Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27565 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27565 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25234/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, giusta procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrente-
e contro
COGNOME NOME, titolare di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrente-
ALTRI CREDITORI del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO ANCONA n. 887/2020 depositato il 02/08/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Ancona, con decreto del 2.08.2021, ha rigettato il reclamo proposto da NOME RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, socia accomandataria di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, fallita per ripercussione del fallimento della società, avverso il provvedimento del 15.1.2020 con cui il Tribunale di Ancona aveva a sua volta rigettato l’istanza di esdebitazione dalla stessa proposta dopo la chiusura della procedura.
La corte del merito ha ritenuto che nella specie difettassero sia il requisito oggettivo di cui all’art. 142, 2° comma l. fall., sia quello soggettivo di cui al n. 5 del 1° comma del medesimo articolo.
Quanto al primo profilo, ha rilevato che, all’esito del riparto finale, la percentuale di soddisfazione dei creditori concorsuali era risultata irrisoria, perché inferiore all’1% rispetto ai debiti delle due masse passive, ciascuna superiore ad un milione di euro.
Quanto al secondo ha ritenuto che le vendite delle quote dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, di cui COGNOME era socia accomandataria, e dell’immobile di Numana, di cui era proprietaria al 50%, poste in essere prima del fallimento, avessero contribuito ad aggravare il dissesto e così a ridurre le possibilità di soddisfacimento dei creditori, integrando un’operazione di sottrazione di beni destinati a confluire nell’attivo fallimentare , posto che alla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE era pervenuta, sotto forma di prestito, solo una parte della somma
di € 790.000,00 ricavata dalla vendita del complesso industriale di proprietà dell’ RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, ovvero solo la somma di € 559.700,00, mentre il ricavato della vendita dell’immobile di Numana non era stato conferito alla società fallita, risultando solo che più di un anno dopo la socia aveva eseguito versamenti personali nella casse della società per complessivi € 30.800.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidandolo ad un unico, articolato motivo.
L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, titolare della ditta individuale RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, hanno resistito con separati controricorsi, mentre gli altri creditori concorsuali sono rimasti intimati.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
L’unico motivo denuncia la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. , per l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, costituiti dalla titolarità in capo alla fallita del 50% non solo delle quote dell ‘ appartamento di Numana, ma anche dell ‘RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che le somme conferite dalla ricorrente nella RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE erano ben maggiori di quelle che le sarebbero in concreto spettate dopo la vendita dei beni.
La ricorrente osserva che la rivalutazione del suo comportamento alla luce di tale dato di fatto, invece ignorato dal giudice del reclamo, avrebbe inciso sulla decisione sia perché, ai fini dell’esdebitazione, il profilo soggettivo prevale su quello oggettivo, sia perché la corretta valutazione del comportamento soggettivo del fallito si riflette sul requisito oggettivo.
Il ricorso è fondato nei termini che si vanno a precisare.
I l giudice d’appello ha escluso la meritevolezza soggettiva della COGNOME, alla luce di sue condotte, ritenute ‘opache’ , poste in essere in epoca anteriore al fallimento, non considerando -nonostante ne fosse stato dato atto nelle stesso decreto – che la fallita era socia solo al 50% della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE , così come era
comproprietaria solo al 50 % del l’immobile di Numana, con la conseguenza che quanto ricavato a seguito della vendita dei cespiti non poteva confluire interamente nel patrimonio della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE poi fallita.
Inoltre, se è pur vero che la somma di € 30.800,00, destinata secondo la ricostruzione del decreto impugnato – alla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE a seguito della vendita del cespite di Numana (€ 77.500,00), lo stesso decreto impugnato ha dato atto che ben più della metà del ricavato della vendita del bene aziendale (€ 559.700,00 rispetto ad € 790.000), e in misura assai più consistente, è stato versato alla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE poi fallita sotto forma di prestito (che tuttavia, almeno da ciò che sembra implicitamente ricavarsi dalla motivazione della corte d’appello, non è più stato restituito e neppure è stato chiesto in restituzione mediante insinuazione al passivo).
In conclusione, pur non potendosi escludere che la condotta della ricorrente abbia concorso ad aggravare il dissesto sotto i diversi profili dedotti dalla controricorrente RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ( di cui però non v’è cenno nel provvedimento impugnato, si ignora se perché non provati o perché meramente trascurati dalla corte del merito) allo stato ciò che emerge è che il giudice del reclamo ha escluso il requisito soggettivo dell’esdebitazione sulla base di valutazioni che non tengono conto, o, comunque, contrastano con i dati che emergono dalla lettura del decreto.
Quanto al requisito oggettivo dell’esdebitazione, va preliminarmente osservato che questa Corte (Cass. 7550/2018, 15586/2018, 16263/2020,15246/2022, 15155/2024 e, da ultimo, Cass. 19893/2024) ha più volte affermato che la valutazione del presupposto del parziale soddisfacimento dei creditori, di cui all’art. 142 l. fall., pur rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, deve essere operata, tuttavia, secondo un’interpretazione coerente con il favor debitoris che ispira la norma: cosicché, ove ricorrano i presupposti di cui al primo comma dell’art. cit., il
beneficio dell’esdebitazione deve essere concesso a meno che i creditori siano rimasti totalmente insoddisfatti o siano stati soddisfatti in percentuale ‘affatto irrisoria’ , e ciò al fine di attribuire un contenuto fattuale alla nozione, di per sé alquanto generica e vaga, di “prudente apprezzamento del giudice”, e di scongiurare il rischio di valutazioni arbitrarie, con pronunce difformi in presenza di situazioni identiche.
Deve, inoltre, osservarsi che, recentemente, questa Corte, nell’ordinanza n. 25946/2024, ha ulteriormente precisato che ‘….. tutte le pronunce di questa Corte ricordano immancabilmente come l’individuazione di quella parziale soddisfazione (che, al ricorrere degli ulteriori presupposti soggettivi, dà accesso al beneficio esdebitatorio) debba essere operata secondo un’interpretazione coerente con il “favor debitoris” che ispira la norma interna e, si è aggiunto, anche con il “favor” per l’omologo istituto unionale del discharge of debts di cui al Tit. III della citata direttiva Insolvency (Cass. 15155/2024), che ha infatti indotto il legislatore nazionale ad eliminare il ‘requisito oggettivo’ dalle ‘condizioni per l’esdebitazione’ di cui all’art. 280 CCII).
Già nella Rel. al d.lgs. n. 5 del 2006 si leggeva che «l’obiettivo è quello di recuperare l’attività economica del fallito per permettergli un nuovo inizio, una volta azzerate tutte le posizioni debitorie», in linea con l’istituto del c.d. discharge previsto dalla legislazione americana e di alcuni paesi europei, al fine di consentire al fallito il c.d. fresh start ed eliminare il fenomeno delle attività ‘sommerse’.
-Ma soprattutto preme evidenziare che, grazie a questa piena consapevolezza della ratio ispiratrice della legislazione in materia, nazionale e sovranazionale, si è avuto cura di precisare che questa natura ‘affatto irrisoria’ dev’essere riscontrata solo ove il concreto ‘soddisfacimento’ non sia tale da rappresentare il relativo concetto neppure parzialmente, però «tenuto conto di tutte le risultanze della procedura» (Cass. 15246/2022).
-Può dunque affermarsi che l’accertamento della natura ‘affatto irrisoria’ in questione non debba ridursi alla registrazione del dato percentuale del soddisfacimento dei creditori.
E ciò non tanto perché il secondo comma dell’art. 142 l.fall. si limita, innegabilmente, ad escludere il beneficio quando non vi sia stata soddisfazione alcuna (‘neppure in parte’, laddove per ‘parte’ in teoria potrebbe intendersi anche un solo euro), senza prevedere alcuna soglia o misura minimale di soddisfacimento; tanto che proprio su questa base è stata ritenuta inammissibile la relativa questione di costituzionalità (v. Cass. 16263/2020).
Quanto, piuttosto, perché l’indirizzo nomofilattico di cui si è dato conto ha consegnato al prudente apprezzamento del giudice di merito una valutazione che non può ridursi ad una mera operazione ‘matematica’, ma deve abbracciare e discernere, anche comparativamente, tutte le peculiarità e le proporzionalità della singola procedura, secondo un’interpretazione che sia per un verso rispettosa di quel “favor” esplicitato dal legislatore (dapprima interno e poi unionale) e per altro verso costituzionalmente, unionalmente (ed ora anche evolutivamente) orientata.
-Non è un caso che l’art. 20 della direttiva (UE) 2019/1023 imponga, stavolta, agli Stati membri di assicurare all’imprenditorepersona fisica l’accesso ad almeno una procedura che porti all’integrale discharge of debts, prescrivendo che, qualora gli Stati membri condizionino l’esdebitazione al parziale pagamento dei creditori (come è appunto nell’art. 142 l.fall.), la misura di tale pagamento debba essere proporzionata e parametrata alla concreta situazione patrimoniale del debitore, e che, nel fissarla, si tenga conto «dell’equo interesse dei creditori» (laddove l’aggiunta dell’aggettivo ‘equo’ è la cifra dell’attenzione rivolta al debitore)…..’
Dunque, questa Corte è ormai pervenuta all’ulteriore approdo secondo cui, nella prospettiva dell’esdebitazione, al fine di valutare
la significatività del pagamento effettuato ai creditori, l’accertamento della natura ‘affatto irrisoria’ non può e non deve ridursi alla registrazione del dato percentuale del soddisfacimento dei creditori, ma deve abbracciare e discernere, anche comparativamente, tutte le peculiarità e le proporzionalità della singola procedura, secondo un’interpretazione che sia per un verso rispettosa di quel favor esplicitato dal legislatore (dapprima interno e poi unionale) e per altro verso costituzionalmente e unionalmente orientata.
La c orte d’ appello non si è attenuta a tali principi, perché ha fondato l ‘accertamento di insussistenza del requisito oggettivo dell’esdebitazione sul solo rilievo che la percentuale di soddisfazione dei creditori era stata inferiore all’1%, ma non ha precisato quali pagamenti, e di che natura, fossero in concreto stati eseguiti, quali creditori li avessero ricevuti, né, per quanto si è detto in ordine al requisito soggettivo, ha valutato la ricorrenza di quello di cui al 2° comma dell’art. 142 tenendo correttamente conto del quadro complessivo.
Il decreto impugnato deve essere quindi cassato, con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione, che procederà a un nuovo esame e liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona , in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 11.7.2024