Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2461 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 2461 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 32185/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso, e NOME COGNOMECODICE_FISCALE, giusta procura speciale allegata all’atto di costituzione di ulteriore difensore del 25 novembre 2024
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME, FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE. di COGNOME RAGIONE_SOCIALE e del socio accomandatario COGNOME
– intimati
–
avverso il decreto della Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, n. 564/2019 depositato il 16/8/2019;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato NOME COGNOME per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bolzano, con decreto emesso in data 20 marzo 2019, respingeva l’istanza di esdebitazione presentata ai sensi dell’art. 142 l. fall. da NOME COGNOME già socio accomandatario di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, dichiarato fallito con sentenza del medesimo tribunale in data 17 aprile 2014.
La Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, giudicava infondato il reclamo presentato dall’Alber avverso questa statuizione.
Riteneva, in particolare, che il reato di omesso versamento delle ritenute assistenziali e previdenziali commesso dall’Alber fosse strettamente collegato con l’esercizio dell’attività di impresa, avendola agevolata attraverso l’aumento della liquidità disp onibile.
Evidenziava che una simile condanna precludeva l’accesso all’esdebitazione, in assenza di una riabilitazione penale ai sensi dell’art. 178 cod. pen.
Osservava, a questo proposito, che l’ordinanza sulla valutazione positiva della pena alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale non era sovrapponibile al provvedimento di riabilitazione penale espressamente richiesto dall’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall., dato che la riabilitazione richiedeva quali presupposti di concessione, da un lato, la compiuta esecuzione o estinzione della pena detentiva e pecuniaria e , dall’altro , il decorso di un periodo di tre anni durante i quali il condannato avesse dato prove effettive e costanti di buona condotta.
Sosteneva, di conseguenza, che nell’ambito dell’accesso al beneficio dell’esdebitazione istituto che ha come obiettivo il recupero dell’attività economica del fallito al fine di permettergli un nuovo inizio, una volta azzerate tutte le posizioni debitorie, e presenta una finalità premiale collegata a una condotta fattiva irreprensibile, sia prima che durante la procedura, tesa a salvaguardare le aspettative
di soddisfazione dei creditori -il fallito ‘meno onesto’, resosi responsabile di uno o più delitti elencati nell’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall., dovesse ottenere il provvedimento di riabilitazione penale ove aspirasse all’applicazione dell’istituto .
Reputava, infine, che la non ottenuta riabilitazione penale esentasse dalla verifica della sussistenza della condizione oggettiva richiesta dall’art. 142, comma 2, l. fall.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione di questo decreto, pubblicato in data 16 agosto 2019, prospettando due motivi di doglianza.
Gli intimati RAGIONE_SOCIALE e fallimento di Alber RAGIONE_SOCIALE. di Alber Bernhard RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME non hanno svolto difese.
Questa sezione, con ordinanza interlocutoria 19832/2024, ha ritenuto che il ricorso ponesse una questione di diritto di particolare rilevanza, trattandosi di stabilire se, ai fini della concessione del beneficio dell’esdebitazione, l’esito positivo dell’af fidamento in prova ai servizi sociali fosse giuridicamente equipollente alla riabilitazione prevista dall’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall., ed ha rinviato a nuovo ruolo per la trattazione in udienza pubblica.
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni motivate, ex art. 378 cod. proc. civ., sollecitando l’accoglimento del primo motivo di ricorso.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
ll primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall. in relazione al principio di legalità e all’art. 1 cod. pen.: l’interpretazione della norma denunciata come violata, laddove prevede, quale condizione di esclusione per il fallito dal beneficio dell’esdebitazione, la condanna per delitti compiuti « in connessione con l’esercizio
dell’attività di impresa », deve essere fatta, in ossequio al principio di legalità e specificità della norma penale, in relazione e alla stregua della norma incriminatrice e alla fattispecie tipica e astratta del reato; occorreva, perciò, constatare -in tesi – che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali non rientrava tra quelli ostativi, salvo che fosse intervenuta la riabilitazione, avendo il condannato agito come datore di lavoro e non quale imprenditore, come richiesto dalla norma.
Inoltre, il decreto impugnato risulta -aggiunge il ricorrente – viziato nella parte in cui esclude dal beneficio dell’esdebitazione le misure alternative di pari effetto alla riabilitazione, quali l’affidamento in prova con esito positivo, malgrado l’equi valenza quoad effectum fra i due istituti, in ragione del fatto che nell’affidamento in prova manca il decorso dei tre anni durante i quali il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.
La Corte distrettuale, in questo modo, non ha considerato che, mentre nella riabilitazione l’estinzione della pena e degli effetti penali consegue al decorso dei tre anni, nell’affidamento in prova i medesimi effetti derivano dall’esito positivo, cosicché le d ue misure raggiungono gli stessi effetti e lo stesso risultato.
Infine, i giudici distrettuali non hanno tenuto conto che il requisito del pagamento parziale era stato ampiamente raggiunto, oltre la soglia del 20% richiesta dal tribunale fallimentare.
5. Il motivo non può essere accolto.
5.1 L’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall. prevede che «il
Questa Corte (cfr. Cass. 10080/2019) ha già avuto occasione di chiarire, in termini che questo collegio condivide e a cui intende dare continuità, che la ratio della norma è nel senso di concorrere a individuare le condizioni soggettive di meritevolezza per l’esdebitazione, facendo leva sulla condotta del fallito – anche pregressa – rispetto all’apertura del concorso.
In questa prospettiva l’espressione « in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa » va intesa in funzione delimitante e indica il livello di rilevanza della condanna per delitti “altri” onde reputarla in effetti ostativa; sicché il delitto deve esser stato commesso non in semplice rapporto di occasionalità, ma più esattamente in connessione, e dunque in stretto collegamento finalistico o funzionale, con l’attività d’impresa, ovvero in legame di (fenomenica) presupposizione tra il reato e l’attività suddetta.
In altri termini, questi ultimi reati sono stati individuati dal legislatore con riferimento non in sé e con riguardo al loro oggetto giuridico e alle caratteristiche della norma incriminatrice, ma al legame nel contesto imprenditoriale che sia esistito in concreto con l’attività economica esercitata dal fallito.
L’ultima categoria contemplata dalla norma esige, perciò, che un « delitto» sia stato « compiuto » attraverso una condotta che sia stata caratterizzata dalla « connessione con l’esercizio dell’attività di impresa », « connessione » che consiste -si specifica – in un legame di fenomenica presupposizione (nel senso che il delitto non possa prescindere dal lo svolgimento di un’attività di impresa, senza la quale non sarebbe potuto essere commesso o comunque avrebbe prodotto effetti diversi) o strumentalità (nel senso che sia servito a svolgere o ad agevolare l’attività di impresa) con tale attività.
Non si presta a censure la valorizzazione da parte della Corte territoriale del reato previsto dall’art. 2, comma 1bis , d.l. 463/1983, convertito, con modificazioni, dalla l. 638/1983, quale reato connesso non per presupposizione, ma per strumentalità all’attività
di impresa, avendo in realtà esso agevolato quest’ultima secondo l’accertamento in fatto compiuto dai giudici distrettuali -aumentando la liquidità disponibile.
5.2 Il Tribunale di sorveglianza di Bolzano, all’esito dell’affidamento in prova ai servizi sociali, ha dichiarato, con ordinanza in data 4 dicembre 2018, l’estinzione della pena comminata all’Alber per il reato appena menzionato e di ogni altro effetto penale, ai sensi dell’art. 47, comma 12, l. 3547/1975.
Il panorama normativo all’interno del quale la questione deve essere esaminata, perciò, è quello precedente all’approvazione della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (che ha introdotto, con l’ art. 1, comma 1, lett. i), l. 3/2019, l ‘attuale disposto dell’art. 179, comma 7, cod. pen., e ha aggiunto, con l’art. 1, comma 7, le parole «
» in conclusione a ll’art. 47, comma 12, l.
354/1975).
All’epoca , l ‘art. 47, comma 12, l. 354/1975 prevedeva che « l’esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale ».
5.2.1 Le Sezioni Unite penali di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U., 5859/2011), una volta ricordato che, ai sensi dell’art. 106, comma 2, cod. pen., nel caso in cui la causa di estinzione della pena, anche se parziale, avesse estinto anche gli effetti penali, non poteva tenersi conto della condanna ai fini della recidiva e della dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato, hanno ritenuto che l’estinzione di ogni effetto penale determinata dall’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale comportasse che delle relative condanne non potesse tenersi conto agli effetti della recidiva e della dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato.
In questo modo la riabilitazione e l’affidamento in prova ai servizi sociali sono stati equiparati onde affermare l’impossibilità di valutare la sentenza di condanna ai fini della recidiva e della dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato.
La giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte ha dato seguito a questi principi, ribadendo che l’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale determinava l’automatica estinzione delle pene accessorie, posto che queste erano definite dall’art. 20 cod. pen. « effetti penali » della condanna e che l’art. 47, comma 12, l. 354/1975 collegava all’esito favorevole della prova l’estinzione, oltre che della pena detentiva, anche di « ogni altro effetto penale » (Cass. 52551/2014; nello stesso senso Cass. 21106/2020).
5.2.2 La giurisprudenza civilistica di questa Corte, sulla scorta di un simile approdo, è arrivata a ritenere, in tema di diniego del rilascio della partente di guida alle persone condannate per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/1990, che la clausola di salvezza riferita agli effetti di provvedimenti riabilitativi prevista dall’art. 120, comma 1, c.d.s. (secondo cui « non possono conseguire la patente di guida .. le persone condannate per i reati di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi ») ricomprenda non soltanto l’istituto della riabilitazione di cui all’art. 178 cod. pen., ma anche altri provvedimenti, tra cui quello della riabilitazione prevista dall’art. 70 d. lgs. 159/2011 e quello dell’esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale, ai sensi del disposto di cui all’art. 47, comma 12, l. 354/1975 e succ. mod. (Cass. 23815/2022).
5.2.3 Una simile operazione interpretativa non può essere replicata rispetto al disposto dell’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall. (a mente del quale
»), già perché le due norme hanno un ben differente tenore letterale.
Non sfugge, invero, che il codice della strada, nell’evocare « gli effetti di provvedimenti riabilitativi », parla al plurale, lasciando esplicitamente intendere di voler fare riferimento a una pluralità di provvedimenti ed alle conseguenze che i medesimi siano in grado di provocare.
Si tratta di un’espressione normativa ‘aperta’ (come ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 152/2021, che ha ricompreso anche la riabilitazione prevista dall’art. 70 d. lgs. 159/2011 all’interno dei provvedimenti riabilitativi previsti dall’art. 120, comma 1, c.d.s.) che ben si presta, per le sue caratteristiche lessicali e attraverso un richiamo generale ai « provvedimenti riabilitativi », ad essere intesa tenendo presente l’equiparazione degli effetti fra riabilitazione e affidamento in prova ai servizi sociali affermata dalla giurisprudenza penale di legittimità.
La legge fallimentare, invece, non solo si esprime al singolare, ma fa riferimento a uno specifico istituto penalistico (« »), utilizzando, per di più, un’espressione (« intervenuta ») che evoca proprio lo specifico procedimento all’esito del quale (ove «
»
la riabilitazione viene pronunciata.
In questo caso si è dunque e all’opposto in presenza di una disposizione normativa ‘chiusa’ che compie un rinvio espresso e formale agli artt. 178 e 179 cod. pen.
5.2.4 Queste caratteristiche della norma fallimentare impediscono di procedere altresì ad una sua interpretazione nei termini estensivi prospettati dal ricorrente.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione estensiva di disposizioni “eccezionali” o “derogatorie”, rispetto ad una avente natura di “regola”, se pure in astratto non preclusa, deve ritenersi comunque circoscritta alle ipotesi in cui il plus di significato,
che si intenda attribuire alla norma interpretata, non riduca la portata della norma costituente la regola con l’introduzione di nuove eccezioni, bensì si limiti ad individuare nel contenuto implicito della norma eccezionale o derogatoria già codificata un ‘altra fattispecie avente identità di ratio con quella espressamente contemplata (Cass. 9205 /1999; nello stesso senso Cass. 4657/2018).
In questa prospettiva interpretativa la norma in discorso, di carattere derogatorio (« ») rispetto alla regola generale per cui chi sia stato «
» non è ammesso all’esdebitazione, potrebbe essere interpretata in senso estensivo solamente attraverso il riconoscimento all’affidament o in prova al servizio sociale di un’identità di ratio con la riabilitazione.
Operazione, questa, che le caratteristiche dei due istituti non consentono affatto.
Invero, la riabilitazione ex art. 178 cod. pen. (disciplinata all’interno del capo II, rubricato « della estinzione della pena », del titolo VI, rubricato « della estinzione del reato e della pena », del primo libro del codice penale) presuppone la previa espiazione o l’estinzione della pena principale, premia il ravvedimento all’esito di una valutazione della buona condotta tenuta dal condannato per un periodo predeterminato dal legislatore successivamente all’espiazione della pena medesima, ha finalità di reinserimento sociale ed intende rimuovere la rete di incapacità giuridiche ad essa connesse.
L’affidamento in prova previsto dall’art. 47 ord. pen., invece, è una misura alternativa alla detenzione, volta a far sì che la pena principale venga scontata in altra forma.
Dunque, pur nella coincidenza di alcuni presupposti (quali il giudice competente all’adozione del provvedimento e l’effettuazione di una
valutazione globale della personalità del condannato), nel caso della riabilitazione il giudizio compiuto dal tribunale di sorveglianza è diagnostico, attraverso la verifica che il condannato, nell’arco temporale già trascorso prescritto dal legislatore,
, mentre nell’affidamento in prova occorre procedere a una prognosi che il regime alternativo sia in grado di escludere la recidiva e garantisca il reinserimento del reo. Se ne deve concludere che riabilitazione e affidamento in prova ai servizi sociali, pur avendo, all’epoca, effetti penali equipollenti ai fini della recidiva e della dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato, erano caratterizzati da ben diversi presupposti e ragioni fondanti.
Ne discende, visto che il legislatore ha utilizzato all’interno della legge fallimentare un termine preciso (« »), riferendosi a uno specifico istituto penalistico, e non ha fatto ricorso a un’espressione generica e aperta come nel codice della strada, che non è possibile estendere in via interpretativa il disposto dell’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall. aggiungendo all’unica deroga contemplata dalla norma un’ulteriore deroga non prevista.
A questo proposito deve essere fissato il seguente principio: ‘ il disposto dell’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall., laddove consente che l’esdebitazione operi, nonostante la condanna per i delitti di bancarotta fraudolenta, contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio e altri compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, nel caso in cui sia intervenuta la riabilitazione, prevede un’espressa deroga con riferimento proprio all’istituto regolato dagli artt. 178 e s. cod. pen., che non può essere interpretata estensivamente, così da ricomprendere anche l’affidamento in prova ai servizi sociali di cui all’art. 47, comma 12, l. 354/1975, stante la diversità di ratio e presupposti dei due istituti ‘ .
Il secondo motivo di ricorso si duole della mancata pronuncia in ordine al requisito di cui all’art. 142, comma 2, l. fall.
7. Il motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha ritenuto che il mancato conseguimento della riabilitazione penale avesse carattere assorbente e la esonerasse dal verificare il ricorrere della condizione oggettiva richiesta dall’art. 142, comma 2, l. fall.
Una simile statuizione comporta l’impossibilità di esaminare l’ultimo profilo di doglianza proposto con il mezzo in esame, con cui il ricorrente ha denunciato che i giudici non abbiano tenuto conto dell’alta percentuale di soddisfacimento dei creditori con corsuali.
Ciò non solo perché nel giudizio di legittimità non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale (cfr. Cass. 23558/2014, Cass., Sez. U., 15122/2013, Cass. 23558/2014, Cass. 4804/2007), ma anche perché l’esistenza del presupposto previsto dall’art. 1 42, comma 2, l. fall. perde di decisività una volta che il giudice di merito abbia escluso il ricorrere delle condizioni previste dal precedente capoverso.
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
La mancata costituzione in questa sede delle parti intimate esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 15 gennaio 2025.