Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10362 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10362 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati:
Oggetto
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
CONDOMINIO
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Rel. Consigliere –
Ad. 10/04/2025 –
CC
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
R.G.N. 31942/2019
Dott. NOME
Consigliere –
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso 31942-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa giusta procura in calce al controricorso dall’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1906/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/03/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Lette le memorie delle parti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con atto di citazione notificato in data 1° ottobre 2010 la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE) conveniva, innanzi al Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Albano Laziale, la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘), chiedendo di accertare e dichiarare l’inapplicabilità dell’art. 19 del regolamento di Condominio del Centro Commerciale La Nave -espressamente richiamato al momento della conclusione dell’atto con il quale l’attrice aveva acquistato dala stessa convenuta la proprietà dei locali oggetto di causa – e ciò in quanto ritenuto lesivo dei diritti dei condomini, essendo perciò priva di fondamento la pretesa allo sgravio del 90% delle spese condominiali in favore della società RAGIONE_SOCIALE previsto dal citato art. 19.
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere il rigetto della domanda attorea, chiedendo con domanda riconvenzionale la condanna dell’attrice al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 203 del 31 maggio 2013, rigettava la domanda proposta dalla società attrice e la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per lite temeraria.
La società RAGIONE_SOCIALE interponeva appello avverso tale sentenza, chiedendo di accertare e dichiarare il carattere lesivo dei diritti dei condomini, anacronistico e privo di fondamento logicogiuridico, dell’art. 19 del citato regolamento di Condominio del Centro Commerciale La Nave, essendo venuti meno i presupposti originari per la sua operatività e per l’effetto dichiarare inapplicabile lo sgravio fiscale in favore della CO.GE.COM. 88.
In particolare, l’appellante riteneva che la clausola contrattuale, contenente la previsione dello sgravio degli oneri condominiali in favore dell’appellata, senza fissazione di alcun termine, in vigore da oltre venti anni, dovesse essere considerata vessatoria e come tale affetta da nullità in quanto non approvata, specificatamente, dai condomini al momento dell’acquisto delle unità immobiliari. Tale clausola doveva comunque essere ritenuta temporanea e quindi non più applicabile.
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE eccependo l’inammissibilità dell’impugnazione proposta e chiedendo il rigetto di ogni domanda con la conseguente conferma della sentenza.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1906 del 21 marzo 2019, nel rigettare l’impugnazione e ritenere efficace la clausola in quanto oggetto di ulteriori decisioni passate in giudicato,
evidenziava che, trattandosi di regolamento condominiale di natura contrattuale, in quanto redatto dall’originario costruttore -proprietario, la relativa clausola fosse modificabile solo con l’unanimità dei consensi dei partecipanti, pena la sua nullità.
La Corte territoriale evidenziava poi l’efficacia del riparto delle spese condominiali sulla base dell’assenza di prova circa la vendita o la locazione a terzi dei locali della società RAGIONE_SOCIALE
88, circostanza posta quale condizione per il venir meno del suddetto beneficio fiscale a favore della società.
Il giudice di secondo grado, infine, escludeva il carattere vessatorio della suddetta clausola relativa allo sgravio fiscale in quanto, facendo il regolamento convenzionale corpo con il contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell’edificio condominiale, pur non essendo materialmente inserito nel relativo testo, le sue clausole rientravano ‘per relationem’ nel contenuto dei suddetti contratti di acquisto. Inoltre, il richiamo ‘ per relationem ‘ ad opera di entrambi i contraenti escludeva, secondo il giudice di merito, l’applicazione dell’art. 1341 c.c. che si riferisce, invece, alle clausole predisposte da una soltanto delle parti contrattuali.
Per la cassazione di tale sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso sulla base di due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Preliminarmente deve esser disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, in quanto presentato dalla società ricorrente in data successiva a quella in cui è stata sottoposta la
procedura di concordato preventivo, e senza avere previamente richiesto l’autorizzazione alla sua proposizione.
Rileva a tal fine il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui la domanda giudiziale proposta da un imprenditore che abbia presentato istanza di ammissione al concordato preventivo non necessita, ai fini della sua ammissibilità, della previa autorizzazione del tribunale ai sensi dell’art. 161, comma 7, L.F., in quanto la mancanza di tale autorizzazione, necessaria ai fini del compimento degli atti urgenti di straordinaria amministrazione, produce conseguenze esclusivamente sul piano dei rapporti sostanziali (Cass. S.U., 28/05/2020, n. 10080), la cui portata appare suscettibile di estensione anche al caso in esame.
Ciò chiarito e passando all’esame dei motivi, il primo di essi denuncia, ai sensi degli artt. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 99, 112, 115 c.p.c., 2697 e 2907 c.c. in relazione agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. sulle regole di ripartizione dell’onere della prova nonché l’inesistenza o, in subordine, l’apparenza della motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo, per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto efficace la clausola contrattuale sulla base della sua mancata contestazione in giudizio e sull’accertamento della sua validità contenuto in altre decisioni.
In particolare, a parere della ricorrente, il giudice di secondo grado, nell’affermare la sussistenza di precedenti giudicati intercorsi tra le parti circa l’efficacia e la legittimità della clausola, non solo avrebbe omesso di farne menzione, ma avrebbe anche
trascurato che la loro asserita mancata contestazione non può essere considerata come tacita ammissione della circostanza.
Inoltre, la decisione di seconde cure, nel riferirsi ai precedenti giudicati, non consentirebbe di ricostruire l’iter logico -motivazionale seguito dalla Corte nell’assunzione del provvedimento impugnato.
Il secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi degli artt. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1353,1355,1362,1366,1370,1371 c.c., nonché degli artt. 99, 112, 183 c.p.c., 2697 e 2907 c.c. in relazione agli artt. 1418, 1419 e 1421 c.c. sulle regole di ripartizione dell’onere della prova per aver la Corte territoriale erroneamente affermato che lo sgravio delle spese condominiali accordato a CO.GE.COM. 88 debba ritenersi efficace per essere la clausola contenuta in un regolamento condominiale di natura contrattuale e per l’assenza di prova circa la vendita o la locazione a terzi dei locali di proprietà della società costruttrice.
Il motivo denuncia altresì un vizio di motivazione e di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. per aver la Corte territoriale effettuato un errato ragionamento inferenziale. In particolare, a parere della ricorrente, mancherebbe consequenzialità logico-giuridica tra la premessa e la conclusione in quanto affermare che la clausola sarebbe valida ed efficace perché le pattuizioni sulla ripartizione delle spese contenute in regolamenti condominiali di natura contrattuale sono efficaci sarebbe esclusivamente una petizione di principio, non avente contenuto dimostrativo e quindi privo di passaggi motivazionali.
Sotto il profilo della violazione delle regole di ermeneutica, inoltre, non solo il giudice di merito avrebbe erroneamente qualificato la clausola alla stregua di una condizione potestativa semplice anziché di una condizione meramente potestativa, affetta da nullità ex art. 1355 c.c., ma avrebbe anche omesso di considerare, sul piano dell’interpretazione della clausola, che lo sgravio accordato alla società si protrae da quasi trenta anni, evento che confermerebbe, secondo la ricorrente, la tesi della natura meramente potestativa della clausola.
Il Tribunale non avrebbe neanche effettuato una interpretazione secondo buona fede della volontà delle parti, avendo omesso di prendere in considerazione la situazione di fatto desumibile dalla lettura della clausola che espressamente prevede il carattere temporaneo dello sgravio fiscale.
Questi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono manifestamente infondati.
Rileva a tal fine l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata circa il fatto che la previsione relativa allo sgravio concesso a favore dele unità immobiliari della società costruttrice, al permanere delle condizioni ivi elencate, è contenuta in un regolamento contrattuale predisposto dallo stesso costruttore e pacificamente richiamato per relationem nell’atto di acquisto da parte della ricorrente delle unità immobiliari ubicate nel condominio per cui è causa (affermazione questa espressamente presente nella sentenza impugnata, al fine di disattendere l’eccezione di omesso rispetto dei requisiti formali di cui al secondo comma dell’art. 1341 c.c., e che è anche confermata dalla difesa della ricorrente, che alla pag. 9, nota 3 del ricorso
specifica che il regolamento nel quale è inserita la clausola de qua, forma parte integrante del contratto di compravendita delle sue unità immobiliari).
Ad avviso del Collegio già questa sola considerazione consente di confermare la correttezza in diritto della soluzione cui è pervenuta la Corte d’appello, prescindendo quindi anche dalla verifica circa la sufficienza del richiamo operato in sentenza a precedenti giudicati intervenuti tra le parti, e circa l’effettiva idoneità di tali sentenze a rappresentare un valido accertamento in ordine alla vincolatività della clausola.
L’art. 19 oggetto di causa, espressamente prevede che: ‘La società RAGIONE_SOCIALE fino a quando non avrà trasferito in vendita, o locazione a terzi, per i locali ancora rimasti invenduti sarà sgravata dell’90% delle spese condominiali ad essa spettanti per i millesimi di propria competenza.
Non appena i locali commerciali -sano essi negozi o depositi -saranno trasferiti o locati, l’acquirente, il proprietario o chi per lui sarà obbligato al pagamento dell’intera quota condominiale’
Trattasi all’evidenza di una clausola con la quale la società convenuta, nella qualità di costruttrice ha inteso assicurarsi, nella specie per un periodo di tempo la cui individuazione è condizionata all’evento futuro ed incerto dell’avvenuta vendita o locazione dei locali di cui conservava la proprietà, il vantaggio di una consistente riduzione degli oneri condominiali gravanti sulla sua proprietà, ponendo quindi in essere una convenzione in deroga al criterio della ripartizione proporzionale dettato in via generale dell’art. 1123 c.c.
La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato nel corso degli anni la validità di siffatte convenzioni in deroga, anche nel caso in cui le stesse siano contenute nel regolamento contrattuale unilateralmente predisposto dal costruttore ed approvato, sebbene per relationem , negli atti di acquisto da parte di coloro che subentrano nel condominio per effetto dell’acquisto dall’originario unico proprietario, aggiungendosi come le stesse conservino valore vincolante e precettivo, non essendone possibile la modifica se non per effetto di una nuova convenzione che preveda il consenso unanime di tutti i condomini.
In questo senso si segnala Cass. n. 21086/2022, che ha ribadito che la convenzione sulla ripartizione delle spese in deroga ai criteri legali, ai sensi dell’art. 1123, comma 1, c.c., deve essere approvata da tutti i condomini, ha efficacia obbligatoria soltanto tra le parti, non vincolando essa gli aventi causa da queste ultime, è modificabile unicamente tramite un rinnovato consenso unanime e presuppone una dichiarazione di accettazione avente valore negoziale, espressione di autonomia privata, la quale prescinde dalle formalità richieste per lo svolgimento del procedimento collegiale che regola l’assemblea e può perciò manifestarsi anche mediante successiva adesione al contratto, con l’osservanza della forma prescritta per quest’ultimo.
Tale precedente, nell’affrontare il problema, che qui non ricorre, dell’opponibilità della convenzione ai successivi aventi causa, atteso che nella fattispecie le parti in causa sono proprio, da un lato, la società costruttrice, e dall’altro, la società che si è resa acquirente dei beni dalla prima con un atto di vendita che contiene un espresso rinvio al regolamento, in motivazione ha
espressamente precisato che i criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall’art. 1123 c.c., possono essere derogati, come prevede la stessa norma, e la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione può essere contenuta sia nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), ovvero in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, o col consenso di tutti i condomini (ad esempio, Cass. 17 gennaio 2003, n. 641). La natura delle disposizioni contenute negli artt. 1118, comma 1, e 1123 c.c. non preclude, infatti, l’adozione di discipline convenzionali che differenzino tra loro gli obblighi dei partecipanti di concorrere agli oneri di gestione del condominio, attribuendo gli stessi in proporzione maggiore o minore rispetto a quella scaturente dalla rispettiva quota individuale di proprietà.
La “diversa convenzione”, ex art. 1123, comma 1, c.c., è una dichiarazione negoziale, espressione di autonomia privata, con cui i condomini (ovvero la società costruttrice, con il regolamento predisposto in vista della successiva alienazione delle unità edificate) programmano che la portata degli obblighi di contribuzione alle spese sia determinata in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118, 1123 e ss. c.c. e 68 disp. att. c.c.
Ove però sia stata disposta una deroga ai criteri di cui all’art. 1123 c.c. con accordo unanime o con regolamento predisposto unilateralmente dal costruttore, la successiva modifica non può che passare attraverso una nuova unanime manifestazione di volontà dei condomini, restando altrimenti vincolante tra le parti
originarie la deroga convenzionalmente pattuita (Cass. n. 6735/2020).
Va pertanto ribadita la legittimità della convenzione modificatrice della disciplina legale di cui all’art. 1123 c.c., contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale, ovvero nella deliberazione dell’assemblea, quando approvata da tutti i condomini (Cass. n. 4844/2017; Cass. n. 641/2003; Cass. n. 5975/2004 che arriva ad ammettere anche una deroga che implichi l’esenzione totale o quasi integrale a favore di un determinato condomino).
Tale conclusione ha peraltro anche ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite che nella sentenza n. 18477/2010, in ordine alla approvazione delle tabelle millesimali, alla pag. 20 hanno espressamente affermato che ‘sulla base di tali premesse non sembra, in linea di principio, non sembra poter riconoscere natura contrattuale alle tabelle millesimali per il solo fatto che, ai sensi dell’art. 68 disp. att. cod. civ., siano allegate ad un regolamento di origine c.d. “contrattuale”, ove non risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, si sia inteso, cioè, approvare quella “diversa convenzione” di cui all’art. 1123 c.c., comma 1, (in senso conforme cfr. implicitamente la sentenza 2 giugno 1999 n. 5399, la quale, con riferimento ad una ipotesi in cui le tabelle allegate al c.d. regolamento contrattuale non avevano rispettato il principio della proporzionalità di cui all’art. 68 disp. att. cod. civ., ha affermato che le tabelle millesimali allegate a regolamento contrattuale non possono essere modificate se non
con il consenso unanime di tutti i condomini o per atto dell’autorità giudiziaria).
Trattasi di affermazioni che ribadiscono l’ammissibilità di una convenzione in deroga ai criteri dettati dall’art. 1123 co. 1 c.c., il che impone di dover ritenere che la clausola oggetto di causa sia destinata a spiegare efficacia vincolante, non incorrendo in alcuna delle ipotesi di nullità denunciate dalla ricorrente.
Ed, infatti, una volta ribadita l’ammissibilità di una deroga destinata a protrarsi per un tempo indeterminato, rispondendo questa all’interesse dell’originaria costruttrice, e senza che per ciò solo incorra in un divieto normativo, alcuna conseguenza può trarsi dall’assenza di un termine finale cui correlare la parziale esenzione. Del pari, la previsione che àncora il venir meno dell’esenzione all’evento futuro ed incerto della vendita o locazione a terzi delle unità immobiliari della controricorrente, lungi dal configurarsi come una condizione meramente potestativa (essendo evidente come tale evento risponda all’interesse della costruttrice di collocare sollecitamente sul mercato le unità realizzate, dando quindi concreta attuazione alla finalità primaria dell’attività edificatoria svolta in maniera professionale), costituisce piuttosto una previsione di favore per gli altri condomini, in quanto, pur potendo la costruttrice in ipotesi conservare a tempo indeterminato il diritto al parziale esonero, lo ha inteso limitare nel tempo sino al momento in cui nella titolarità delle unità beneficiate subentri un soggetto terzo, al quale non ha inteso estendere il vantaggio sul piano del riparto delle spese condominiali.
Non ricorre alcuna violazione delle regole di ermeneutica, in quanto anche a voler accedere all’interpretazione che della clausola offre la ricorrente, la sola previsione di un esonero parziale e per un tempo in potenza indefinito non comporta alcuna nullità della stessa (il che rende del tutto prive di fondamento le deduzioni difensive con le quali si invoca il principio della rilevabilità d’ufficio della nullità in base ai principi affermati da Cass. S.U. n. 26242/2014).
Inoltre, alla luce del chiaro tenore letterale della clausola non possono trovare applicazione le regole di interpretazione oggettiva (in particolare quelle di cui agli artt. 1370 e 1371 c.c.), che assumo carattere chiaramente recessivo ove non residuino dubbi sulla scorta del criterio letterale.
Infine, non ignora la Corte il principio di recente affermato da Cass. n. 20007/2022, secondo cui la clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell’edificio e richiamato nel contratto di vendita dell’unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi dell’art. 33, comma 1, d.lgs. n. 206 del 2005, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d’ufficio dal giudice nell’ambito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo e sempre che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall’alienante, o sull’obbligo di pagamento del prezzo gravante sull’acquirente,
restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l’obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano.
Tuttavia trattasi di precedente che non risulta applicabile alla fattispecie, sia perché la sentenza impugnata ha chiaramente escluso la possibilità di invocare la previsione di cui all’art. 1341 c.c. (con affermazione che non risulta censurata da parte ricorrente), sia per evidenti ragioni di carattere temporale, risalendo l’acquisto della ricorrente al 10 luglio 1992 ancor prima della data della Direttiva n. 93/13/Cee che ha dettato la disciplina delle clausole vessatorie, sia, ed in manera ancor più assorbente, per l’impossibilità di riconoscere alla ricorrente, per la sua qualità soggettiva (trattasi di società), la qualifica di consumatore.
Il ricorso è rigettato ed al rigetto consegue la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del grado che si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all’avvocato NOME COGNOME dichiaratosene anticipatario.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 4.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge, con attribuzione all’avvocato NOME COGNOME dichiaratosene anticipatario;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per l’ impugnazione a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda