Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17155 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17155 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4171-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 306/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 30/10/2020 R.G.N. 252/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 4171/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 06/05/2025
CC
RILEVATO CHE
Con sentenza in data 30 ottobre 2020 , la Corte d’Appello di Venezia, in accoglimento dell’appello incidentale proposto da NOME COGNOME ha parzialmente riformato la decisione di primo grado che aveva condannato il lavoratore – appellante incidentale – a risarcire il danno subito dalla RAGIONE_SOCIALE per la perdita del computer aziendale assegnato al dipendente ed aveva, invece, respinto le restanti domande proposte dalla società e dai suo amministratori delegati COGNOME e COGNOME nei confronti del COGNOME, aventi ad oggetto il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale asseritamente subito a causa dell’azione esecutiva da quest’ultimo intrapresa, per il soddisfacimento del proprio credito risarcitorio accertato con ordinanza ex art. 1, comma 49, L. 92/2012, emessa il 27 agosto 2013. Con tale ordinanza era stato ritenuto illegittimo il licenziamento intimato per giusta causa dalla società al RAGIONE_SOCIALE e la società medesima era stata condannata a corrispondere al lavoratore l’indennità pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
In particolare, la Corte, parzialmente rivedendo l’ iter decisorio del primo giudice, ha ritenuto provata la circostanza della legittima detenzione, da parte del Campana, di un computer aziendale per lo svolgimento delle proprie mansioni, sulla base di una lettera di affidamento di ‘macchine elettroniche aziendali ad uso la vorativo’.
Il Collegio ha escluso, poi, che la perdita del computer fosse imputabile al Campana.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandolo a tre motivi.
Resiste, con controricorso, NOME COGNOME.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si censura la decisione impugnata per violazione degli artt. 481 e 482 cod. proc. civ., in combinato disposto con gli artt. 1175, 1375 cod. civ., 96 comma 1 e comma 2, cod. proc. civ. e 111 Cost., in rapporto all’art. 1277 cod. civ., allegandosi l’omissione da parte della Corte dell’esame della questione, prospettata in appello, relativa all’obbligo gravante sul creditore di non intraprendere una azione esecutiva che possa rivelarsi arbitraria e/o abusiva una volta estinto, nelle more, il debito.
Con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt.115, 116, 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att., nonché 420 co. 5, cod. proc. civ. con riferimento all’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., con riguardo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione al danno procurato dal Campana alla RAGIONE_SOCIALE ed ai suoi amministratori.
Con il terzo motivo si allega la violazione dell’art. 2909 cod. civ. e 424 cod. proc. civ. nonché 480 co. 1 cod. proc. civ. in combinato disposto con gli artt. 1, co. 50 l. n. 92/2012, 431, co.1 e 474 co .1 cod. proc. civ., per aver la Corte ritenuto modificabile in melius la somma oggetto di esecuzione rispetto a quella indicata nel titolo esecutivo.
Il primo motivo è inammissibile.
Parte ricorrente deduce l’erronea sussunzione da parte della Corte con riguardo alla questione, che asserisce essere di puro diritto, circa la
valutazione compiuta dal Collegio in ordine all’obbligo che grava sul creditore di non intraprendere una azione esecutiva che possa rivelarsi abusiva e/o arbitraria per l’intervenuto pagamento medio tempore del debito.
Giova rilevare come la piana formulazione del motivo induca ad affermare che la questione, che parte ricorrente prospetta come violazione di legge, in realtà si estrinsechi in una richiesta di rivalutazione, in fatto, del comportamento tenuto da parte controricorrente nel porre in esecuzione il titolo vantato.
La Corte d’appello ha, invero, puntualmente e diffusamente motivato circa la mancata effettuazione in concreto del pagamento nel termine di 10 giorni di cui all’art. 482 cod. proc. civ., mentre ha accertato, sempre in fatto, che, prima di procedere in executivis, il COGNOME aveva atteso l’adempimento spontaneo di RAGIONE_SOCIALE per circa un mese e mezzo, essendo stata emessa l’ordinanza ex rito Fornero in data 27 agosto 2013 ed il precetto notificato in data 11 ottobre 2013, né avendo ricevuto alcuna comunicazione il lavoratore da parte della società circa l’effettuazione del bonifico, circostanza, del resto, né allegata, né specificamente provata dalla società.
Deve concludersi che parte ricorrente, nel formulare le proprie censure mediante ricorso per cassazione, non si è conformata a quanto statuito dal Supremo Collegio in ordine alla apparente deduzione di vizi ex artt. 360 co. 1 nn.3 e 5 e, cioè, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l ‘ apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr., SU n. 34476 del 2021).
Anche il secondo motivo è inammissibile: lo stesso, oltre ad essere inammissibilmente formulato in modo promiscuo, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure, denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contesta l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta sussistenza dei danni lamentati dalla società e dai suoi amministratori, criticando sotto vari profili la valutazione dalla stessa compiuta con doglianze intrise di circostanze fattuali.
Con particolare riguardo alla violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., va rilevato che questa Corte ha affermato che, in caso di censura per motivazione mancante, apparente o perplessa, spetta al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. n. 13578 del 02/02/2020) e, d’altra parte, per aversi motivazione apparente occorre che la stessa, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (sul punto, fra le altre, Cass. n. 13248 del 30/06/2020).
Con riferimento alla dedotta omessa e contraddittoria motivazione, occorre rilevare, poi , che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017).
In particolare, infine, con riferimento alla allegata violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., va rilevato che una questione di violazione e falsa applicazione di tali norme non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico,
elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).
Nel caso di specie, del tutto inconferente deve reputarsi il richiamo alle disposizioni considerate, atteso che parte ricorrente lamenta esclusivamente una erronea interpretazione delle prove offerte, delle quali, tuttavia, suggerisce un diverso apprezzamento, meramente contrapponendo alla motivazione della Corte la propria diversa interpretazione, senza apportare elementi che possano indurre a reputare la prima implausibile.
Giova, piuttosto, rilevare come la Corte non abbia inteso affrontare in modo puntiforme i danni lamentati dalla società e dai suoi amministratori non avendo ravvisato alcuna responsabilità in capo al Campana, nemmeno con riguardo al momento in cui lo stesso ha rinunciato all’azione esecutiva, con la precisazione, ad ulteriormente corroborare tale accertamento, che in ogni caso alcun danno poteva essere anche solo dedotto nei confronti del lavoratore, atteso che tutti i pignoramenti erano risultati negativi.
Il lavoratore, infatti, secondo quanto accertato in fatto dalla Corte, ha atteso un congruo periodo prima di notificare il precetto ed ha anche dimostrato in giudizio di aver verificato, mediante un controllo sul proprio conto bancario, l’assenza di accred iti prima di avviare la procedura esecutiva in questione.
In particolare, poi, la Corte ha ritenuto di escludere ogni ritardo colposo nella rinuncia alla procedura esecutiva in oggetto ed ha poi aggiunto che, in ogni caso, nessun danno patrimoniale in capo alla società potesse configurarsi anche solo in considerazione delle dichiarazioni rese dai terzi pignorati.
La Corte ha, quindi, escluso qualsivoglia responsabilità in capo al COGNOME alla luce della legittimità dell’azione esecutiva e del successivo comportamento tenuto dallo stesso appellato.
Ogni diversa valutazione deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità.
Inammissibile, infine, il terzo motivo di ricorso.
Parte ricorrente contesta, nella sostanza, l’importo relativo all’ultima retribuzione globale di fatto come indicato dal Campana in euro 9.579,24, a fronte di una diversa indicazione in euro 8.267,71 come descritta dallo stesso lavoratore negli atti del giudizio relativo all’impugnazione del licenziamento.
A ben guardare, la Corte, dopo essersi uniformata al consolidato orientamento di legittimità, secondo cui il concetto di retribuzione globale di fatto indica l’insieme degli emolumenti normalmente dovuti in dipendenza del rapporto di lavoro con esclusione di quelli di carattere occasionale (cfr., ex plurimis, Cass. n. 29105 del 2019) ha ritenuto, all’uopo, corretta la determinazione contenuta nell’atto di precetto, comprensiva di tredicesima e TFR, ed ha anche rilevato come l’ordinanza ex lege Fornero – costituente titolo esecutivo – non contenesse alcuna statuizione in ordine all’importo dell’ultima retribuzione globale di fatto, retribuzione che ben poteva e doveva, dunque, essere liquidata in precetto, così accertando la legittimità del procedimento matematico che aveva condotto alla quantificazione dell’ultima retribuzione globale di fatto ma anche la cor rettezza della operazione di quantificazione effettuata in precetto, seppure in importo diverso da quello indicato nel ricorso introduttivo del giudizio conclusosi con l’emissione dell’ordinanza.
Anche tale valutazione, di fatto, deve ritenersi sottratta al sindacato di legittimità.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, dalla parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 8.000,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il rico rso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 6 maggio 2025.
La Presidente
NOME COGNOME