Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21431 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21431 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22373/2023 R.G. proposto da :
COGNOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di BENEVENTO n. 1579/2023 depositata il 14/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La presente controversia trae origine dall’azione di restituzione di somme promossa da NOME COGNOME nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE
A fondamento della sua pretesa, parte attrice deduceva che: a) in data 1.10.2016 NOME COGNOME, futura nuora della ricorrente, sottoscriveva con RAGIONE_SOCIALE un contratto per l’acquisto di un abito da sposa al prezzo di Euro 3.800,00, versando un acconto di Euro 100,00; b) il contratto specificava come data del matrimonio tra NOME COGNOME e NOME COGNOME (figlio della ricorrente) il 4.8.2018; c) in data 19.4.2017, la Forgione sottoscriveva con RAGIONE_SOCIALE una scrittura privata con la quale, nella sua qualità di ‘futura suocera’, si impegnava a versare il prezzo pattuito per l’acquisto dell’abito da sposa da parte della COGNOME; tale accordo prevedeva un piano rateale, con il versamento di Euro 2.800,00 entro il 31.7.2017 e la restante somma di Euro 900,00 entro il 31.7.2018; d) la Forgione procedeva al pagamento della prima rata, di Euro 2.800,00, a mezzo bonifico; e) a seguito dell’interruzione dei rapporti tra la COGNOME e il COGNOME, il matrimonio era annullato (circostanza pacifica tra le parti); f) pertanto, il 4.6.2018, la Forgione richiedeva, invano, a RAGIONE_SOCIALE la restituzione delle somme versate. Di talché, proponeva domanda giudiziale tramite atto di citazione, notificato l’11.8.2018, chiedendo al Giudice di Pace di Ariano Irpino di accertare la caducazione della scrittura privata per il venir meno del presupposto dell’obbligazione e, per l’effetto, condannare RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle somme versate, con interessi e rivalutazione. In via subordinata, chiedeva il riconoscimento a RAGIONE_SOCIALE di una cifra simbolica di Euro 100,00 a titolo di ristoro per l’attività svolta.
Il Giudice di Pace di Ariano Irpino, con sentenza n. 406/2022, accoglieva integralmente la domanda.
Nel dettaglio, il Giudice di prime cure, pur escludendo l’applicabilità della teoria della presupposizione al caso di specie e la configurabilità dell’espromissione, accoglieva la domanda per la mancata prova, da parte di RAGIONE_SOCIALE, della realizzazione
dell’abito e della messa in mora della COGNOME per il ritiro, ritenendo non offerta la controprestazione.
Avverso tale sentenza proponeva appello RAGIONE_SOCIALE
La COGNOME si costituiva in giudizio, riproponendo i motivi già dedotti in primo grado.
Il Tribunale di Benevento, con sentenza n. 1579/2023, in accoglimento del gravame interposto da RAGIONE_SOCIALE riformava la sentenza di primo grado, rigettando la domanda della Forgione e condannandola alla refusione delle spese di lite.
Il Giudice d’appello qualificava la scrittura del 19.4.2017 come ‘promessa di pagamento’, escludendo la legittimazione della Forgione ad opporre eccezioni relative al contratto di vendita dell’abito, non essendo essa parte contrattuale e non avendo la COGNOME mai richiesto la risoluzione. Il Tribunale escludeva, altresì, che il riferimento alla qualità di ‘futura suocera’ potesse essere inteso come apposizione di una condizione inespressa o presupposizione.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto NOME COGNOME sulla base di un unico, articolato motivo.
3.1. La parte intimata non ha svolto attività difensiva.
È stata formulata proposta di definizione accelerata, depositata in data 28/02/2024, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., cui è seguita istanza di decisione. Il ricorso è stato quindi chiamato all’odierna adunanza, in esito alla quale il collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1272, 1987, 1988, 1374, 1256 e ss. e 1337 c.c.
Censura la sentenza impugnata per avere il Tribunale erroneamente qualificato la scrittura privata del 19.4.2017, tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in guisa di ‘promessa di pagamento’. La ricorrente sostiene che tale qualificazione è errata poiché la scrittura, essendo bilaterale e sottoscritta da entrambe le parti, e prevedendo un impegno contrattuale con una causa specifica (qualità di ‘futura suocera’) oltre ad un piano rateale, integrerebbe la fattispecie della espromissione ai sensi dell’art. 1272 c.c.
Sostiene la ricorrente che da tale errata qualificazione, sarebbe poi dipeso il duplice corollario per cui la Forgione non avrebbe acquisito la posizione di parte del contratto di vendita dell’abito e non avrebbe potuto opporre eccezioni alla RAGIONE_SOCIALE, inclusa quella di risoluzione del detto contratto.
Deduce, di contro, che, se il Tribunale avesse applicato l’art. 1272, comma 3, c.c., avrebbe dovuto riconoscere, invariabilmente, alla Forgione il diritto di far valere ‘le eccezioni che al creditore avrebbe potuto opporre il debitore’.
Censura, altresì, l’esclusione della configurabilità della presupposizione, nonostante il riferimento alla qualità di ‘futura suocera’ e la chiara desumibilità dell’evento matrimonio dal contratto originario di acquisto dell’abito (che indicava anche la data delle nozze). Deduce che l’istituto della presupposizione, pur non essendo espressamente codificato, è riconosciuto sulla base dell’art. 1374 c.c. e rileva sia in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1256 ss. c.c.) sia di inesigibilità della controprestazione per buona fede (art. 1337 c.c.).
Rileva, a tal riguardo, che è pacifico che il matrimonio tra la COGNOME e il COGNOME non sia stato più celebrato (fatto non contestato e riconosciuto nella sentenza impugnata) e che RAGIONE_SOCIALE sia stata prontamente notiziata dell’annullamento del matrimonio.
5. Il ricorso è inammissibile.
In particolare, la censura, nella sua formulazione, si appalesa inammissibile per difetto di specificità.
È infatti jus receptum che l’onere di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. – come precisato, ex multis , dalle Sezioni Unite di questa Corte con la Sentenza n. 23745 del 28/10/2020 – impone al ricorrente che prospetti il vizio della violazione o della falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., di indicare puntualmente, a pena d’inammissibilità della censura, le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa officiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongano in contrasto con essa. La carenza di tali elementi, infatti, rende impossibile per il Giudice di legittimità esaminare le censure mosse dal ricorrente, poiché caratterizzate da assoluta genericità, impedendo alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.
Del resto, la censura, così come illustrata nel ricorso, esula dal paradigma – viceversa, evocato dalla ricorrente di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Ed invero, come è stato da tempo affermato da questa Corte, «le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di
legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione» (Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019, Rv. 652398-01).
Pertanto, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice del merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. ex multis , Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538-03; Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019, Rv. 652398-01; Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549-02), e ciò in quanto il vizio di sussunzione «postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito» (Sez. 3, Ordinanza n. 6035 del 13/03/2018, Rv. 648414-01).
Del resto, in disparte tali considerazioni, mette ancora conto di rilevare (come già illustrato nella proposta di definizione accelerata, depositata in data 28/02/2024) che, ove anche si ritenesse perfezionata, tramite la scrittura privata del 19.4.2017, la fattispecie della espromissione, ammettendo una successione a titolo particolare nel lato passivo del rapporto obbligatorio, ex art.
1272 c.c., la odierna ricorrente comunque non divenne, con la sua (sola) sottoscrizione, parte del contratto di vendita dell’abito da sposa (come accertato dal giudice del merito).
Ed invero, neppure potrebbe condurre a diverso esito la disciplina dell’espromissione delineata dall’art. 1272 c.c., in relazione alle eccezioni opponibili dall’espromittente al creditore.
Sul punto, infatti, a mente dell’art. 1272, comma 3, c.c., l’espromittente può opporre al creditore le eccezioni che spettano all’espromesso, purché non siano personali, non derivino da fatti successivi all’espromissione e non abbiano ad oggetto la compensazione.
Quanto esposto trova conferma, per differenza, nella disciplina della fideiussione, quale garanzia personale accessoria, là dove nasce un rapporto obbligatorio nuovo e indipendente, sebbene accessorio al rapporto originario, a differenza dell’espromissione. Su questo piano, l’indefettibile elemento dell’accessorietà dell’obbligazione fideiussoria implica una disciplina delle eccezioni opponibili dal fideiussore non compatibile con quella prevista in tema di estromissione all’art. 1272, comma 3, c.c. Ed invero, il fideiussore, a mente dell’art. 1945 c.c., può opporre al creditore garantito tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salvo quelle relative alla incapacità.
Pertanto, venendo al caso di specie, poiché l’annullamento del matrimonio costituirebbe, indiscutibilmente, fatto successivo alla asserita espromissione, l’eccezione in parola, per come proposta, non risulterebbe comunque e in ogni caso opponibile dall’odierna ricorrente alla società intimata; donde la inevitabile infondatezza della tesi esposta nel ricorso.
Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nessun provvedimento va pronunciato in tema di spese, stante l’indefensio della parte intimata.
Ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., dalla conformità della presente decisione rispetto a quanto prospettato alle parti in seno alla proposta di definizione accelerata del giudizio, consegue però la condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c., come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 5.000,00 in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza