Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6738 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6738 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 23897/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale EMAIL;
NOMEEMAIL;
EMAIL;
– controricorrente-
e contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale EMAIL;
– controricorrente- avverso la sentenza del la Corte d’appello di Venezia n. 909/2020, depositata in data 11.3.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17.1.2024 dal AVV_NOTAIO relatore AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Decidendo sulle cause riunite N. 943/2016 e 4709/2016 R.G. -rispettivamente promosse da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE contro NOME COGNOMECOGNOME per la restituzione di € 85.000,00 a seguito della risoluzione consensuale del contratto di fornit ura di ortofrutta, intercorso tra quest’ultima società e NOME COGNOMECOGNOME titolare dell’azienda RAGIONE_SOCIALE ‘RAGIONE_SOCIALE‘ il Tribunale di Padova, con sentenza del 23.10.2017, dichiarò inammissibile la domanda risarcitoria avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE in corso di causa e rigettò la domanda di pagamento dalla stessa proposta; ritenuto che NOME COGNOME avesse prestato espromissione ex art. 1272 c.c., accolse invece la domanda della RAGIONE_SOCIALE, condannando la convenuta al pagamento della somma di € 85.000,00 e regolando le spese tra le parti. La COGNOME propose gravame avverso detta sentenza e la Corte d’appello di Venezia, nel contraddittorio con entramb e le società, rigettò l’appello principale e quello incidentale condizionato della RAGIONE_SOCIALE con sentenza del 11.3.2020. Osservò la Corte veneta -per quanto ancora qui interessa -che dall’esame del corredo documentale e dal testimoniale, era
inequivoco che la COGNOME avesse assunto su di sé l’obbligo restitutorio gravante sul padre NOME COGNOME, per effetto dell’accordo risolutivo con la società RAGIONE_SOCIALE, sicché correttamente il primo giudice aveva ritenuto provato il credito vantat o da quest’ultima direttamente nei confronti dell’appellante.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, cui resistono con autonomi controricorsi la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE Ai sensi dell’art. 380 -bis .1, comma 2, c.p.c., il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi all’odierna adunanza camerale .
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1272, 1324, 1362, 1363 e 1366 c.c. , nonché dell’art. 116 c.p.c., per avere la C orte d’appello ritenuto che la ricorrente abbia assunto su di sé la qualità di espromittente dell’obbligazione di suo padre in favore di una delle due RAGIONE_SOCIALE. controricorrenti, sulla base di un’interpretazione frammentaria di alcune e -mail inviate alla rappresentante legale delle stesse RAGIONE_SOCIALE (la stessa, per entrambe) in violazione del principio di interpretazione complessiva della corrispondenza, invero non avente il carattere impegnativo accertato dalla Corte veneta. Alla luce di altre e-mail ed altro materiale prodotto emergerebbe infatti che la ricorrente scrivesse per conto dell’azienda del padre ma non volesse obbligarsi personalmente.
1.2 -Col secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116, 207, ult. comma, e 252 c.p.c., per avere la C orte d’appello ritenuto sussistente l’assunzione dell’obbligazione altrui sulla base di prova testimoniale
inattendibile resa da NOME COGNOME, in quanto consistente nell’espressione di una sensazione/apprezzamento personale del teste, peraltro legato alle società da rapporti professionali (essendone il commercialista).
1.3 -Con il terzo motivo, infine, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1272 c.c. e 116 c.p.c., laddove la Corte d’appello non ha tenuto conto del fatto che in sede di interrogatorio formale la ricorrente aveva smentito le circostanze di fatto sulle quali era stata chiamata a deporre, attinenti all’impegno personale all’adempimento dell’obbligazione altrui.
2.1 -Il primo motivo è, nel complesso, inammissibile.
Con detto mezzo ci si duole della decisione, nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che essa ricorrente abbia assunto l’obbligazione del proprio padre verso RAGIONE_SOCIALE, sulla base di una lettura erronea di due e-mail; e lamenta proprio che la Corte non solo abbia letto malamente la corrispondenza, ma non abbia tenuto conto neppure del comportamento di essa ricorrente prima, durante e dopo lo scambio epistolare con la l.r. della società.
Ora, premesso che, in tema di interpretazione del negozio unilaterale, trova applicazione la giurisprudenza di questa Corte in tema di contratto (nei limiti della compatibilità: v. Cass. n. 9127/2015), secondo la quale ‘ il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia
N. 23897/20 R.G.
applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata ‘ (così, ex multis , Cass. n. 9461/2021), ritiene la Corte che nella specie la censura della ricorrente non rispetti detti stringenti criteri.
Nella sostanza, per quanto sia stata diffusamente denunciata la violazione dei criteri ermeneutici negoziali, la COGNOME, col mezzo in esame, finisce soltanto col propugnare una diversa interpretazione del significato delle e-mail stesse, semplicemente contrapponendola a quella operata dalla Corte lagunare, ma senza specificamente individuare i pretesi plurimi errori in cui -in tesi -la Corte stessa sarebbe incorsa. Del resto, non implausibilmente il giudice d’appello ha ritenuto che, nella corrispondenza, la COGNOME abbia agito in nomine proprio , specie quando in modo inequivoco, allo scopo di rassicurare il l.r. della società creditrice, afferma (in un contesto in cui era pacifica l’appartenenza della dichiarante alla famiglia del debitore principale) : ‘ Il Suo credito è comunque garantito dalla parola dell’intera famiglia COGNOME, qualora qualcuno dovesse venire meno ‘.
3.1 -Il secondo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
È inammissibile nella parte in cui esso investe il principio di prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c., che si assume violato, senza che però risultino rispettati i canoni affermati da Cass., Sez. Un., n. 20867/2020, ed inoltre laddove si mira a contestare l’attendibilità del teste COGNOME, questione la cui valutazione è riservata al giudice del merito ed è incensurabile in questa sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio motivazionale (si veda, seppur riferita
a controversia antecedente alla riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operata nel 2012, Cass. n. 15205/2014), qui non proposto, seppur nei ristretti limiti in cui ciò è ancora possibile (v. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 e successive).
È invece infondato laddove mira a sminuire la portata della dichiarazione del teste . Contrariamente all’assunto della ricorrente , infatti, il teste COGNOME non s’è limitato a riferire proprie sensazioni o convincimenti personali (o ad esprimere giudizi, non consentiti al teste), circa il ruolo assunto dalla ricorrente nell’ambito delle interlocuzioni con la l.r. della società, ma ha invece specificamente riferito dell’assunzione di un impegno personale della COGNOME ne ll’adempimento del debito, in sua presenza (si veda la trascrizione della deposizione del teste, riportata a p. 55 del ricorso).
4.1 -Infine, il terzo motivo è palesemente infondato.
Con esso, la ricorrente pretenderebbe censurare la decisione d’appello per non essere state debitamente utilizzate (in uno con una più corretta lettura delle due email di cui s’è già detto) le dichiarazioni dalla stessa rese in sede di interrogatorio formale, con cui aveva categoricamente negato, non ammesso e smentito le circostanze di fatto articolate da controparte.
Ora, è ben noto che la funzione dell’interrogatorio formale, deferito ad una parte, sia quella di provocarne la confessione in sede giudiziale, non anche quella di addurre elementi favorevoli all’interpellato. Insomma, esso è uno strumento che, in linea di principio, può solo nuocere alla parte che vi è sottoposta, o al più -qualora essa neghi tout court le circostanze fattuali capitolate, oggetto dell’interrogatorio stesso lasciare la situazione inalterata, non altro.
Del resto, la non recente giurisprudenza richiamata dalla ricorrente, sul punto (Cass. n. 25623/2008; Cass. n. 19964/2005), non consente certo un indiscriminato ‘recupero’ delle dichiarazioni de ll’interpellato a sé favorevoli (ed evidentemente rese pro domo sua ) -dichiarazioni che, in linea di massima, vanno pur sempre ascritte al piano delle allegazioni della parte -, ma non può che essere letta nell’ambito del complessivo governo delle risultanze istruttorie, riservato al giudice del merito secondo il suo prudente apprezzamento, ex art. 116 c.p.c.; disposizione la cui violazione , come s’è visto supra , la ricorrente non ha idoneamente censurato, donde, per tale profilo, anche la stessa inammissibilità del mezzo in esame.
5.1 In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese di lite, nei rapporti tra ricorrente ed RAGIONE_SOCIALE, seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo; nei rapporti con RAGIONE_SOCIALE, invece, possono integralmente compensarsi, tanto più che sul rigetto della domanda da questa proposta s’è formato il giudicato interno e che, all’evidenza, la sua evocazione in questo giudizio di legittimità, da parte della COGNOME, è avvenuta a fini di mera litis denuntiatio .
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della RAGIONE_SOCIALE, che liquida in € 5.800,00 per
N. 23897/20 R.G.
compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge. Compensa le spese tra la ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno