Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19949 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 19949 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14236/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME NOME, elettivamente domiciliati in Crema INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (FPPDVD74D26D142A) che li rappresenta e difende,
-ricorrenti- contro
Istituto Nazionale della Previdenza Sociale -INPS, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, controricorrente-
nonché contro
Fallimento ditta NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE intimato- avverso il decreto della Corte D’Appello di Brescia n. 121/2021 depositato il 05/12/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Uditi il sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso e i difensori delle parti NOME COGNOME e NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 La Corte d’Appello di Brescia, con decreto n. 3761 del 5.12.2021, ha rigettato il reclamo proposto da COGNOME NOME Silvio e COGNOME NOME avverso il decreto con cui il Tribunale di Crema ha respinto l’istanza di esdebitazione dagli stessi proposta.
1.1 Il giudice d’appello ha condiviso l’impostazione del giudice di primo grado in ordine alla mancanza di equivalenza tra la riabilitazione ex art. 178 c.p. -richiesta dall’art. 142 l.fall. ai fini della esdebitazione e l’estinzione conseguente a patteggiamento ex art. 445 c.p.p., e ciò sul rilievo che, ai fini della riabilitazione, non è sufficiente la mancata commissione di altri reati (come nell’estinzione conseguente al patteggiamento), ma occorre l’accertamento del completo ravvedimento mantenuto sino al momento della decisione, che si sia tradotto nell’eliminazione, ove possibile, delle conseguenze civili del reato.
2 Avverso il predetto decreto hanno proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME affidandolo a tre motivi, illustrati con memoria. L’INPS ha resistito in giudizio con controricorso mentre il Fallimento è rimasto intimato.
3 Questa sezione, con ordinanza interlocutoria dell’11/7/2024, ha disposto il rinvio in pubblica udienza ritenendo che il ricorso
ponesse una questione di diritto di rilevanza nomofilattica, circa l’accertamento, ai fini della concessione dell’esdebitazione, della equivalenza o meno degli effetti della riabilitazione e quelli di cui all’art. 445, comma 2, c.p.p.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.In vista della adunanza camerale dell’11.7.2024, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno depositato memoria rilevando che il ricorso deve essere accolto, a prescindere dai motivi svolti, anche in considerazione dell’entrata in vigore del d.lvo n. 150 del 2023 che ha novellato l’art. 445, comma 1 bis , c.p.p. introducendo un regime di favore nei casi in cui la sentenza di patteggiamento non abbia previsto l’applicazione di pene accessorie.
1.1 L’art. 25, co. 1, lett. b) d.lgs. n. 150 del 2022 ha infatti modificato l’art. 445 comma 1 bis c.p.p. che così attualmente recita: « La sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna » . La previgente disposizione era così formulata « Salvo quanto disposto dall’art 653 la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento non ha efficacia nei giudici civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni la sentenza è equiparata ad una pronuncia di condanna ».
1.2 Ritiene il Collegio che lo ius superveniens , intervenuto peraltro in relazione ad una questione (quella della piena equiparabilità della pronuncia di patteggiamento alla sentenza di condanna) estranea al thema decidendum , non sia applicabile, ratione temporis , al caso in esame.
1.3 Al riguardo questa Corte, in tema di sanzioni disciplinari, ha affermato il principio secondo il quale gli effetti extrapenali del giudicato, quali delineati dall’art. 445, comma 1-bis, c.p.p., sono regolati dalla legge del tempo in cui la sanzione disciplinare è stata irrogata dal datore di lavoro, in applicazione del “principio tempus regit actum”, sicché le novelle normative sono irretroattive . (Nella specie, la S.C. ha affermato – in materia di conseguenze della sentenza di patteggiamento – che nella valutazione degli addebiti disciplinari il giudice di merito non può prescindere dal vincolo derivante dal combinato disposto degli artt. 445, comma 1-bis, c.p.p. e 653 c.p.p., nella formulazione vigente al momento dell’irrogazione della sanzione) ( cfr. Cass. Sez. L n. 740/2025).
1.4 Della suindicata vicenda intertemporale si sono occupate anche le Sezioni Unite che con la sentenza n. 6548/2025 hanno puntualizzato quanto segue : i) l’art. 445, comma 1 bis , c.p.p., introdotto art. 25, co. 1, lett. b) d.lgs. n. 150 del 2022, è entrato in vigore il 30.12.2022, senza che sia stata approntata disciplina transitoria; ii) la norma, come già la sede di allocazione avverte, ha natura meramente processuale sicché è soggetta al principio generale secondo cui tempus regit actum; iii) solo un’espressa previsione normativa può assegnare, in tutto o in parte, anticipata applicazione alla nuova disciplina processuale.
1.5 Trasponendo tali principi nella materia in esame costituita dalla sussistenza del requisito soggettivo per l’esdebitazione, è indubbio che, essendo l’art. 445, comma 1 bis, c.p.p. norma di natura processuale, il regime normativo sugli effetti penali della sentenza di patteggiamento contenuto in tale disposizione, è da
individuarsi in quello vigente al momento in cui viene pronunciata la sentenza di applicazione su richiesta ex art. 444 c.p.p. a nulla rilevando né il passaggio in giudicato della sentenza, né il momento in cui viene proposta l’istanza di esdebitazione: il tempus in relazione al quale discernere la norma processuale applicabile di volta in volta al caso di specie è cioè quello della materiale emissione della pronuncia penale all’esito del rito alternativo (v. Cass. Sez. Un. pen. n. 27614/2007; v. anche: Cass. penale 19117/2018; Cass. pen. 27004/2021).
1.6 Nel caso di specie la sentenza di applicazione della pena su richiesta – emessa in data 22/11/2013- è antecedente alla data di entrata in vigore del d.lvo 150/2022; la controversia va quindi decisa, in applicazione il principio tempus regit actum, sulla base della vecchia formulazione dell’art. 445 comma 1 bis c.p.p.
2.Venendo all’esame del ricorso, il primo motivo lamenta la nullità della decisione per violazione del contraddittorio (artt. 101 c.p.c.; art. 24 e 111 Cost, art. 6 CEDU).
Espongono i ricorrenti che il presidente di sezione della Corte d’appello aveva disposto che la costituzione dei resistenti avvenisse almeno quindici giorni prima dell’udienza del 21.9.2021 e, anche a voler ritenere tale termine ordinatorio, la tardiva costituzione dell’INPS, avvenuta con deposito telematico del 17.9.2021, aveva leso il loro diritto di difesa anche in considerazione del fatto che, come disposto dal successivo decreto del presidente di sezione dell’1.7.2021, le parti avrebbero dovuto depositare le proprie note scritte almeno cinque giorni prima dell’udienza.
La Corte d’Appello, anziché dichiarare l’inammissibilità della tardiva costituzione dell’INPS, o fissare nuova udienza per consentire il regolare svolgimento del contraddittorio sulle deduzioni del reclamato, aveva assunto la causa in decisione, mutuando le argomentazioni contenute nella comparsa di costituzione dell’INPS.
Il motivo è infondato.
3.1 Va, in primo luogo, osservato che, come emerge dai documenti (nn. 18 e 20) depositati dagli stessi ricorrenti contestualmente al deposito del ricorso, il Presidente di sezione della Corte d’Appello ha fissato l’udienza di comparizione delle parti per il giorno 22.9.2021, e non per il 21.9.2021, e tale udienza è stata effettivamente celebrata in quella data, come emerge dal verbale d’udienza in atti. Ne consegue che l’INPS ha rispettato il termine di legge di cinque giorni prima dell’udienza per il deposito (avvenuto pacificamente il 17.9.2021) delle proprie note difensive e che quindi non c’è stata alcuna violazione del contraddittorio, essendo i ricorrenti stati posti in grado di esaminare secondo, le modalità convenute, la memoria difensiva avversaria.
3.2 La pur tardiva costituzione in giudizio di INPS (rispetto al termine fissato nel decreto) non è valsa a violare il diritto di difesa degli odierni ricorrenti tanto più che tale costituzione è avvenuta nel rispetto del termine minimo indicato dall’art. 26, comma 10, l.fall.
4.Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 142, comma 1 n. 6, l.fall. in relazione all’art. 445 c.p.p.
Sostengono i ricorrenti che l’eliminazione di ogni effetto penale della condanna, che consegue alla riabilitazione, è perfettamente equivalente all’estinzione di ogni effetto penale conseguente al decorso del termine di legge in caso di applicazione della pena su richiesta.
5.Il terzo motivo, formulato in via subordinata rispetto ai primi due, deduce la violazione degli artt. 142, comma 1 n. 6, e 143 l.fall. in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.
Argomenta il ricorrente che, se fosse ritenuto requisito indispensabile per l’esdebitazione la riabilitazione – o comunque la prova di aver risarcito almeno parzialmente la persona offesa tenuto conto dell’effetto di spossessamento del fallito ex art. 42 l.fall. e del breve termine di proposizione dell’istanza ex art. 143
l.fall., il beneficio potrebbe operare solo nei confronti di quei soggetti che avessero commesso il reato in un tempo remoto rispetto all’apertura del fallimento, in modo tale da aver avuto la possibilità di attivarsi per il risarcimento anteriormente all’apertura della procedura, con grave ed irragionevole disparità di trattamento nei confronti di quei falliti che avessero commesso il reato a ridosso dell’apertura della procedura. Inoltre, ove fosse accolta un’interpretazione restrittiva, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 142 l.fall., nell’ipotesi di commissione del reato da parte del fallito a ridosso dell’apertura della procedura, imporrebbe al giudice dell’esdebitazione di sospendere il giudizio assegnando all’istante congruo termine per attivarsi ai fini del risarcimento del danno.
Il secondo ed il terzo motivo, da scrutinarsi unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono infondati.
6.1 Mette conto osservare che la giurisprudenza penale di questa Corte di legittimità (vedi Cass. n. 1836/2022; Cass. n. 31089/2009) è ormai consolidata nel ritenere la mancanza di equivalenza tra gli effetti della riabilitazione con quelli di cui all’art. 445, comma 2, c.p.p. (come, invece, ritenuto da un orientamento giurisprudenziale assai risalente e da tempo superato, sul punto vedi Cass. Pen. n. 44665 del 15/10/2004, n. 584 del 31/1/2000, n. 534 del 19/2/1999).
6.2 E’ stato, infatti, condivisibilmente affermato che la pronuncia di riabilitazione, stante la finalità di reinserimento sociale e di rimozione della rete di incapacità giuridiche ad essa connesse, postula un ampio accertamento circa il completo ravvedimento del soggetto, da condurre attraverso la valutazione del suo comportamento nel periodo intercorso tra l’espiazione della pena inflitta e il momento della decisione e manifestatosi anche
nell’eliminazione delle conseguenze civili del reato, quando possibile.
6.3 L’accoglimento dell’istanza di riabilitazione implica, infatti, una favorevole considerazione del percorso rieducativo seguito dal condannato col concreto reinserimento nel contesto sociale e, quindi, il riconoscimento della meritevolezza del beneficio, oggetto di valutazione discrezionale da parte del giudice, che, al contrario, manca nella pronuncia di estinzione del reato.
6.4 Non vi è dubbio che l’art. 142 l.fall., nel richiedere la riabilitazione del fallito in caso di condanna passata in giudicato per uno dei reati di cui al n. 6 dello stesso articolo, abbia inteso richiedere la valutazione positiva del giudice in ordine al completezza del ravvedimento e del percorso rieducativo del soggetto non essendo, quindi, sufficiente la mancata commissione di altri reati (alla stregua di condizione risolutiva nel previsto arco temporale), come nel caso dell’estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell’art. 445 c.p.p.
6.5 Ne consegue che tale diversità ontologica tra i due istituti, che divarica le ragioni giuridiche fondanti gli stessi, impedisce ogni ipotesi di interpretazione estensiva della riabilitazione quale condizione abilitante al beneficio esdebitatorio, compresa quella perorata dal ricorrente.
6.5 Tale orientamento ha trovato specifica conferma anche in sede di giurisprudenza civile di legittimità con la sentenza nr. 2461/2025 che ha affermato il seguente principio « il disposto dell’art. 142, comma 1, n. 6, L.Fall., laddove consente che l’esdebitazione operi, nonostante la condanna per i delitti di bancarotta fraudolenta, contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio e altri compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, nel caso in cui sia intervenuta la riabilitazione, prevede un’espressa deroga con riferimento proprio all’istituto regolato dagli artt. 178 e s. cod. pen., che non può essere interpretata estensivamente, così
da ricomprendere anche l’affidamento in prova ai servizi sociali di cui all’art. 47, comma 12, L. 354/1975, stante la diversità di ratio e presupposti dei due istituti».
In proposito, si è precisato che la legge fallimentare, non solo si esprime al singolare, ma fa riferimento a uno specifico istituto penalistico (“la riabilitazione”), utilizzando, per di più, un’espressione (“intervenuta”) che evoca lo specifico procedimento all’esito del quale (ove « il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta ») la riabilitazione viene pronunciata.
6.6.Quanto al profilo della censura che fa leva sulla mancata possibilità del reo di attivarsi con congruo termine per addivenire ad una mitigazione degli effetti civili del reato, va rilevato tale evenienza non si è in concreto realizzata in quanto tra la consumazione del reato e la dichiarazione di fallimento è decorso oltre un anno entro il quale il ricorrente, che aveva la disponibilità dei beni, poteva riparare il danno arrecato alla persona offesa, senza contare i nove mesi dalla chiusura del fallimento al provvedimento di rigetto della domanda di esdebitazione .
7 Il quarto motivo prospetta la violazione dell’art. 179, comma 4 n. 2, c.p.: il ricorrente lamenta che il decreto impugnato difetta di qualunque valutazione in ordine alla congruità della somma offerta dallo stesso alla persona offesa tenuto conto dei suoi modesti redditi così violando i parametri di giudizio desumibili dall’art. 179 c.p.c .
8. Il motivo è inammissibile anche se la motivazione dell’impugnato decreto va integrata.
8.1 In caso di condanna per uno dei delitti previsti dall’art. 142 n. 6 l.fall., tale norma, prevede, ai fini dell’esdebitazione, l’intervento di un provvedimento di riabilitazione del fallito, non limitandosi a richiedere la sussistenza dei presupposti per ottenere la riabilitazione. Ne consegue che la decisione in ordine alla sussistenza dei requisiti per la riabilitazione è di esclusiva
competenza del Tribunale di Sorveglianza, all’esito del procedimento ex art. 683 c.p.p.; al Tribunale fallimentare è preclusa ogni valutazione, sia pur ai soli fini della concessione del beneficio dell’esdebitazione, delle condizioni per l’emissione del provvedimento di cui all’art. 178 c.p.
In conclusione il ricorso è rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 6.200, di cui € 200 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 14 maggio 2025.