79 (16 giugno 1988), sia alla scadenza dell’occupazione legittima del mappale 52 (12 agosto 1987): pertanto, del tutto coerentemente all’indirizzo di legittimità sopra richiamato, il giudice del merito ha ritenuto di dover fissare il momento di perdita della proprietà dell’immobile al sopraggiungere di tali ultimi eventi.
Per questa parte, dunque, il motivo è infondato.
È, invece, inammissibile, nella parte in cui allega un presupposto del tutto insussistente, ossia che la Corte abbia liquidato il danno attribuendo ai suoli un valore diverso da quello agricolo.
Infatti, nonostante nella sentenza definitiva n° 271/2019 la Corte, nel liquidare il risarcimento, non specifichi la natura dei terreni, è nondimeno evidente che essa si sia fondata sulla relazione del c.t.u., al quale era stato chiesto di valorizzare i fondi in base alla loro natura agricola (pretesa dal Comune), tenendo conto delle possibili utilizzazioni intermedie.
I valori indicati in sentenza, essendo stati dichiaratamente tratti dalla consulenza, corrispondono, dunque, a quelli di fondi agricoli, ossia ai prezzi di mercato ai quali detti suoli venivano alienati al momento della perdita del dominio.
13 .- Col quinto mezzo il ricorrente deduce la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 del cc; dell’art. 42 bis, comma 3, DPR n. 327/2001; in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c. ‘.
Il Comune assume che, poiché la citazione introduttiva del giudizio venne notificata quando non era ancora scaduto il termine per l’occupazione legittima, successivamente prorogato ex lege , la domanda avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile.
14 .-Doglianza inammissibile, al pari delle precedenti, non confrontandosi con il passaggio motivazionale -peraltro, pienamente condivisibile -col quale la Corte ha precisato che il giudice conosce del danno al momento della decisione: ne deriva che, se il danno sopraggiunge nel corso del giudizio, la domanda va esaminata nel merito.
15 .- Col sesto motivo , formulato ai sensi dell’art. 360 n° 3 del codice di rito, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 342 cod. proc. civ.
Il Comune avrebbe eccepito la totale genericità delle censure mosse dai COGNOME avverso la sentenza di primo grado e, pertanto, la Corte l’avrebbe dovuto dichiarare inammissibile.
16 .- Il mezzo è inammissibile, sia perché del tutto generico, sia perché il ricorrente non trascrive (neppure parzialmente) la citazione di secondo grado, onde consentire a questa Corte di verificare ex actis la insanabile genericità che, a dire, del ricorrente, avrebbe caratterizzato l’atto di impugnazione.
17 .- Alla soccombenza del Comune segue la sua condanna alla rifusione delle spese del presente grado, per la cui liquidazione -fatta in base al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d.m. n°
147 del 2022, ed al valore della lite (euro 159,6 mila) -si rimanda al dispositivo che segue.
Va, inoltre, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater , del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte respinge i motivi di ricorso e condanna il Comune a rifondere ai resistenti le spese del presente grado di giudizio, che liquida in euro 7.200,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater , del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 29 maggio 2025, nella camera di