Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3085 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3085 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18920/2020 R.G. proposto da: NOME, elettivamente domiciliata in CASERTA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo STUDIO LEGALE DCOGNOMENOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI n. 2757/2019, depositata il 21/05/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 29.10.2007 NOME COGNOME proponeva opposizione nei confronti del decreto ingiuntivo notificatogli su istanza di NOME COGNOME chiedendone la revoca e contestando la fondatezza della pretesa di pagamen to di €. 12.911,00 azionata dalla RAGIONE_SOCIALE, in restituzione di una somma (complessivamente ammontante a €. 25.822,84, oltre interessi) concessa in prestito il 03.11.1998 dal coniuge della COGNOME, NOME COGNOME, fratello di NOME COGNOME.
In particolare, l’ingiunto NOME COGNOME eccepiva che il proprio figlio NOME aveva versato la somma oggetto dell’ingiunzione all’opposta, la quale dal canto suo aveva accettato dal primo un assegno bancario di importo pari ad €. 12.911,00 (recante numero 2.142.108.266-2), rilasciando altresì quietanza liberatoria in favore dell’ingiunto, regolarmente da ella sottoscritta in data 11.09.2007.
1.1. Precisava, inoltre, l’opponente, che la creditrice non aveva mai provveduto a versare l’assegno per l’incasso in quanto, a suo dire, la banca non lo aveva accettato per asserite irregolarità nell’intestazione del titolo. Concludeva, infine, il COGNOME offrendo a cauzione, mediante deposito in cancelleria e in uno alla costituzione in giudizio, assegno circolare non trasferibile (n. 8.300.581.973-08) dello stesso importo preteso dalla RAGIONE_SOCIALE e ad ella intestato; assegno che, in effetti, sarebbe stato successivamente regolarmente incassato dalla creditrice.
1.2. Contestualmente, NOME COGNOME, figlia ed erede di NOME COGNOME, agiva in giudizio esclusivamente per la sua quota del credito del padre, pari a €. 12.911,00. Il medesimo Tribunale,
prima, e la medesima Corte d’Appello, poi, riconoscevano il credito di NOME COGNOME peraltro rimarcando la seconda come la dichiarazione liberatoria contenuta nella predetta quietanza rilasciata dalla madre dell’istante in favore di NOME COGNOME avesse impegnato la sola NOME COGNOME estinguendo l’obbligazione uni camente nei confronti di quest’ultima.
1.3. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere -Sez. Dist. di Marcianise, con sentenza n. 398/2011, accoglieva l’opposizione.
Avverso detta pronuncia interponeva appello NOME COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Napoli, che rigettava il gravame così argomentando, per quanto ancora di interesse:
-con riferimento alla quietanza liberatoria dell’11.09.2007, l’ipotesi prospettata dalla creditrice di un riempimento di foglio in bianco recante solo la fotocopia dell’assegno ma privo di testo scritto non autorizzato, con sottoscrizione da ella riconosciuta, avrebbe richiesto l’esperimento della querela di falso. In assenza di detta impugnazione da parte della creditrice, alla scrittura di cui si discute deve riconoscersi piena riconducibilità soggettiva alla creditrice;
quanto alla portata giuridica del documento, la creditrice, nell’accettare l’assegno offerto da NOME COGNOME aveva espressamente dichiarato di voler definitivamente liberare il proprio cognato con riferimento all’obbligazione di pagamento della so mma in contestazione, precisando altresì di non poter far valere nei confronti dello stesso relativamente alla predetta causale di prestito «eccezioni di sorta» e di non avere « null’altro … a pretendere nei confronti dello stesso, né per il passato né per il presente che per il futuro, per capitale, interessi e spese, anche legali» . L’ipotesi in questione va inquadrata nella fattispecie dell’accordo di espromissione di cui all’art. 1272 cod. civ., con liberazione del
debitore originario per espressa dichiarazione di volontà della creditrice, e non quale mera quietanza, dichiarazione di scienza;
-ne deriva l’effetto senz’altro estintivo dell’obbligazione prima della riscossione del relativo credito, a poco rilevando che l’obbligato diventi un terzo, a condizione che -come nel caso di specie -tale sia la volontà delle parti (art. 1198, comma 1, cod. civ.), di tal che la produzione dell’effetto estintivo, foss’anche solo nei confronti del debitore originario (NOME COGNOME) deriva dalla natura negoziale della dichiarazione in discorso;
-la consegna dell’assegno bancario numero 2.142.108.266 -2 richiamato nella scrittura privata dell’11.09.2007, a mezzo dell’offerta reale del 24.10.2007 non è idonea ad incidere sull’effetto giuridico relativo alla liberazione del debitore originario NOME COGNOME nei termini espressamente ed univocamente enunciati dalla predetta scrittura privata recante la sottoscrizione della COGNOME, senza che quest’ultima abbia validamente e ritualmente disconosciuto la stessa.
Per la cassazione della sentenza in epigrafe ha proposto ricorso NOME COGNOME affidandolo a tre motivi.
Resiste NOME COGNOME.
A séguito della proposta di definizione accelerata del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, con comparsa del 24.04.2024, NOME COGNOME nella qualità di erede di NOME COGNOME deceduta nelle more del presente giudizio, si è costituita e ha chiesto la decisione ex art. 380bis , comma 2, cod. proc. civ.
E’ utile precisare che, a séguito della decisione di questa Corte resa a Sezioni Unite (Cass. Sez. U., n. 9611 del 10.04.2024), e per le ragioni ivi chiarite, la partecipazione del Consigliere Delegato proponente, ex art. 380bis cod. proc. civ., come componente del
Collegio che definisce il giudizio, non rileva quale ragione di incompatibilità, ai sensi dell’art. 51, comma 1, n. 4 e dell’art. 52 cod. proc. civ.
Con istanza datata 30.04.2024, NOME COGNOME ha chiesto la sospensione del presente giudizio, in attesa dell’esito del giudizio di querela di falso proposto, ai sensi dell’art. 221 cod. proc. civ., dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere disattesa l’eccezione di improcedibilità ( rectius : inammissibilità) sollevata in controricorso (p. 2, righi 16-23) per avvenuta scadenza del termine lungo ad impugnare. Contrariamente a quanto ivi argomentato, in tema di normativa emergenziale di contrasto dell’epidemia da «Covid-19», l’art. 83, del D.L. n. 18 del 2020 (convertito con modifiche nella legge n. 27 del 2020, modificato ad opera dell’art. 36, comma 1, del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, conv. con modif. dalla legge n. 40 del 2020), in virtù del quale dal 9 marzo 2020 a ll’11 maggio 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali, va applicato ai giudizi nei quali la decorrenza del termine di impugnazione risulti già sospesa al momento dell’entrata in vigore della citata legge (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 5393 del 21/02/2023, Rv. 667001 – 03), inclusi anche i termini di sospensione feriale.
Nel caso che ci occupa, il termine lungo di un anno per la proposizione del ricorso in cassazione (trattandosi di controversia insorta anteriormente alla riforma del 2009) sarebbe scaduto il 22.06.2020, atteso che la sentenza di appello, non notificata, è stata depositata il 21.05.2019 ma, al tempo della vigenza della norma sopracitata, detto termine era, appunto, sospeso per tutto il periodo
ivi previsto, che pertanto – unitamente al periodo feriale – deve essere conteggiato nella decadenza dalla proposizione del ricorso, a pena di mortificare ingiustificatamente il diritto all’azione giudiziaria della ricorrente.
Alla luce di quanto sopra, la scadenza prevista per la proposizione del ricorso sarebbe stata il 24.09.2020, mentre il ricorso è stato notificato il 17.07.2020, dunque nei termini di legge.
1.1. Inoltre, è inammissibile la deduzione del vizio di cui al n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. Contrariamente a quanto argomentato nell’istanza di decisione ex art. 380bis , comma 2, cod. proc. civ. (p. 3, 1° capoverso), la censura riferita a questo capo (peraltro reiterata in tutti e tre i motivi del ricorso) non è ammissibile in quanto ricorre l’ipotesi della c.d. «doppia conforme», che si verifica allorquando la sentenza di appello confermi la decisione di prime cure sulla base delle stesse ragioni inerenti alla questione di fatto: la decisione di secondo grado non deve necessariamente corrispondere in toto a quella di primo grado, ma è sufficiente che le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico – argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa. Non osta, dunque, alla configurazione della cd. «doppia conforme» il fatto che il giudice di appello, nel condividere e confermare la decisione impugnata, abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass. 9 marzo 2022, n. 7724).
Nel caso che ci occupa, la Corte d’appello ha confermato la valorizzazione conferita dal giudice di prime cure all’atto di quietanza rilasciato dalla ricorrente l’11.09.2007, al quale in definitiva il secondo giudice ha ugualmente riconosciuto valore liberatorio, sebbene attribuendogli una natura giuridica diversa (espromissione
liberatoria, anziché quietanza liberatoria quale semplice promessa unilaterale di pagamento).
1.2. Infine, il Collegio ritiene di dover disattendere l’istanza di sospensione del presente giudizio avanzata dall’erede della ricorrente, NOME COGNOME atteso che l’esito del processo per querela di falso -contrariamente a quanto affermato nell’istanza di sospensione (p. 2, 3° capoverso) – non condurrebbe alla «indubbia» dimostrazione del mancato adempimento dell’obbligazione di NOME COGNOME. Come riportato in parte narrativa (punto 1.1.), nel corso del processo innanzi al Tribunale di Santa NOMECOGNOME. l’odierno ricorrente aveva offerto assegno circolare non trasferibile (n. 8.300.581.973-08) dello stesso importo preteso da NOME COGNOME successivamente incassato dalla creditrice, rispetto al quale pagamento (considerato come parziale) quest’ultima aveva chiesto la corresponsione degli interessi dalla data fissata per l’adempimento al saldo. Detto incontestato pagamento non può, tuttavia, considerarsi come parziale, atteso che sulla restante metà dell’adempimento del debito di NOME COGNOME nelle mani di NOME COGNOME, erede del creditore originario, è sceso giudicato (v. supra , parte narrativa punto 1.2.).
Prospettandosi l’infondatezza della pretesa creditoria , ritiene il Collegio di dover seguire un indirizzo ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ispirato dalla necessità di osservare il principio della ragionevole durata del processo, per cui, nel caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, risulta superflua la sospensione del procedimento.
Tanto precisato, è ora possibile affrontare i motivi di gravame.
Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1277, 1197,
1199, 1209, 2699 e 2700 cod. civ. nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ed, ancora, l’omessa, illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale tralasciato ogni indagine sull’oggetto della controversia, ossia sulla mancata estinzione del debito da parte dell’obblig ato principale NOME COGNOME senza considerare l’offerta reale del 24 ottobre 2007, con cui la creditrice, a mezzo di ufficiale giudiziario, aveva restituito l’assegno bancario riprodotto in fotocopia in calce alla quietanza dell’11 settembre 2007 nelle mani proprie dell’emittente NOME COGNOME che ne aveva accettato la restituzione.
Con il secondo motivo la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1272, 1209, 2699 e 2700 cod. civ. nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ed, ancora, l’omessa, illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di merito ritenuto integrata un’ipotesi di espromissione per accordo tra il creditore e il terzo, in ordine all’assunzione del debito del debitore originario, a mezzo di daz ione dell’assegno, da qualificarsi come promessa di pagamento idonea ad estinguere e liberare il debitore originario, benché non vi fosse stato alcun accordo tra la creditrice e l’asserito espromittente.
Con il terzo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. della violazione degli artt. 1198 e 1209 cod. civ. nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ed, ancora, dell’omessa, illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte distrettuale attribuito alla quietanza dell’11 settembre 2007 o comunque alla dazione dell’assegno bancario la qualificazione giuri dica di cessione di credito in luogo di adempimento, sul presupposto della
riconducibilità dell’assegno bancario alla promessa di pagamento, laddove tra debitore originario e creditrice non vi sarebbe stato alcun contratto di cessione e laddove la promessa di pagamento da parte del terzo sarebbe stata revocata dal medesimo, avendo questi accettato la restituzione dell’assegno con offerta reale del 24 ottobre 2007.
I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro stretta connessione logica, e sono inammissibili per le ragioni di séguito esposte.
5.1. L’espromissione si perfeziona verso il creditore senza bisogno di un suo atto di accettazione, quando egli venga a conoscenza dell’impegno assunto dall’espromittente (e vi dia seguito, come nel caso di specie accettando l’assegno), poiché la causa del contratto è costituita puramente e semplicemente dall’assunzione del debito altrui (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21102 del 22/07/2021, Rv. 661909 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22166 del 07/12/2012, Rv. 624165 – 01).
La Corte d’Appello ha interpretato la scrittura privata dell’11.07.2007 come espromissione liberatoria, ai sensi dell’art. 1272, comma 1, cod. civ.: per effetto di tale accordo di espromissione con liberazione espressa del debitore originario, il rapporto obbligatorio si è, dunque, trasferito sull’espromittente contro cui esclusivamente possono essere fatte valere le relative eccezioni.
Rispetto all’interpretazione proposta dalla Corte territoriale, non hanno pregio le osservazioni della ricorrente che, anche richiamando la fattispecie concreta su cui questa Corte ha ribadito quale sia la causa dell’accordo di espromissione (Cass. n. 2110 2/2021, cit.), ha ritenuto non sussistente detto accordo. Va ricordato, a tal proposito, che l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in
fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che, ratione temporis , nelle ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti ai sensi del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ., nella formulazione attualmente vigente e qui esclusa per le ragioni esposte supra al punto 1.2., ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360 n. 3) cod. proc. civ., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 e ss. cod. civ., qui neanche richiamati in ricorso.
Il sindacato di legittimità, in effetti, può avere ad oggetto solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati al fine di verificare se sia incorso in errori di diritto o in vizi di ragionamento (Cass. n. 23701 del 2016, in motiv.). Per sottrarsi al sindacato di legittimità sotto i profili di censura dell’ermeneutica contrattuale, quella data dal giudice al contratto non deve invero essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (per tutte: Cass Sez. 2, Ordinanza n. 40972 del 2021).
5.1.1. L’interpretazione dell’accordo di espromissione prescelta dalla Corte distrettuale non è implausibile: riportata nel suo testo letterale, la «quietanza» assume -nella prospettiva del giudice del merito -una valenza liberatoria desunta dall ‘ inequivocabile espressione di volontà della creditrice, pure limitata all’estinzione dell’obbligazione nei confronti del debitore originario (NOME COGNOME) e senza che tale abdicazione nei confronti di quest’ultimo
potesse risolversi nella preclusione alla creditrice di agire nei confronti dell’espromittente (NOME COGNOME).
Sì che la doglianza si traduce in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019).
Infondata è anche la censura sulla violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. La doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso il richiamo fatto all’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito. Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (Cass. Sez. U, sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 -02, conf. da Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09.06.2021, Rv. 661360 -02; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29177 del 20.10.2023), in virtù dei quali in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio). La doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa
indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
5.2. Quanto alla pretesa omissione di dare rilevanza all’offerta reale, consistita nella restituzione dell’assegno bancario (recante numero 2.142.108.266-2): la Corte territoriale afferma che la restituzione dell’assegno non implica di per sé il venir meno della promessa di pagamento posta in essere da NOME COGNOME, né l’effetto liberatorio attribuito alla scrittura privata di cui si discute è stato compromesso dalla successiva restituzione dell’assegno menzionato, mai passato all’incasso (v. sentenza p. 8, ultimo capoverso). Tanto basta ad escludere la prospettazione di alcuna omissione, come pure affermato in ricorso, atteso che il giudice di seconde cure ha, come detto, affrontato la questione nei termini di legge, secondo un’interpretazione plausibile dell’accordo di espromissione.
In definitiva, nella sentenza impugnata non è rilevabile alcun vizio di violazione di legge nei termini dedotti dalla ricorrente.
6. Il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €. 3. 400,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%;
condanna, altresì, parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3 cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di € . 2.000,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’art. 96, comma 4 cod. proc. civ. – al pagamento della somma di €. 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda