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Esecuzione del mandato: onere della prova del creditore

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16107/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di contratto di mandato. Un professionista aveva richiesto il pagamento del suo compenso per un’attività di mediazione immobiliare, ma la sua domanda è stata rigettata. La Suprema Corte ha confermato che, per avere diritto al corrispettivo, non è sufficiente provare l’esistenza del contratto (il titolo), ma è necessario dimostrare anche l’effettiva esecuzione del mandato. Questo onere della prova ricade interamente sul mandatario che agisce per il pagamento.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Esecuzione del Mandato: Chi Deve Provare Cosa per Ottenere il Compenso?

Nel mondo dei contratti professionali, il mandato è uno strumento frequentissimo. Ma cosa succede se, al momento di chiedere il compenso, il cliente contesta l’operato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 16107/2024) ha ribadito un principio cruciale: per ottenere il pagamento, il professionista (mandatario) non può limitarsi a presentare il contratto firmato. Deve, invece, fornire la prova concreta dell’esecuzione del mandato. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti del caso: Il mandato e la richiesta di compenso

La vicenda nasce dalla richiesta di pagamento di un professionista che aveva ricevuto un mandato per curare la dismissione di un immobile di proprietà di due persone. Il compenso pattuito era di 60.000 euro. L’attività del professionista si sarebbe conclusa con l’esproprio dell’immobile da parte del Comune per una cifra superiore a quella minima concordata.

Tuttavia, i mandanti si erano rifiutati di pagare il compenso. Il professionista, quindi, avviava una causa per ottenere quanto gli spettava. Durante il processo di primo grado, una delle parti mandanti decedeva, e il giudizio veniva interrotto e poi riassunto nei confronti degli eredi. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano la domanda del professionista, seppur con motivazioni diverse. Si arrivava così al giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione.

La decisione della Corte d’Appello e i motivi del ricorso

La Corte d’Appello aveva qualificato il contratto come mandato e non come mediazione atipica, ma aveva comunque respinto la richiesta del professionista ritenendo non sufficientemente provata la sua prestazione.

Il ricorrente si rivolgeva alla Cassazione sostenendo, principalmente, che la Corte d’Appello avesse errato nell’applicare le regole sull’onere della prova. Secondo la sua tesi, una volta provata l’esistenza del contratto di mandato (la fonte del diritto), sarebbe spettato alla controparte (il mandante) dimostrare l’inadempimento del professionista. In altre parole, il solo titolo contrattuale sarebbe stato sufficiente a fondare il diritto al compenso, invertendo l’onere probatorio.

La questione della prova nell’esecuzione del mandato

Il cuore della controversia legale si è concentrato su questo punto: nel contratto di mandato, il diritto al compenso sorge automaticamente dalla stipula del contratto o richiede la prova dell’effettivo svolgimento dell’attività? Il ricorrente invocava il celebre principio delle Sezioni Unite (sentenza n. 13533/2001), secondo cui il creditore deve solo provare il titolo e allegare l’inadempimento, mentre spetta al debitore provare di aver adempiuto. Ma questo principio è applicabile in modo indiscriminato a tutti i contratti?

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo una chiara e approfondita motivazione sull’onere della prova specifico del contratto di mandato.

I giudici hanno chiarito che la regola generale tracciata dalle Sezioni Unite non si applica meccanicamente al mandato. Questo contratto ha una struttura sinallagmatica particolare. Il diritto al corrispettivo del mandatario non discende direttamente e unicamente dal titolo, ma è la “risposta” all’adempimento della sua obbligazione.

La Corte ha valorizzato l’articolo 1712 del Codice Civile, che obbliga il mandatario a comunicare “senza ritardo” al mandante l’esecuzione del mandato. Questa comunicazione non è una mera informazione, ma l’atto che attesta l’avvenuto adempimento e fa sorgere il diritto al relativo compenso. Di conseguenza, l’esecuzione del mandato non è un fatto estintivo che deve essere provato dal debitore (mandante), ma è un fatto costitutivo del diritto al compenso che deve essere provato dal creditore (mandatario).

In definitiva, la Cassazione ha ribadito con forza il seguente principio: il fatto costitutivo del diritto al compenso del mandatario è composto da due elementi, entrambi da provare:
1. Il titolo, ovvero il contratto di mandato.
2. L’esecuzione del mandato stesso.

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso, inclusi quelli relativi alla presunta non contestazione dei fatti e all’omesso esame di prove, giudicandoli un tentativo di ottenere un terzo grado di merito non consentito in sede di legittimità.

Le conclusioni: Implicazioni pratiche per i professionisti

Questa ordinanza offre una lezione fondamentale per tutti i professionisti che operano sulla base di un contratto di mandato. La semplice esistenza di un accordo scritto non è una garanzia sufficiente per ottenere il pagamento del proprio lavoro. È essenziale documentare meticolosamente ogni attività svolta in adempimento dell’incarico ricevuto e comunicare formalmente al cliente l’avvenuta esecuzione del mandato. Conservare prove documentali (email, relazioni, verbali) dell’attività svolta diventa cruciale per poter far valere il proprio diritto al compenso in caso di contestazioni. In assenza di tali prove, come dimostra questo caso, il diritto al corrispettivo rischia di rimanere solo sulla carta.

In un contratto di mandato, chi deve provare che l’incarico è stato eseguito per ottenere il pagamento del compenso?
Secondo la Corte, l’onere di provare l’avvenuta esecuzione del mandato spetta al mandatario (il professionista che chiede il compenso). L’esecuzione è considerata un fatto costitutivo del suo diritto al corrispettivo.

È sufficiente per il professionista dimostrare l’esistenza di un contratto di mandato firmato per avere diritto al compenso?
No, non è sufficiente. La sentenza chiarisce che il mandatario deve provare non solo il titolo (il contratto), ma anche l’effettivo adempimento della prestazione pattuita, ovvero l’esecuzione del mandato.

Se una parte viene chiamata in giudizio come erede ma ha rinunciato all’eredità, ha diritto al rimborso delle spese legali se si costituisce per far valere tale rinuncia?
Sì. La Corte ha ritenuto che la persona chiamata in causa come erede, pur avendo rinunciato all’eredità, ha un interesse processuale a costituirsi per contestare la sua qualità di erede e, di conseguenza, ha diritto alla rifusione delle spese sostenute per questa difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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