Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18520 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 18520 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 2100-2023 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, C.F. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale apposta in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Ravenna, INDIRIZZO con indirizzo PEC EMAIL
-ricorrente -contro
ISTITUTO NAZIONALE RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE), cod. fisc. P_IVA, in persona del dirigente dell’ufficio dirigenziale generale, dr . NOME COGNOME rappresentato e difeso, tanto congiuntamente che disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME per procura speciale in calce al controricorso e con loro elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso l’avvocatura centrale dell’istituto medesimo.
contro
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME per procura in atti.
-resistente –
contro
Fallimento della società i COGNOME RAGIONE_SOCIALE e dei soci illimitatamente responsabili COGNOME Bruno, COGNOME NOME e COGNOME NOME; creditori ammessi allo stato passivo del fallimento sociale e del fallimento personale del socio.
-intimati – avverso il decreto della Corte di appello di Bologna depositato il 15.6.2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso;
udita, pe r il ricorrente, l’Avv. NOME COGNOME per delega, che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;
uditi, per l ‘ Inail e l’ Inps, rispettivamente l’Avv. NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME che hanno chiesto respingersi l’avverso ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Bologna, con decreto del 15/6/2022, ha respinto il reclamo proposto da NOME COGNOME, socio illimitatamente responsabile della RAGIONE_SOCIALE fallito per ripercussione del fallimento della società, contro il decreto del Tribunale di Ravenna che aveva dichiarato inammissibile la sua istanza di esdebitazione.
La corte del merito, al pari del primo giudice, ha ritenuto ostativa alla riabilitazione la condanna ex art. 444 c.p.p. riportata dal reclamante per fatti
connessi all’attività di impresa (omesso versamento di contributi previdenziali) per i quali era intervenuta in data 29 ottobre 2021 mera declaratoria di estinzione del reato, ex art. 445, 2° comma c.p.c., e non già la riabilitazione prevista dall’art. 142, 1° comma n. 6 l. fall.
Il decreto, pubblicato il 17/02/2022, è stato impugnato da COGNOME NOME con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avversarti da Inps con controricorso e dall’ Inail in sede di discussione pubblica.
Gli ulteriori intimati sopra indicati non hanno svolto difese.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Il P.G. ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 142, 1° co, n. 6 l. fall.; dell’art. 2 c.p., sul rilievo che il reato di cui all’art. 2, commi 1 e 1 bis, d.l. n. 463, oggetto della sentenza di patteggiamento, era stato oggetto di abolitio criminis per effetto della novella di cui all’art. 3, D.Lgs 8/2016 ove era stata introdotta la soglia € 10.000,00 per la punibilità della condotta.
1.1 Il primo motivo è inammissibile.
La doglianza è inammissibile sia perché introduce questioni nuove giacché non sollevate nei gradi di merito sia perché – a tutto voler concedere l’ abolitio criminis ha riguardato solo uno dei due reati e più precisamente quello oggetto di patteggiamento di cui alla sentenza gip del Tribunale di Ravenna n. 15/2014 e non anche quello oggetto di patteggiamento di cui alla sentenza Tribunale di Ravenna n. 96/2010, di per sé già ostativa della concessione dell’esdebitazione.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 142, 1° co, n. 6 l. fall. ; dell’art. 445 co. 1 bis c .p.p. , dell’art. 445, co. 2 c.p.p., sul rilievo che la Corte di appello avrebbe errato nel disconoscimento dell’equiparazione, ai fini della norma in esame (art. 142, 1° co, n. 6, l. fall.), fra estinzione dei reati ex art. 445, comma 2, c.p.p. e riabilitazione.
2.1 Il ricorrente censura il provvedimento impugnato anche sotto l’ulteriore profilo della presupposta (ancorché non esplicitata) equiparazione, ad opera dell’art. 142, 1° comma, n. 6, l. fall., della sentenza ex art. 444 c.p.p. ad una sentenza di condanna nel merito.
2.1 Il secondo motivo è infondato.
2.1.1 Quanto alla prima questione posta con il motivo in esame (equipollenza, ai fini dell’esdebitazione , tra riabilitazione ed estinzione del reato ex art. 445, comma 2, c.p.p.) deve ritenersi la stessa infondata alla luce delle considerazioni esposte nella sentenza n. 2461 del 2025 con cui questa Corte, escludendo che le caratteristiche della norma fallimentare (i.e., l’art. 142 l. fall.) consentano di procedere ad una sua interpretazione nei termini estensivi prospettati dal ricorrente, ha formulato il seguente principio di diritto: ‘il disposto dell’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall., laddove consente che l’esdebitazione operi, nonostante la condanna per i delitti di bancarotta fraudolenta, contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio e altri compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, nel caso in cui sia intervenuta la riabil itazione, prevede un’espressa deroga con riferimento proprio all’istituto regolato dagli artt. 178 e s. cod. pen., che non può essere interpretata estensivamente, così da ricomprendere anche l’affidamento in prova ai servizi sociali di cui all’art. 47, com ma 12, l. 354/1975, stante la diversità di ratio e presupposti dei due istituti’.
È stato infatti evidenziato che ‘ La legge fallimentare … non solo si esprime al singolare, ma fa riferimento a uno specifico istituto penalistico («la riabilitazione»), utilizzando, per di più, un’espressione («intervenuta») che evoca proprio lo specifico procedimento all’esito del quale (ove «il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta») la riabilitazione viene pronunciata ‘ . Con la conseguenza che ‘ In questo caso si è dunque … in presenza di una disposizione normativa ‘chiusa’ che compie un rinvio espresso e formale agli artt. 178 e 179 cod. pen. ‘
2.1.2 Queste caratteristiche della norma fallimentare impediscono – alla stessa stregua della fattispecie oggetto di esame nel caso già esaminato da questa Corte nel precedente sopra richiamato (Cass. n. 2461/2025: ove si discorreva della possibile – e poi negata – equipollenza tra riabilitazione ed
affidamento in prova ai servizi sociali) – di procedere altresì ad una interpretazione della norma fallimentare nei termini estensivi prospettati dal ricorrente.
Così e sempre richiamando i principi già espressi nell’arresto evocato , la norma in discorso, di carattere derogatorio («salvo che … ») rispetto alla regola generale per cui chi sia stato «condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa» non è ammesso all’esdebitazione, potrebbe essere interpretata in senso estensivo solamente attraverso il riconoscimento all’istituto qui in discorso (effetti estintivi automatici dell’estinzione del reato ex art. 445, comma 2, c.p.p.) di un’identità di ‘ ratio ‘ con la riabilitazione.
Operazione che tuttavia le caratteristiche dei due istituti non consentono, anche nel caso dell’estinzione del reato da esecuzione della pena germinata da patteggiamento, posto che la riabilitazione ex art. 178 c.p. (disciplinata all’interno del capo II, rubricato ‘della estinzione della pena’, del titolo VI, rubricato ‘della estinzione del reato e della pena’, del primo libro del codice penale) presuppone la previa espiazi one o l’estinzione della pena principale, premia il ravvedimento all’esito di una valutazione della buona condotta tenuta dal condannato per un periodo predeterminato dal legislatore successivamente all’espiazione della pena medesima, ha finalità di reinserimento sociale ed intende rimuovere la rete di incapacità giuridiche ad essa connesse.
Sul punto, non può essere neanche dimenticato che, ai fini della riabilitazione, non è sufficiente la mancata commissione di altri reati (alla stregua di condizione risolutiva nel previsto arco temporale), come nel caso dell’estinzione conseguente al cd. patteggiamento ( ai sensi dell’art. 445 , secondo comma, c.p.p.) , ma occorre l’accertamento del completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione.
Ne consegue che tale diversità ontologica tra i due istituti, che divarica le ragioni giuridiche fondanti gli stessi, impedisce ogni ipotesi di interpretazione
estensiva della riabilitazione (quale condizione abilitante al beneficio esdebitatorio), compresa quella perorata dal ricorrente.
2.2 Quanto al l’ulteriore profilo di censura introdotto sempre nel secondo motivo di ricorso, occorre verificare la correttezza giuridica dell’equiparazione – contenuta implicitamente nel decreto qui impugnato – tra sentenza di condanna e quella di applicazione della pena su richiesta delle parti (nel regime processuale antecedente alla cd. riforma Cartabia, ratione temporis applicabile) , ai fini impeditivi previsti dall’art. 142, comma 1, n. 6, l. fall.
Ritiene la Corte che deve ritenersi preferibile la tesi secondo cui la pronuncia di patteggiamento è equiparabile alla sentenza di condanna, in modo tale che entrambe ostano al riconoscimento del beneficio previsto dall’art. 142 l.fall. Diversi argomenti militano a favore della soluzione qui accolta.
2.3 Una corretta esegesi del disposto normativo dettato dall’art. 445, comma 1 bis, c.p.p. non può che partire da un punto fermo. E, cioè, che, se la clausola di salvaguardia legittima le cd. eccezioni alla regola – ovvero tutti gli effetti premiali, favorevoli o in bonam partem che il legislatore vuole far discendere dalla pronuncia con chiara funzione incentivante (e costituiti dai benefici ex art. 445 c.p.p., normalmente incompatibili con una pronuncia di condanna) al di fuori di questo numerus clausus la regola che permane è quella della piena equiparazione ad una sentenza di condanna, con tutti gli effetti in malam partem che essa produce.
2.4 Nella medesima direzione interpretativa converge l’argomento letterale. L’art. 445, comma 1 -bis, c.p.p., nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie, stabilisce che ‘ Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza (e cioè quella di applicazione della pena su richiesta delle parti, n.d.r.) è equiparata ad una sentenza di condanna ‘. Da tale disposizione è dunque ragionevole inferire che ogniqualvolta le norme (penali o extrapenali) menzionano genericamente ‘ la sentenza di condanna ‘ esse debbono ritenersi applicabili anche in presenza di una pronuncia di patteggiamento.
Per essere esclusa la citata equiparazione occorrerebbe, infatti, una specifica previsione normativa di carattere derogatorio. Previsione tuttavia mancante nell’ordinamento positivo.
2.5 A ciò va aggiunto, come correttamente osservato dalla Procura generale nella sua requisitoria scritta, che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 142 l. fall., la sentenza di condanna viene in evidenza non per gli effetti di giudicato, quali delineati d all’art. 653 c.p.p., comma 1 -bis, ma quale ‘fatto storico’, come tale di per sé ostativo ex lege al riconoscimento del beneficio esdebitatorio. La sentenza di condanna integra, cioè, un elemento normativo già previsto ed apprezzato ex ante dal legislatore come requisito impediente il beneficio in parola, perché collegato ad una intrinseca valutazione di non meritevolezza del soggetto attinto dal provvedimento penale di condanna, per i reati espressamente previsti dall’art. 142, primo comma, n. 6, l. fall., fatta salva sempre la possibilità della riabilitazione.
Sul punto è opportuno un breve cenno alla natura dell’istituto della esdebitazione.
L’esdebitazione, positivamente disciplinata dall’art. 142 l. fall., ha fatto ingresso nell’ordinamento interno solo in epoca recente, con la novella apportata dal D.lgs. n. 5/2006, soppressivo del previgente istituto della cd. riabilitazione civile del fallito (tesa alla sua riqualificazione mediante caducazione delle incapacità personali a carattere sanzionatorio derivanti dall’iscrizione nel registro dei falliti, poi abolito). A mente della norma da ultimo ricordata, « il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti » al ricorrere di determinati presupposti, definiti indici o requisiti di meritevolezza, derogando al principio sancito nell’art. 2740 c.c. della responsabilità patrimoniale. Avuto specifico riguardo, per quanto concerne la questione qui in esame, al primo comma, la norma dettata dal predetto art. 142 prevede – in adesione alla sua natura essenzialmente premiale – il ricorrere di una serie di condizioni (di carattere fondamentalmente soggettivo e a carattere positivo o negativo, a seconda che se ne prescriva la presenza oppure l’assenza ai fini del riconoscimento del beneficio) riguardanti, da un lato, la condotta tenuta ad opera del debitore sia prima che durante la procedura e, dall’altro, l’assenza di circostanze impeditive personali, consistenti in condotte antigiuridiche, concretatesi o meno in una condanna penale. Segnatamente, all’interno della seconda categoria è possibile
rinvenire circostanze impeditive personali relative a condotte antigiuridiche, tanto non concretatesi in una condanna penale (n. 5: distrazione dell’attivo, esposizione di passività insussistenti, avere cagionato/aggravato il dissesto, avere reso gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, avere fatto ricorso abusivo al credito), quanto concretatesi in determinate condanne penali ostative (il n. 6, oggetto del presente ricorso, ove si prescrive che il debitore « non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reat i sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all’esito di quello penale »).
2.6 Pertanto, nonostante in dottrina si sostenga che nel patteggiamento manchi l’accertamento, ‘limitandosi il giudice ad una verifica negativa sulle cause di non punibilità, ad un controllo sommario sull’assenza di contrasti sull’ipotesi fattuale prospettata dalle parti e gli atti dell’indagine’, il richiamo all’art. 129 c.p.p. contenuto nell’art. 444, comma 2, c.p.p. rappresenta, al contrario, ‘l’indice più palese dell’indispensabilità e indisponibilità della cognizione giurisdizionale anche in un procedi mento di matrice negoziale’. Il fatto, cioè, che il giudice non svolga una mera funzione ‘notarile’, ma debba verificare se sussistono le condizioni ex art. 129 c.p.p. rappresenta il riconoscimento di poteri cognitivi che culminano in un accertamento, sia pur sommario e incompleto, indubbiamente diverso da quello che presuppone una plena cognitio , ma che tuttavia integra pur sempre un giudizio.
2.7 Del resto, l’interpretazione dell’istituto in esame qui accolta risulta conforme al sistema complessivo dettato dal codice di procedura penale. Sono, infatti, riconducibili all’ampio genus delle sentenze di condanna tutte le pronunce che irrogano la pena, indipendentemente dal rito che ha condotto alla loro emanazione. In questa prospettiva sono, dunque, assimilabili, in difetto di altre indicazioni, non solo le sentenze di condanna emesse a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato, ma anche il decreto penale di condanna ovvero, per l’appunto, la pronuncia di patteggiamento.
Quanto sin qui sostenuto trova conferma nella giurisprudenza di legittimità civile e penale.
In primo luogo, la Cassazione penale ha ribadito la piena equiparazione della sentenza di condanna alla pronuncia di patteggiamento: – in tema di attenuanti generiche (Cass. pen. n. 23952 del 2015 ha affermato che anche la sentenza emessa ai sensi dell’art . 444 c.p.p. configura un precedente penale valutabile ai sensi dell’art. 133 c.p.c.: v. anche Cass. pen. 11225/1999); – in tema di sospensione condizionale della pena (Cass. pen. n. 43095 del 2021 ha affermato che, ai fini della sospensione condizionale della pena, la sentenza di patteggiamento, in quanto equiparata a sentenza di condanna, costituisce un precedente penale, valutabile anche nell’ipotesi in cui sia già intervenuta, ai sensi dell’art. 445, comma 2, c.p.p., l’estinzione del reato cui essa si riferisce; v. anche Cass. pen. n. 26527/2024).
La stessa conclusione ha trovato conferma nella giurisprudenza tributaria (v., ad esempio, Cass. n. 29142 del 2021, in cui si ammette che la sentenza di patteggiamento ‘avendo natura di sentenza di condanna’ possa essere utilizzata come prova dal giudice tributario).
Anche la Cassazione civile ha in più occasioni ribadito, seppure incidentalmente, analogo principio evidenziando che la pronuncia di patteggiamento ha una efficacia probatoria limitata nei giudizi civili, non per ragioni di carattere sistematico (e, dunque, in ragione del fatto che essa non è equiparabile alla comune sentenza di condanna), ma solo in considerazione dell’espressa previsione dell’art. 445 c.p.p. che, in deroga al disposto degli artt. 651 e 652 c.p.p., prevede che detta pronuncia ‘non ha effic acia nei giudizi civili o amministrativi’ ove, pertanto, può assumere esclusivamente la valenza di un indizio liberamente valutabile (sul punto, v. Cass. n. 26250 del 2011, Cass. n. 26263 del 2011; Cass. n. 22213 del 2013 ; nonché Cass. n. 20170 del 2018; Cass. n. 40796 del 2021 e Cass. n. 2897 del 2024).
2.8 In conclusione, la lettura planare dell’art. 445 c.p.p. induce a ritenere che, in difetto di una disposizione derogatoria espressa, la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. si ascrive tra le sentenze di condanna, senza che occorrano ulteriori precisazioni.
A ciò va aggiunto che l’equipollenza tra la sentenza di condanna e la pronuncia di patteggiamento non può essere negata neanche in considerazione del fatto che quest’ultima non faccia stato nei giudizi civili e amministrativi di danno quanto all’accertamen to della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’impugnato lo ha commesso. Ed invero, tale limitata valenza probatoria della pronuncia di patteggiamento è riconducibile all’espressa previsione dell’art. 445 c.p.p. che, a fini premiali, deroga espressamente le regole generali dettate dagli artt. 651 e 652 c.p.p.
Prova ne è il fatto: – che la sentenza di patteggiamento è, invece, vincolante nel giudizio disciplinare poiché l’art. 445 c.p.p., nella versione ratione temporis applicabile, nel prevedere che la sentenza di patteggiamento non possa fare stato nei soli giudizi civili e amministrativi, non deroga a quanto previsto in termini generali dall’art. 653 c.p.p. (Cass., sez. L., n. 20721 del 2019); – che, ai fini della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da reato, nei casi previsti dall’art. 2947, comma 3, seconda parte, c.c., nella nozione di sentenza irrevocabile deve ritenersi compresa anche quella pronunciata a seguito di patteggiamento, rispetto alla quale trova pur sempre attuazione la ratio , propria della disposizione citata, di escludere l’effetto – più favorevole per il danneggiato dell’applicazione del termine prescrizionale più ampio, nei casi in cui il procedimento penale non abbia avuto un esito fausto per il danneggiato (Cass. n. 32474 del 2023).
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per nullità del provvedimento impugnato per mancanza assoluta di motivazione sulla valenza ostativa delle sentenze ex art. 444 cpp.
Il terzo motivo rimane assorbito dal rigetto integrale del secondo motivo.
Si devono dunque affermare i seguenti principi di diritto:
‘In tema di riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione, ai fini della sussistenza della condizione ostativa indicata dall’art. 142, primo comma, n. 6, l. fall., deve ritenersi equiparata alla sentenza penale di condanna la sentenza di ‘patteggiamento’ della pena, alla luce del disposto normativo
contenuto nell’ultimo periodo dell’art. 445, comma 1bis, c.p.p., ratione temporis applicabile, prima della riforma dettata dall’art. 25, comma 1, lett. b), D.lgs. n. 150 del 2022 (cd. Riforma Cartabia )’.
‘ In tema di riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione, non è equiparabile alla riabilitazione prevista dall’art. 142, primo comma, n. 6, l. fall., quale requisito per il superamento della condizione ostativa rappresentata dalla sentenza penale di condanna passata in giudicato per i reati ivi previsti, l’estinzione del reato ex art. 445, secondo comma, c.p.p. ‘
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Inps e della resistente Inail delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000 per compensi per l’Inps e in euro 1.700 per compensi per l’Inail , oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2025